Vibo Marina, tutelare le antiche bitte d’ormeggio ricavate da colossali cannoni: l’appello di Montesanti
In vista della realizzazione del progetto Cascasi che prevede la realizzazione di nuovi approdi turistici, lo storico invita a preservare le strutture risalenti alla costruzione del Porto di Santa Venere a metà Ottocento

In un dettagliato intervento apparso sul proprio profilo Facebook, Antonio Montesanti, studioso noto per il suo impegno a favore della salvaguardia dei beni storici presenti nel territorio vibonese, mette in evidenza la necessitò di salvaguardare le bitte d’ormeggio presenti nella parte più antica del porto, quella che attualmente si trova proprio al di sotto del lungomare. “Bitte da culatta” li definisce lo storico, spiegando anche l’origine di questo nome.
Le bitte in ferro e la storia della marineria vibonese
Nel suo post, Montesanti esordisce mettendo subito in chiaro di considerare l’opera programmata «una buona occasione di sviluppo, che certamente porterà beneficio anche a quanti puntano alla valorizzazione della storia della nostra marineria» ma, nel contempo, esprime preoccupazione per la sorte delle antiche bitte poste nell’area dell’intervento. E chiarisce che la sua preoccupazione deriva dal fatto di non aver trovato traccia di esse nei rendering dell’opera.
Quelle bitte in ferro, a suo parere, sono «elementi datanti del nostro porto, testimonianza visibile della nostra secolare attività portuale. In attesa di una tranquillizzante risposta da parte del sensibile dott. Cascasi e degli enti coinvolti in questa importante opera, ne approfitto per sottolineare di seguito il loro valore storico e identitario».
La proposta di Montesanti
L’attenta analisi dello storico così prosegue: «Seppur fino ad oggi la loro presenza è stata ignorata dai più, sono ben convinto che quelle “bitte da culatta” potrebbero costituire, se messe adeguatamente in evidenza, un valore aggiunto per la città costiera e per la stessa iniziativa imprenditoriale. Le tre bitte inserite nella struttura portuale, proprio nel lato del corso oggetto dell’intervento, fanno in realtà parte di un gruppo originario composto da una decina di pezzi, relativi ai primi interventi di banchinamento messi in opera nella prima metà dell’Ottocento. La loro nascita è legata all’uso d’infilare nella malta idraulica delle banchine portuali, vecchi cannoni ad avancarica, dismessi dalle batterie costiere, riutilizzandoli in tal modo come bitte d’ormeggio. Cannoni del tipo di quelli esposti a Tropea, ad esempio. Dunque, a partire dall’Ottocento- spiega Montesanti- questi colossali cannoni costieri sono stati cementati per buona parte della loro lunghezza, lasciando emergere la sola “culatta” da utilizzare a mo’ di bitta nel corpo delle banchine, a dimostrazione che in passato la pratica del riuso era più radicata di oggi. Si potrebbe finalmente stabilire, fra l’altro, se sono fusti interi di cannoni o mezzi fusti nati da uno stampo di fonderia realizzato ad hoc per i porti del regno borbonico. Non oso immaginare il loro valore storico se si confermassero prodotti nelle ferriere di Mongiana».
In conclusione, Antonio Montesanti sottolinea come «essendo elementi datanti l’antichità della nostra infrastruttura portuale, caratteristici dei porti nati prima dell’Unità d’Italia, non meritano certamente di essere rimossi né dalla memoria e né dai nuovi lavori portuali».