Le origini di Vibo, il culto dei morti e la laminetta aurea: viaggio nel cuore dell’antica Hipponion
La nascita della città e le sette orfico-pitagoriche nell’analisi delle docenti Cimato e Preta nell’ambito dell’evento “Ti racconto la storia”: «La nostra è una storia affascinante da far conoscere a tutti, soprattutto ai ragazzi»
Hipponion, la laminetta orfica e le sette orfico-pitagoriche. Un viaggio ricco di misteri quello avviato nel salotto di “Un libro al mese, visti da vicino”. La rassegna ideata dall’associazione “L’isola che non c’è”, presieduta da Concetta Silvia Patrizia Marzano ha affrontato uno dei temi storici più affascinanti che coinvolge la storia della città. Lo ha fatto tramite l’intervento delle due docenti del liceo Classico “Morelli”, Bianca Cimato e Maria Concetta Preta. L’appuntamento si inserisce nel progetto “Ti racconto la storia” e punta alla creazione di una rete virtuosa per la circolazione di cultura e professionalità. Una crescita che, come anticipato dalla Marzano, prima ha coinvolto Briatico e Roma e presto vedrà la nascita di delegazioni in Campania, Emilia Romagna e Veneto. L’evento, reso fruibile anche grazie alla diretta social, ha riscosso ampio interesse e valorizzato uno dei reperti simbolo della città, ovvero la laminetta aurea, venuta alla luce durante scavi archeologici nel 1969 durante i lavori all’ex palazzo Inam da parte dell’archeologo Ermanno Arslan.
La storia di Hipponion
Un percorso introdotto dalla docente Cimato che ha inteso evidenziare: «Potrebbe sembrare ripetitivo ma la storia di Vibo è affascinante. Sono riconoscibili stratificazioni importanti che raccontano una Vibo antica, potente, forte. Questo territorio venne scelto strategicamente. La città fu infatti colonia sub-locrese (VII e VI secolo aC), all’origini della Magna Graecia anche se vi insistevano insediamenti pre ellenici di matrice sicula». Hipponion «era collocata nella parte alta, nella zona dove oggi sorge il Castello. Quella è l’area greca. Per la edificazione del maniero, vennero depredati materiali di pregio, tra cui elementi provenienti dal tempio di Proserpina. La stratificazione romana è sita nella porzione di città più in basso». Centro focale è rappresentato dal culto dei defunti: «In tutte le culture ha sempre avuto un grande valore perché, al di là della sacralità, l’uomo ha il bisogno di sentire che la vita ha un senso anche nell’immortalità». Alla professoressa e scrittrice Preta, il compito di focalizzare l’attenzione sull’importanza della laminetta, custodita nelle sale del Museo di Vibo Valentia. Un reperto prezioso, minuscolo, contenente le istruzioni per l’Aldilà, e rinvenuto all’interno di una tomba cappuccina nella necropoli sita all’interno delle mura greche. Era posta all’altezza dello sterno dell’inumato, una giovane defunta. Una fortuna per Vibo perché il sito, a differenza di altri, «non era stato individuato e saccheggiato da scaltri tombaroli».
La laminetta e i culti orfico-pitagorici
La scritta è in lingua dorica: «per motivi di regionalizzazione». Lo stato di conservazione, il valore linguistico di quanto riporta, rendono la laminetta un unicum nel panorama del Mediterraneo: «Il testo – fa rilevare la Preta- rimanda a formulari che giravano nella Magna Graecia. Andavano a insistere su un substrato pitagorico su cui s’innestava il culto orfico». I culti orfici erano rispondenti alle classi più basse che sentivano l’esigenza di emergere: «Tuttavia – rimarca – l’iter di vita delle sette era rigoroso. Si privavano dei piaceri del cibo, della carne. Praticavano l’ascesi già in vita. Pensavano che solo attraverso le pratiche virtuose avrebbero raggiunto il ricongiungimento con la divinità». La laminetta dava precise istruzioni all’anima del defunto. In particolare ricordava solo di non fermarsi alla fonte sita presso un cipresso bianco (probabilmente la fonte dell’oblio) poiché bevendo quell’acqua avrebbero dimenticato la vita passata e sarebbero rinati in un nuovo corpo. Gli orfici credevano infatti nella metempsicosi, la reincarnazione delle anime. Il defunto doveva quindi proseguire fino alla “fredda acqua che scorre dal lago di Mnemosyne”, la memoria. I custodi chiederanno all’anima cosa cerca e la stessa dovrà fornire una precisa risposta: “Sono figlio della terra e del cielo stellato”, che consentirà il passaggio e l’arrivo nel luogo di beatitudine. Ma perché è così importante la “memoria”?: «Le sette pitagoriche – fa rilevare la docente Preta- da Kroton si diffusero in tutta la Magna Graecia. Davano molta importanza alla dea della memoria. Per loro, già chi in vita possedeva memoria, era considerato un eletto, figurarsi se manteneva i ricordi anche dopo la morte». Solo seguendo le istruzioni, il defunto poteva mirare al ricongiungimento «con il divino».
Le iscrizioni latine
La laminetta si distingue nettamente dalle iscrizioni latine che si possono trovare a Vibo: «Riguardano soprattutto il ceto medio ed erano un ricordo del defunto destinato ai vivi. Meno connesse con la ritualità, le lapidi funerarie potevano anche trovarsi all’interno del sepolcro. Davano informazioni sul defunto, sul suo cursus honorum, il patronimico». Le epigrafi «hanno tuttavia un unico valore di fondo. Rappresentano una testimonianza storica diretta, non rimaneggiata. Ingenua, pura. Vanno ad aggiungersi alle fonti storiche, numismatiche e archeologiche per una più completa lettura della storia». A fare da cornice, nell’ambito dell’appuntamento a Vibo, contributi di Maria Liguori Baratteri, presidente associazione Dante Alighieri e Maria Teresa Centro, assessore alla cultura e vice sindaco di Briatico. Quest’ultima nel corso del suo intervento, ha rimarcato la necessità di insistere sulla promozione della storia locale, sconosciuta ai più. Su tale argomento, le docenti del liceo Classico, hanno evidenziato l’importanza della scuola nella formazione dei giovani. Una preparazione che non può prescindere dalla conoscenza delle proprie radici culturali. Tra i presenti, anche una rappresentanza del sodalizio “Officina fotografica”.
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