Vibonese terra di tartufi… non solo gelato: il prezioso tubero dimora (non raccolto) nei boschi delle Serre -VIDEO
Nel primo convegno scientifico sul tema promosso in Calabria è emerso che da queste parti sono presenti le qualità più pregiate ma mancano cavatori esperti: «Appena 660 in tutta la regione, mentre solo a Piacenza ce ne sono 7.000». Vent’anni fa la Provincia chiamo 6 tartufai con i loro cani dall’Umbria. Ecco cosa scoprirono
Non solo ‘nduja. Il Vibonese custodisce anche altri preziosissimi tesori gastronomici invisibili a occhio nudo, capaci di essere scoperti soltanto da chi ha abbastanza esperienza e pazienza per farlo: i tartufi. Niente a che vedere con il famoso gelato di Pizzo, ovviamente. In questo caso si tratta del “sasso profumato”, come lo chiamano gli umbri, il fungo che cresce sottoterra in simbiosi con le radici di alcuni alberi. Ebbene, forse in pochi lo sanno, ma il Vibonese esprime grandi potenzialità in questo campo, che non sono mai state pienamente indagate per un gap della cultura enogastronomica locale che non si è mai concentrata troppo su questo costosissimo tubero. Senza contare che per trovare i tartufi servono i tartufai, cioè cavatori esperti che in altre regioni d’Italia si tramandano di padre in figlio i segreti di questa attività.
Il tartufo di Calabria
Il tema è stato al centro del primo convegno scientifico nazionale Il Tartufo di Calabria promosso con il sostegno del Ministero dell’Agricoltura, della Sovranità Alimentare e delle Foreste ed il patrocinio tra gli altri, di Arsac e Calabria Verde. Nell’articolo di LaC News24 a firma di Salvatore Bruno, che ha seguito l’evento per il nostro network, si ricorda che un terzo del territorio calabrese, pari a circa cinquecentomila ettari, è coperto da boschi. E queste zone sono tutte potenzialmente adeguate alla produzione di tartufo e, anzi, si ritiene che in buona parte il prezioso tubero vada perduto perché non raccolto. Soprattutto, come accennato, per la carenza di cavatori: «In Calabria ci sono circa 660 tartufai. Per fare un confronto, la sola provincia di Piacenza conta settemila tesserati – spiega Giuseppe Paone presidente della locale sezione dell’Associazione Tartufai Italiani –. Eppure la presenza del tartufo in questa regione viene segnalata anche in alcuni scritti storici risalenti al periodo della Magna Grecia. Per quanto concerne la qualità, in Calabria abbiamo undici differenti varietà, di cui nove di colorazione nera e due di colorazione bianca, inserite nella tabella regionale».
Il tartufo, principe dei boschi serresi
Tra tutte le cinque province calabresi, è proprio quella vibonese a custodire le qualità più pregiate, come sottolinea Paone: «Il Vibonese, insieme a una parte del Reggino, è una zona dove abbiamo un’ottima cavazione di bianco, ma anche di uncinato invernale. Sono ancora da scoprire, ma di certo qui ci sono importanti tartufaie, con secoli di storia che vengono da quando qui c’erano le ferriere di Mongiana, sorte in quest’area proprio per l’abbondante presenza d’acqua e legname». E proprio la presenza di importanti zone boschive, come nelle Serre vibonesi, rappresenta una condizione indispensabile per la crescita dei tartufi.
«Il tartufo si può trovare anche in una piccola roverella, tra alberi ancora nelle prime fasi della loro crescita. Ma è il “lavoro” che è stato fatto dalla pianta madre quello davvero importante per consentire ai tartufi di diffondersi e crescere».
Le potenzialità del territorio vibonese
Una ventina di anni fa la Provincia di Vibo Valentia promosse un progetto in partnership con l’associazione umbra Tuber terrae, con l’obiettivo di testare le potenzialità del territorio vibonese. Dall’Umbria, regione leader in Italia nella ricerca e commercializzazione dei tartufi, vennero a Vibo sei esperti cavatori con i loro cani, per condurre una breve campagna di ricerca. In quell’occasione venne trovato un numero impressionante di “casciole”, termine umbro che indica lo stadio germinale dei funghi ipogei, cioè che crescono nel sottosuolo. Un indizio inequivocabile per gli esperti sulla presenza in una determinata area dei tartufi. La stagione non ideale (era un maggio piovoso) e l’estrema varietà del terreno non permise di fare ulteriori ipotesi, essendo l’areale vibonese completamente diverso da quello umbro, perché fatto di microaree molto differenti tra di loro, morfologicamente e climaticamente, con terreni che vanno dal vulcanico all’argilloso, dalla roccia alla sabbia. Ma i segnali che tra i boschi vibonesi ci sia un immenso tesoro ancora da scoprire c’erano già tutti.
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