Gli argentini di Dasà: in Calabria per ottenere la cittadinanza. Il sindaco: «Problema, ma anche opportunità»- VIDEO
Il piccolo comune Vibonese è stato il primo a imporre una tassa di 600 euro agli stranieri che fanno richiesta della carta d’identità tricolore. Scaturchio: «Risiedono per almeno sei mesi e poi vanno via. E io ci resto male». Ma c’è chi decide di restare
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Dasà è il primo comune del Vibonese a sfruttare l’opportunità offerta dalla Legge di bilancio, che dà la possibilità agli enti locali di esigere un contributo economico, fino a un massimo di 600 euro, da chi richiede la cittadinanza per discendenza, il cosiddetto Iure Sanguinis. Somma alla quale si aggiungono ulteriori 300 euro per altri certificati assortiti. Quasi mille euro, dunque, che dovrà versare nelle casse del comune qualunque straniero faccia richiesta per acquisire la cittadinanza, potendo vantare avi italiani.
Una pratica, questa dello Iure Sanguinis, che vede ogni anno migliaia di cittadini stranieri, in prevalenza sudamericani, raggiungere la Calabria per risiedervi il tempo necessario a completare l’iter e ottenere così un pass di primo livello per l’Unione europea.
Negli ultimi mesi una ventina di persone provenienti per la maggior parte dall’Argentina, ma anche dal Perù, hanno bussato alla porta del Comune di Dasà e dopo aver dimostrato – con tanto di documentazione – di avere nel proprio albero genealogico antenati di origini italiane, hanno fatto richiesta e hanno preso la residenza, obbligatoria per condurre in porto la procedura. La stragrande maggioranza, una volta ottenuta la cittadinanza dopo sei mesi di attesa, parte immediatamente, soprattutto verso la Spagna. Come racconta lo stesso sindaco Raffaele Scaturchio: «Il giorno stesso che gli consegniamo la carta di identità, se ne vanno. Buon per loro, perché cercano la fortuna altrove, ma io ci resto male. Mi dà proprio fastidio», ammette con sincero rammarico. A parere del primo cittadino, «il Legislatore avrebbe dovuto inserire una postilla per obbligare a fare richiesta di cittadinanza nel comune dove l’avo è nato e non in qualsiasi comune d’Italia, come invece oggi consente la normativa in vigore».
«Nell’ultimo anno – continua – si sono presentati richiedenti i cui antenati hanno vissuto in Sicilia, piuttosto che in Sardegna o in Trentino. Solo una donna aveva la nonna originaria del nostro comune».
Ma allora perché scelgono proprio i comuni più piccoli? La risposta è semplice e apre un gran ventaglio di riflessioni: «Nei piccoli comuni vengono lavorate poche pratiche, la burocrazia ha nome e cognome e non prevede file. E poi la vita è molto meno cara e anche fittare una casa costa molto di meno di quanto costerebbe in un comune più grande. Ci sono agenzie all’estero che offrono il pacchetto completo, che si occupano trovare un alloggio e indirizzano gli stranieri interessati ad ottenere la cittadinanza. È un business in crescita che coinvolge migliaia di persone e decine di Paesi e ha ricadute positive anche sui nostri territori».
Ma per un piccolo paese, al netto delle opportunità economiche, questo fenomeno può rappresentare anche un grande problema: «Il Comune di Dasà – spiega Scaturchio – ha una sola dipendente che gestisce Ufficio anagrafe e Stato civile. Ha un contratto part time a 18 ore settimanali e le pratiche per la richiesta di cittadinanza, che noi siamo obbligati per legge a evadere in sei mesi, richiedono molto tempo». Al piano terra del Municipio l’unica dipendente part time, Maria Rosaria, lavora alacremente le pratiche. Ogni richiesta viene registrata e catalogata.
«La procedura è farraginosa e comporta costi ed energie – continua il sindaco -. Ecco perché abbiamo subito sfruttato l’opportunità offerta dalla Legge di bilancio introducendo questa “tassa”. Abbiamo poche risorse e, mi dispiace dirlo, cerchiamo di fare cassa».
Chi ha deciso di restare è Paula, 38 anni, Argentina, di Cordoba. I suoi avi erano di Chieti in Abruzzo, ma ha scelto la Calabria come meta per richiedere la cittadinanza italiana. Il 27 marzo del 2024 ha raggiunto Dasà insieme alla famiglia al completo: marito, tre figli e tre cani. Dopo sei mesi hanno ottenuto la carta d’identità, ma hanno deciso di non partire: «Qui ci troviamo bene, la gente è calorosa. Per il momento abbiamo deciso di fermarci qui, poi si vedrà». D’altronde, con la card elettronica in tasca, l’Europa non ha più confini per loro.