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Le antiche terme e la storia dei mosaici di Sant’Aloe, Collia: «Patrimonio da valorizzare»

La storia del sito archeologico, la scoperta dei mosaici e le caratteristiche che li rendono unici. Il docente e studioso vibonese: «Sono la nostra ricchezza, proteggerli e renderli fruibili è un dovere»

Le antiche terme e la storia dei mosaici di Sant’Aloe, Collia: «Patrimonio da valorizzare»
Volontari al lavoro al Parco di Sant'Aloe
Il sito archeologico di S. Aloe

Vibo Valentia si è sviluppata nei secoli sempre sullo stesso sito di origine. Pertanto la città nasconde nel sottosuolo tesori del suo antico passato. Nell’area di Sant’Aloe, negli anni Settanta, venne alla luce un quartiere di epoca romana risalente al III e II secolo a.C. Alcune strutture risalirebbero al V secolo a.C. e al periodo Alto-medievale. Tra questi figurano le terme pubbliche, le domus nobiliari, le strade lastricate e suggestivi mosaici a riprova dello splendido periodo romano di Valentia. Sant’Aloe è stata pesantemente urbanizzata appunto negli anni Settanta per la costruzione di alcuni edifici scolastici.

Gli scavi

Quello dell’istituto professionale è stato il primo cantiere dal quale sono giunte notizie scientifiche sulle fasi di varie frequentazioni antiche dell’area. In occasione dei lavori per l’ampliamento della scuola media durante è stata rinvenuta la statua della Pudicitia, oggi esposta al Museo archeologico di Vibo Valentia. Nemmeno il decreto che sanciva il vincolo archeologico dell’area, 18 giugno 1974, è riuscito a interrompere la selvaggia edificazione dell’area. Per arrestare le frenetiche attività, la Soprintendenza ha effettuato una serie di indagini che portarono alla scoperta di un vasto edificio termale con alcuni ambienti mosaicati. Tra questi le quattro stagioni e la girandola. Nel 1982, poi, si iniziarono a programmare ricerche archeologiche. A monte delle case popolari, venne esplorata parte di una nuova domus denominata della Nereide per via della presenza di un mosaico datato fine II dC. Ma quali sono i punti di forza del sito? Ne abbiamo parlato con Giuseppe Collia, docente e archeologo. «L’impianto termale ha come datazione primo secolo aC e inizio terzo. Il mosaico più antico è quello geometrico, un pavimento nero con tessere bianche. Quello delle Quattro stagioni risale invece a fine II secolo aC».

Maestranze o influenze dal nord Africa

A rendere particolari queste opere, la loro realizzazione: «È possibile siano stati realizzati da maestranze provenienti dal nord Africa ma non esistono dati certi. Così come non è escluso che si tratti di semplici influenze stilistiche». Altro dettaglio, concerne la destinazione d’uso delle terme: «In passato si credeva fossero a carattere privato. Poi è venuto alla luce il busto di Agrippa, luogotenente di Augusto, realizzato in marmo numidico. Gli archeologi non hanno avuto dubbi: si trattava di una struttura pubblica inserita in un contesto residenziale». Nei pressi è stata anche rinvenuta una strada, «a testimonianza della valenza del sito». Le terme «vennero frequentate fino all’Alto medioevo ma con ogni probabilità avevano perso la loro funzione originaria». Un’area di grande pregio, in sintesi, con mosaici dal grande impatto, che testimoniano i fasti di un’epoca passata. Una ricchezza dal punto di vista archeologico e storico di non poco conto. Tesori, ad oggi, non pienamente fruibili se non in occasione di alcuni specifici appuntamenti culturali. 

Patrimonio unico in attesa di una piena fruizione

Eppure, si tratta di siti che non tutte le città possono vantare: «Non è scontato che all’interno degli impianti termali di epoca romana giunti a noi, siano visibili mosaici. In più c’è un altro aspetto da tenere in considerazione. I mosaici rappresentano un unicum, non esistono opere prodotte in serie. Sant’Aloe, le mura greche, i resti dei templi sono la nostra ricchezza, potrebbero rappresentare risorse di sviluppo per il comprensorio. Renderli pienamente fruibili significa poter implementare anche le presenze turistiche sul territorio». Non da ultimo, ricorda l’archeologo e docente «la tutela e la valorizzazione dei beni archeologici sono previsti dalla Costituzione. Non è una facoltà ma un dovere da parte dello Stato».

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