Autonomia differenziata, lo storico Furci: «I politici meridionali rivendichino i danni subiti»
L’analisi dello scrittore locale: «Il popolo del Mezzogiorno non può subire l’altrui ignoranza della storia. Solo un’economia che crea ricchezza potrà risolvere i problemi occupazionali del Sud»
«Vuoi vedere che, se insistono a far passare l’autonomia differenziata, il Sud, quello che fu il grande Stato delle Due Sicilia fino al 1860, finalmente troverà la forza della sua migliore tradizione per risorgere dopo 162 anni di colonizzazione culturale e di dipendenza economica dal triangolo padano?». Con questa domanda, dal tono provocatorio, lo storico vibonese Michele Furci inizia la sua disamina delle ragioni che hanno portato all’attuale situazione di dipendenza del Meridione rispetto alla parte settentrionale del Paese. «Quando in Italia- incalza Furci- si insiste a parlare della necessità di una presunta autonomia differenziata per necessità del Nord rispetto ad un Sud che, con il suo ritardo di sviluppo, frenerebbe la crescita produttiva del sistema Paese, allora non si può tacere la storia e, in particolare, ciò che realmente é avvenuto con l’annessione per mano militare imposta da potenze straniere nel 1860/61». [Continua in basso]
«Le classi dirigenti meridionali- questa l’esortazione dello storico e scrittore vibonese– la smettano di piagnucolare e rivendichino piuttosto i danni subiti dalla colonizzazione con la quale é stato smantellato l’apparato industriale e manifatturiero che vantava primati di ogni natura con la sua sovrana autonomia produttiva di Stato siculo-napoletano sino alla prima metà dell’800. Coloro che rivendicano un’autonomia differenziata per le regioni del centro-nord per non perdere il passo con le emergenze economiche e i neo servizi introdotti dalla quarta rivoluzione industriale e del digitale sappiano che la dignità del popolo del Sud non può essere barattata per l’ennesima volta con interventi economici clientelari e assistenziali. La popolazione meridionale non può subire ulteriormente l’altrui negletta ignoranza della Storia, omettendo di evidenziare il perché il vecchio Stato del Sud, pur essendo stato interessato, sul finire del ‘700, dalla prima rivoluzione industriale, ha poi subìto il suo declino economico e con esso l’inizio del grande esodo dei suoi figli migliori, fenomeno paragonabile ad una deportazione dal sud al nord! Tacciano i soliti ascari alla giornata, ammantati di falsa retorica e di un’idea della storia risorgimentale nord-centrica che, con egoistico atteggiamento, hanno finora tenuto il sacco ai potentati padani pur di salvare i propri privilegi di famelici incettatori di prebende pubbliche. Costoro, figli dell’antica cultura dei gattopardi, in luogo di puntare sul vero anello debole del Sud, che rimane in una struttura produttiva non in grado di utilizzare le risorse possedute in un contesto di sviluppo europeo dei mercati internazionali, con passività e remissività perpetuano soltanto la desertificazione del territorio e il continuo declino dei centri urbani calabresi e meridionali. Per sopravvivere come consorterie politiche, dopo aver assistito passivamente alla destrutturazione dell’intero apparato industriale anche dell’ultima generazione degli anni 60-70, quelle medesime classi dirigenti si limitano ad abbaiare alla luna evocando soltanto la possibile diminuzione delle risorse finanziarie destinate agli enti pubblici».
«Ogni concreto progetto industriale, realmente introdotto nel laborioso territorio calabrese, non ha mai deluso le aspettative e ne sono un esempio , per smontare le tante falsità sul carattere dei veri investimenti al Sud, i risultati raggiunti grazie alla capacità professionale di tanti lavoratori e professionisti tuttora operanti in Calabria che producono opere competitive nel mondo intero come il Nuovo Pignone e la ex Snam Progetti nel settore industriale ed energetico, oltre alle numerose aziende dell’agro-alimentare che occupano consistenti segmenti di mercato internazionale e competono a testa alta con le grandi aziende. Le classi politiche- questa la conclusione di Furci- invece di rimanere in attesa degli sviluppi delle idee altrui, alzino il tiro politico con una proposta che parta dai veri interessi del Mezzogiorno per non subire l’ennesimo ricatto che, alla fine, si tradurrà in ulteriori effimeri finanziamenti a pioggia. Soltanto un’economia che produca ricchezza, derivante dall’utilizzo sostenibile delle risorse naturali, potrà risolvere il vero problema dell’occupazione nelle regioni meridionali poiché il risanamento e il ripopolamento dei grandi e piccoli centri è la pre-condizione per rigenerare la politica da cui dipendono le strutture e i servizi pubblici, scolastici, sanitari, turistici e di ogni altra natura civile».
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