L’avvocato-pescatore di Tropea, la storia di Antonio: «Ho lasciato gli studi in legge e sono tornato in mare con mio padre. Ora sono libero»
Il giovane racconta la scelta di abbandonare l'Università dopo 4 anni per abbracciare il mestiere della famiglia: «È un lavoro pesante con pochi guadagni. Mia madre mi supplicava di continuare giurisprudenza ma non potevo»
Il richiamo del mare ma anche le circostanze della vita che, improvvisamente, fanno cambiare rotta e conducono su sentieri mai presi in considerazione. C’è l’orgoglio di far parte di una famiglia di pescatori, l’amore smisurato per la natura, il velo dell’incertezza su quello che poteva essere e non è stato nella storia di Antonio Marchese. Il giovane proviene da una famiglia di Tropea che, per generazioni, ha legato il proprio nome all’attività di pesca.
L’arte dei padri
Antonio è stato tra i protagonisti di LaC Storie, approfondimento a cura del videoreporter Saverio Caracciolo (clicca qui per rivedere la puntata): «Provengo da una famiglia di pescatori. Io ho cercato di cambiare e per quattro anni ho frequentato l’università, la facoltà di Giurisprudenza. Poi sono tornato alle origini, all’arte dei padri. Di mio padre. Mia madre (scomparsa a seguito di un brutto male) – confessa – mi supplicava di continuare gli studi visti anche gli esami superati ma nulla. La mia è stata una scelta consapevole».
Il mare è stata dunque una destinazione inaspettata: «È un lavoro molto pesante con guadagni miseri ma sono al contatto con la natura e questo mi fa stare bene. Non avrei mai pensato di fare il pescatore, non rientrava nei miei programmi. Da piccolo andavo al mare ma per diletto. Tant’è che i primi giorni di lavoro in barca stavo male, bastava un po’ di maretta e per giorni non mi sentivo bene. Poi mi sono abituato. La vita mi ha portato qui».
La pesca oggi
Un lavoro fatto di sacrifici, levatacce all’alba oppure battute di pesca nel cuore della notte. C’è poi l’incognita del maltempo: «Ora con le moderne tecnologie sappiamo con più precisione quando arriva la tempesta. C’è capitato di rischiare e in quei frangenti, anche chi non crede, si inizia a pregare. In mezzo al mare agitato si è come foglie al vento, non importa quanto sia grande la barca. Sei in balia delle onde e può accadere di tutto. È lì che la natura mostra la propria forza: meglio non sfidare il mare».
Svolgere l’attività di pescatore significa conoscere il mare «e anche individuare le correnti perché in base a queste gettiamo le reti in acqua». Antonio racconta com’è cambiato il lavoro negli ultimi decenni: «In passato con le attrezzature che avevamo si riusciva a fare una buona pesca. Per esempio era legale la “spadara”. Ora invece, ci sono restrizioni a mio giudizio assurde». Così capita che «per tre o quattro notti torniamo a casa a mani vuote. Le spese ci sono lo stesso, il gasolio in primis. Poi può essere che in una notte cambia tutto e ci ricompensa le giornate andate male».
In simbiosi con il mare
A bordo della Sant’Antonio, imbarcazione acquistata negli anni Settata e dedicata al nonno di cui il giovane porta il nome, insieme al padre nel ruolo di capitano, scandaglia le acque vibonesi: «Lavorare con mio padre? Non sempre ci troviamo d’accordo ma alla fine decide lui. Perché è lui il capitano. Questo un po’ mi fa arrabbiare ma dopo un po’ passa. Passa tutto». Non è mancata una ulteriore pennellata sulla sfera privata: «Sono libero, ho avuto le mie occasioni ma costruire una famiglia non rientra nei miei progetti. Sono in simbiosi con il mare».