«Associare a scuola le parole istruzione e merito? Uno slogan inutile»
Intervento del dirigente scolastico Alberto Capria: «Il mito della meritocrazia, assurto come principio ispiratore di una nuova scuola più giusta e migliore, contiene il rischio concreto di legittimazione morale della diseguaglianza»
Riceviamo e pubblichiamo un intervento di Alberto Capria, dirigente scolastico dell’istituto comprensivo “III Circolo – De Amicis” di Vibo Valentia
Il mito della meritocrazia, assurto come principio ispiratore di una nuova scuola più giusta e migliore, contiene il rischio concreto – al netto di enfasi retorica – di legittimazione morale della diseguaglianza. Si basa, a mio avviso, su due assunti quantomeno discutibili: il primo, che i meriti individuali siano sempre evidenti, facili da identificare, classificare – tu più, tu meno; tu promosso, tu bocciato – e non li vede solo chi non vuole vederli; il secondo, falso anch’esso, che la logica della competizione – di disgustoso sapore confindustriale – sia il meccanismo più efficace nel riconoscere e premiare tali presunti meriti (test Invalsi ed indagine Eduscopio docent). Ma la scuola, per fortuna, è ben altro. La novità lessicale che ha di recente modificato la denominazione del Ministero dell’Istruzione, ha suscitato attenzioni e scatenato prevedibili polemiche: ma i significati, le possibili prospettive, i risvolti pratici, la concretezza di questo riferimento al merito hanno le sembianze dell’Araba Fenice: che vi sia, ciascun lo dice; dove sia, nessun lo sa. Chiariamo subito un punto: ottenere risultati solo per meriti acquisiti, è auspicabile: ma nella scuola soprattutto in quella del 1° ciclo d’istruzione, il merito deve essere associato ad “uguaglianza” che è ancora obiettivo non raggiunto; e gli alunni in difficoltà economiche ne subiscono le conseguenze peggiori. Il Rapporto Caritas 2022 su povertà ed esclusione sociale in Italia pubblicato nell’ottobre scorso in occasione della Giornata internazionale della lotta alla povertà, parla di “pavimenti appiccicosi”: indicando con tale termine la diffusa immobilità sociale che caratterizza la nostra società: i figli dei poveri rimangono poveri. L’istruzione è uno tra i principali elementi che favoriscono la mobilità sociale e, con essa, la democrazia. «A questo deve servire la democrazia: permettere ad ogni uomo degno di avere la sua parte di sole e di dignità. Ma questo può farlo soltanto la scuola». [Continua in basso]
Le parole di Calamandrei sono confermate dal Rapporto Caritas citato: c’è “un forte legame tra disagio economico e bassi livelli di titoli di studio”. Lo stesso dato emerge da altre due interessanti indagini – La povertà in Italia, Istat 2020 e alla ricerca del tempo perduto: analisi delle disuguaglianze nella scuola italiana di Save the Children – nelle quali si evidenzia come la diffusione della povertà diminuisce al crescere del titolo di studio. Se la persona oggetto/soggetto dell’indagine ha conseguito almeno il diploma di scuola secondaria di 2° grado l’incidenza è pari al 4 %, mentre si attesta all’11% se ha al massimo il diploma del 1° ciclo d’Istruzione. Ecco che associare le parole istruzione e merito, cosa a priori non errata né giusta, non può ridursi ad uno slogan utile per le dirette social; è qualcosa che va fatta con grande prudenza, conoscendo bene e dal di dentro l’universo scuola, uscendo fuori da angusti spazi ministeriali, possibilmente evitando estemporanee dichiarazioni ed annunci roboanti, avendo chiari obiettivi ma soprattutto individuando le giuste strade da percorrere. Percorsi che invertino i dettati costituzionali dei due articoli indissolubilmente legati: l’articolo 34 – «I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi (…) La Repubblica rende effettivo questo diritto». «È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli (…) che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese». Se si vuol parlare di merito, l’uguaglianza dei punti di partenza, dei contesti, delle situazioni è tanto necessaria quanto realizzabile con enormi difficoltà. Ed allora non serve stolto decisionismo e pugno di ferro: diventano non negoziabili aggiustamenti, riscoperta della pedagogia, rinforzi, sostegni, autonomia, scelte ponderate, maglie larghe; anche perché far parti uguali di diseguali, diceva Don Milani, è somma ingiustizia. Il nuovo corso ministeriale eviti scelte che promuovano astrattamente il merito e puntino all’eccellenza di risultati, magari in test standardizzati giusto per poter dire, mentendo, che il nuovo corso ha fatto migliorare la scuola; crei invece le condizioni perché emergano i valori, le aspirazioni, le inclinazioni di tutti, insieme alla condivisione di obiettivi comuni. In altri termini perché la vera democrazia stia finalmente dentro la nuova scuola: il resto, come ne “Gli Intoccabili” di Brian De Palma, sono solo “chiacchiere e distintivo”.