Nuova immagine del buco nero: l’intervista all’astrofisico vibonese Rocco Lico
Lo scienziato di Mileto riveste un ruolo di punta nel team “Eht” che ha immortalato l’istantanea che conferma la teoria della relatività di Einstein


Altro importante traguardo raggiunto dalla collaborazione scientifica internazionale “Event Horizon Telescope”. Il team di esperti è riuscito a ottenere una nuova immagine del primo buco nero mai immortalato in natura: “l’ M87*”, in questo caso in collaborazione con il Greenland Telescope. L’istantanea è il risultato delle osservazioni fatte nell’aprile del 2018 e presenta solo una lieve variazione nella luminosità rispetto a quella dell’anno prima, quanto basta per confermare la teoria della relatività generale formulata da Albert Einstein. All’interno della collaborazione internazionale, un ruolo di primo piano è rivestito dallo scienziato di Mileto Rocco Lico, affiliato all’Instituto de Astrofísica de Andalucía, a capo del gruppo di lavoro sui nuclei galattici attivi. Ecco l’intervista rilasciata a Il Vibonese, da cui emergono tratti interessanti dell’ultima scoperta e della sua persona.
Professore, ci descriva in breve l’importanza di questa nuova immagine…
«Essa ci fornisce una ricostruzione totalmente indipendente dell’ombra del buco nero supermassiccio, situato nel cuore della galassia M87, e convalida e conferma la riproducibilità dei risultati ottenuti in precedenza, secondo il rigore del metodo scientifico. Inoltre, la persistenza e le dimensioni dell’ombra del buco nero confermano ancora una volta le previsioni della Relatività generale».
Perché supermassiccio?
«Sono definiti supermassicci quei buchi neri con una massa di oltre un milione di volte la massa del nostro sole. Ci sono anche buchi neri con masse molto più piccole, fino a qualche decina di volte la massa del sole e sono chiamati buchi neri stellari. Quelli che stanno tra questi due limiti di massa, invece, sono definiti buchi neri di massa intermedia. Alla base di queste diverse masse ci sono diversi processi di formazione».
A capo di queste scoperte c’è un team internazionale di oltre 300 scienziati, è un caso?
«No, non è un caso, le tecniche osservative e di analisi diventano sempre più complesse e diversificate, quindi serve la sinergia di più persone con diverse competenze per raggiungere grandi obiettivi. Infatti, negli ultimi anni la maggior parte dei più importanti risultati relativi al mondo dell’astrofisica è stata ottenuta da grandi collaborazioni scientifiche».
Le ricerche vanno avanti, cosa ci riserva il futuro?
«La ricostruzione delle immagini dell’ombra dei buchi neri al centro della galassia M87 e della Via Lattea rappresenta solo il primo passo verso la comprensione dei meccanismi fisici su scala dell’orizzonte degli eventi. Il passo successivo sarà lo studio della dinamica del gas che viene accresciuto dal buco nero e dei getti di plasma relativistico che nei casi più estremi vengono espulsi lungo l’asse di rotazione. Quindi nel prossimo futuro cominceremo a vedere non solo delle immagini ma anche dei ‘filmati’ veri e propri che ci dicono come questi oggetti variano in funzione del tempo».
Parliamo dell’aspetto umano che sta dietro queste scoperte…
«Al di là dell’aspetto puramente scientifico, dietro un lavoro collaborativo di questo tipo c’è anche un grande arricchimento culturale. Si è costantemente in contatto con persone di culture diverse e si impara a interagire e a relazionarsi anche da un punto di vista umano, oltre che lavorativo».
Lo studio e la professione l’hanno portata fuori dalla Calabria, cosa rimane e cosa porta della sua terra natia in giro per il mondo? «Ovviamente rimane tutto, le radici determinano la nostra identità e influiscono su ciò che siamo. Possiamo cambiare lavoro, trasferirci in altre nazioni o continenti, ma le nostre origini rimangono sempre quelle e le dobbiamo in ogni momento riconoscere e affermare con orgoglio, dovunque ci troviamo».
Chiudiamo con un qualcosa che esula dall’uomo di scienza, la sua passione per il rock…
«“Nomen omen!” La passione per il rock e per il jazz c’è sempre stata e sempre ci sarà. Ho sempre con me una chitarra a portata di mano. E da qualche anno, assieme ad alcuni amici musicisti, abbiamo messo su il progetto “Greenfinch Sound Project”, riuscendo anche a registrare e a suonare a distanza».
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