domenica,Ottobre 27 2024

La “carovana” della Compagnia San Giorgio, una pagina di storia dello scalo di Vibo Marina riportata alla memoria dopo la demolizione della casa del portuale

Le vicende e gli aneddoti riguardanti lavoratori portuali quasi tutti pizzitani che si occupavano del carico e dello scarico delle navi

La “carovana” della Compagnia San Giorgio, una pagina di storia dello scalo di Vibo Marina riportata alla memoria dopo la demolizione della casa del portuale

Lavoravano duramente sulle banchine del porto di Vibo Marina, in un clima di fatica e sudore ma sempre familiare, pronti alle battute e agli scherzi, com’è nel carattere della gente di Pizzo. Tanti nomi, tanti “personaggi”, tutti regolarmente chiamati con il soprannome. Era la cosiddetta “carovana”, formata da lavoratori portuali, quasi tutti pizzitani, che si occupavano del carico e dello scarico delle navi, attività molto pericolosa da svolgere con la dovuta accortezza ed esperienza. Storie di vita, anche tragiche, di chi ha speso la vita sulle banchine.

Dopo una lunga esperienza con le “carovane” amministrate da “caporali”, il governo decise di mettere ordine nei porti italiani e, con decreto legge del 1929, i lavoratori portuali vennero raggruppati in Compagnie aventi personalità giuridica propria e dirette da un “Console”.

L’organizzazione dei lavoratori portuali di Vibo Marina affonda le radici nel passato: l’atto di nascita della Compagnia San Giorgio risale infatti al 1932, anno in cui 31 soci decidono di costituire una Compagnia Portuale tra i lavoratori di Pizzo e Porto Santa Venere (foto F.lli Nicotra). Al tempo della sua massima espansione, verso la fine degli anni ’70, l’organico dei lavoratori permanenti era aumentato a 82 unità, mentre 70 risultavano gli iscritti negli elenchi dei lavoratori occasionali, i cosiddetti “avventizi”. La maggior parte di essi erano esperti uomini di mare, ex pescatori o marittimi. Arrivavano sulle banchine alle prime luci dell’alba e si organizzavano nella loro “Casa”, che era adibita a magazzino, deposito attrezzature, spogliatoio e servizi vari. Poi iniziava il lavoro, si aprivano le stive della nave e, a gruppi, si calavano nel ventre dei piroscafi per scaricare, a forza di braccia, le merci contenute in casse o in sacchi portati sulle spalle. Ancora più duro era lo scarico delle merci alla rinfusa, come sabbia pozzolana o carbone, in quanto la polvere entrava dappertutto e provocava non pochi problemi soprattutto agli occhi e all’apparato respiratorio. Come tutti i lavori che si svolgono all’aperto, anche quello che si effettuava sulle banchine era soggetto alle intemperie: i portuali dovevano sopportare la calura estiva e le fredde giornate d’inverno. Bisognava adattarsi anche alla diversa natura dei prodotti: a volte bisognava scaricare sacchi di fertilizzanti chimici, che irritavano la pelle, o una nave frigorifera con pesce congelato a temperature sottozero che metteva a dura prova il fisico dei lavoratori.

Nonostante difficoltà e disagi, il lavoro veniva svolto con dedizione e professionalità. Oltre alle merci che ci venivano fornite dalle storiche fabbriche locali, come il cementificio e il Nuovo Pignone, il porto di Vibo Marina, grazie alla sua posizione strategica ( unico porto tra Reggio e Salerno), riusciva ad intercettare anche merce nazionale da esportare, mentre l’import era costituito dal legname della Romania, dal merluzzo essiccato dell’Islanda, dai tonni di provenienza oceanica, dal boro delle miniere di Carrara,dalla  pozzolana per la produzione del cemento, dai sacchi di farina per i depositi all’ingrosso. Uno scalo marittimo da sempre utilizzato per le più diversificate esigenze. Nel periodo post-terremoto del 1905, il porto di Vibo Marina, ad esempio, fu scelto per sbarcare le derrate alimentari e il materiale occorrente alle popolazioni colpite dal sisma. Anche nel periodo della seconda guerra mondiale il porto svolse un ruolo importante nello scacchiere bellico internazionale imbarcando mezzi e materiali per le truppe impegnate sul fronte africano e poi siciliano. Da non dimenticare, inoltre, che a Vibo Marina furono scaricati tutti i tubi del metanodotto algerino che dallo Stretto di Messina arrivava a Salerno. Di questa bella storia scritta da uomini operosi, volenterosi e intraprendenti, non rimane che un ricordo, ma la memoria non potrà essere sepolta sotto il mucchio di detriti della Casa del Portuale che, ormai ridotta a rudere fatiscente, in poche ore una ruspa ha cancellato.

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