Gli studi su Natuzza Evolo: «Indiscutibile la veridicità dei suoi fenomeni»
L’autenticità delle manifestazioni della mistica di Paravati era emersa già nel 1948 nell’inchiesta svolta dal giornalista Tommaso Besozzi sul periodico “L’Europeo”
La personalità di Natuzza Evolo, la mistica di Paravati morta il giorno di Ognissanti del 2009 e di cui è in corso la causa di canonizzazione, sin dagli inizi è stata studiata in tutti i suoi aspetti. È del 1948, ad esempio, l’interessante inchiesta in due puntate di Tommaso Besozzi su “L’Europeo”. La Serva di Dio, a quell’epoca, era sposata da quattro anni «con un falegname di nome Nicolaci» ed aveva due figli: «Salvatore di 2 anni e mezzo e Antonio, nato due mesi fa». Dal lavoro del giornalista del noto periodico nazionale emerge in primis la figura di una donna semplice – all’inizio del tutto ignara dei fenomeni di cui era stata investita – ma anche il fatto che già a quel tempo «scienziati e teologi, uomini di profonda e diversa dottrina» consideravano «ormai un fatto indiscutibile la “verità” delle sue manifestazioni». Ad esempio accettavano per dimostrato «che un fazzoletto bianco lasciato per pochi istanti aderente alla pelle sudata possa restare stampato col sangue, rivelando disegni e scritte sacre, di volta in volta differenti». E ancora, ammettevano che ciò avvenisse «per usare un’espressione corrente, senza trucco. [Continua dopo la pubblicità]
Nell’aprile del 1938 – si legge nell’inchiesta – Natuzza aveva 14 anni ed era la domestica della famiglia dell’avvocato Silvio Colloca. Un giorno avvertì un malessere insolito, una sensazione di sudor freddo nella schiena e ne parlò. Il mattino seguente la signora Colloca vide disegnata sulla camicia da notte di Natuzza, in corrispondenza delle spalle, una grande croce sanguigna chiusa entro l’aureola di stelle. Da quel giorno la cosa si ripeté di frequente e l’avvocato si studiò di sottoporre ad un severo controllo le straordinarie manifestazioni della sua domestica ma non gli riuscì mai di scoprire un atto che potesse convalidare l’ipotesi della simulazione. Nella stessa epoca – si aggiunge – Natuzza aveva cominciato a vedere i morti ed a parlare ad essi. Ella dice, anzi, che le prime volte non capì chi fossero. Infatti, le anime dei defunti le appaiono con l’aspetto di persone vive. Avvertiva dei rumori nell’anticamera, o nel corridoio; accorreva: c’erano 3 o 4 persone che la guardavano con fissità. «Che vulite?» chiedeva. «L’avvocatu»? Quelli continuavano a guardarla senza muoversi, e Natuzza tornava ad avvertire i padroni. Ma i Colloca non vedevano nessuno e la ragazza si disperava, indicava loro gli strani visitatori che erano ad un braccio di distanza, in piena luce; scappava a buttarsi sul letto, singhiozzando».
Nell’indagine si racconta anche dei momenti in cui la mistica, ritenuta pazza ed invasata, viene portata dal vescovo perché la esorcizzasse. «Nel duomo di Mileto – si spiega – mentre monsignor Paolo Albera pronunciava le formule di rito, la donna cominciò a gridare: «Voi non li cacciate: ne vengono ancor di più. Quanti sono! Ma non mi vogliono far male»! Vedeva una folla di morti, di angeli, di santi e, come il vescovo procedeva negli esorcismi, quello stuolo aumentava». Al prelato Natuzza «ubbidì con grande docilità», pure quando diede disposizioni che venisse ricoverata in osservazione nell’ospedale psichiatrico di Reggio Calabria. Un vescovo dubbioso, «dal quale la donna ascoltò parole severe», che qualche anno dopo, una volta defunto, comparirà alla mistica «tra le anime più assidue» e griderà (per bocca di lei): «Ho sbagliato! Per troppo zelo non ho visto che era un segno del Signore». Da qualsiasi lato la si guardi – prosegue il giornalista – questa vicenda di Paravati presenta un eccezionale interesse. Anche se, per avventura, fosse una mistificazione: di quale diabolica astuzia dovrebbe essere dotata Natuzza Evolo per riuscire, durante 10 anni, a scavalcare illesa l’insidia di tante prove? Tutto, del resto, è sconcertante attorno a lei; ed uno che avesse inclinazione per questo genere di cose, osservandola da vicino per un tempo sufficientemente lungo, potrebbe farsi una singolare esperienza. Non sarebbe certo difficile: nella sua casa si entra senza bussare, a qualunque ora del giorno; Natuzza è docile con tutti; il marito si è da parecchio tempo rassegnato. Ha l’aspetto di un ragazzo timido. Qualche volta – conclude – si sfoga con gli amici; dice che vuole divorziare, che è stufo dei morti che parlano, degli angeli che cantano con la bocca della moglie, della gente che gli invade la casa. Ma non avrà mai l’ardire di ribellarsi davvero. Ha paura dell’Inferno”.
Sono passati 72 anni dall’inchiesta di Besozzi. Mastro Pasquale ha abbandonato questo mondo qualche anno prima di Natuzza, accettando sino alla fine che la moglie dedicasse la propria vita per la salvezza delle anime. La storia della mistica, tuttavia, prosegue e va oltre la morte terrena. In attesa, si spera… che la Chiesa la elevi presto all’onore degli altari.
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