La Pasqua ai tempi del Covid, tra restrizioni, riscoperta del sacro e ritorno in massa nelle chiese
Nel Vibonese anche quest’anno non si sono svolti i “Sepolcri”, le “Affruntate” e altri riti radicati nella tradizione popolare. Affollate le altre funzioni sacre
Per il secondo anno consecutivo anche nella diocesi di Mileto-Nicotera-Tropea le celebrazioni della Pasqua hanno dovuto fare i conti con le restrizioni dovute al dramma del Covid-19. Un periodo di forti limitazioni, conseguenti alla pandemia, che se da un lato ha cambiato modi di vivere consolidati e annullato eventi e riti religiosi radicati nella tradizione popolare, nel contempo ha paradossalmente reso più sentita e significativa la festività più importante della cristianità, soprattutto nel corso della Settimana Santa che sta per concludersi.
L’emergenza susseguente al propagarsi del coronavirus e delle sue varianti, oltre a non rendere possibili manifestazioni insite nelle varie comunità e facenti parte dell’ultrasecolare bagaglio storico, devozionale e religioso di ognuno di noi (basti pensare all’“Affruntata” a Vibo Valentia e in altre località della provincia, alle processioni del Cristo morto e della Madonna Addolorata, alle visite ai “Sepolcri”, alla lavanda dei piedi durante la messa in “Coena Domini” del Giovedì Santo, al bacio del Cristo in croce del Venerdì Santo), ha infatti anche forzatamente e salutarmente “sfrondato” la solennità del tanto superfluo che inevitabilmente l’accompagnava e la sovrastava. Alleggerendola, nel contempo, della molta “polvere” pagana accumulatasi nel corso dei secoli e riportandola alla radice vera, per certi versi all’essenza.
Lo stesso Gesù, in questo periodo di lockdown, nella città sede di diocesi e nel restante territorio è stato costretto ad anticipare il momento della sua risurrezione, tradizionalmente prevista allo scoccare della mezzanotte di sabato. Il vescovo Luigi Renzo e tutti gli altri presuli calabresi, al riguardo hanno concordato di iniziare la veglia pasquale alle 19.30, in modo di far rispettare al popolo dei credenti il “coprifuoco governativo” delle 22. Il risultato – seppur nel contesto delle restrizioni e delle osservanze delle norme anti Covid – un ritorno in “massa” dei fedeli nelle chiese, nel 2020 da remoto (attraverso l’utilizzo delle varie piattaforme multimediali) e quest’anno fisicamente, garantendo tuttavia l’opportuno distanziamento sociale. Un dato emerso nella basilica cattedrale di Mileto, chiesa madre della diocesi, ma anche in tutte le altre comunità parrocchiali, e non solo per partecipare alle cerimonie principali e solenni che hanno scandito passo passo il tempo di Quaresima e la passione e risurrezione di Cristo, ma anche a momenti ritenuti secondari e per certi versi intimi come le “Quarantore” e la relativa esposizione del Santissimo.
Segno evidente che lo stato di precarietà, susseguente all’avanzare del coronavirus, ha inevitabilmente portato con sé il bisogno di interrogarsi sulla caducità della vita e di aggrapparsi con ancora più forza al divino. Quasi a sancire, forse, l’urgenza di una sorta di rito di purificazione, propedeutico alla fine della “guerra” pandemica (falle nel piano vaccinale permettendo) e all’auspicata rinascita religioso-socio-economica di questa martoriata e bistrattata terra di Calabria, e non solo.