giovedì,Novembre 21 2024

La caduta del Sistema bibliotecario come la promessa tradita di una Vibo bella e possibile -Video

L’inchiesta che vede tra gli indagati per peculato l’ex direttore Gilberto Floriani è l’epilogo triste di una realtà di cui eravamo orgogliosi e che a lungo ha rappresentato un’alternativa credibile alla desertificazione sociale e culturale

La caduta del Sistema bibliotecario come la promessa tradita di una Vibo bella e possibile -Video
Una veduta di piazza San Leoluca a Vibo

La parabola discendente che ha fatto inabissare il Sistema Bibliotecario Vibonese nei meandri contabili di una meticolosa inchiesta giudiziaria, tornata in superfice ieri con l’arresto degli ex direttori Gilberto Floriani e Valentia Amaddeo, coincide per certi versi con la parabola di questa città.

Per almeno 25 anni il Sistema bibliotecario ha rappresentato per Vibo quello che la retorica più usurata spesso definisce “un fiore all’occhiello”. Era un orgoglio vibonese la cui eco ha risuonato a lungo in tutta la Calabria, con la sua prestigiosa sede situata nella parte più suggestiva e meno frequentata del centro storico cittadino, in un complesso monumentale del XVI secolo, Palazzo Santa Chiara, che ti accoglie con il suo chiostro e, in estate, con lo stridio delle rondini, che da quelle parti ancora nidificano sotto i tetti.

Ci andavamo a seguire conferenze e incontri culturali, ci accompagnavamo i figli piccoli affinché partecipassero a sessioni di letture animate, lo frequentavano i nostri figli adolescenti in cerca di libertà con la scusa di andare a studiare in biblioteca, ci portavamo gli amici che venivano da fuori e non erano mai stati a Vibo e ai quali volevamo mostrare il bello che c’era in città.

“Oltre il Sistema bibliotecario c’è il vuoto”, ce lo siamo detti spesso e spesso l’abbiamo sentito dire. Era un’isola di cultura su cui approdare per riconciliarsi con un territorio sempre più desertificato.

Più di recente, quando però ancora non era evidente la ripidità della china verso cui si avviava, è arrivato lo strepitoso Festival Leggere & Scrivere, mosso dallo stesso deus ex machina – Gilberto Floriani, appunto – che dal 1985 fino al 2017 ha guidato ininterrottamente il Sistema bibliotecario, per poi restare anche dopo con la carica di direttore scientifico.

Poi, lo scorso anno, il baratro del dissesto finanziario si è palesato con un debito complessivo di 700mila euro, che ora i magistrati attribuiscono alla gestione spregiudicata e familistica di Floriani, indagato con i suoi tre figli con l’accusa di peculato per aver intascato con loro, nel corso degli anni, circa 200mila euro per incarichi assegnati fuori dalle regole.

Certo, prima che tutto crollasse ci sono sempre state le polemiche, le battaglie a colpi di dichiarazioni indignate per i soldi pubblici che arrivavano col contagocce, le accuse alla Regione di non tenere nel giusto conto questa realtà, la quasi indifferenza dei Comuni vibonesi ai quali l’inchiesta della Procura rimprovera una grave superficialità, fino agli allarmi per la chiusura imminente e al paventato sfratto del Comune per i canoni di locazione arretrati.

Il consenso intorno a Gilberto Floriani non è stato mai unanime. Troppe invidie, troppi conflitti d’interesse, troppa dipendenza dai fondi pubblici e, dunque, troppa politica, dove amici e nemici cambiano in fretta.

Ma è innegabile che Floriani sia un fine intellettuale. Uno che ci ha creduto davvero e ha rappresentato a lungo un punto di riferimento nel panorama culturale non solo di Vibo ma dell’intera Calabria. Come è innegabile, però, che anche gli intellettuali tengono famiglia.
L’auspicio, sincero, è che lui e gli altri indagati possano dimostrare di essere completamente estranei alle accuse che gli vengono mosse, e riscattare così non solo loro stessi e il loro lavoro ma anche la città. Perché a colpire non sono tanto le cifre, che appaiono quasi irrisorie rispetto a ben altre inchieste. Ciò che fa male davvero è come si sia sgretolata una delle ultime illusioni che avevamo, cioè che lassù, all’ombra del Castello Normanno Svevo, ci fosse l’isola che non c’è.

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