Vibo Marina e la storia di Ido, la sua giovane vita spezzata nella tragedia della “Soreghina”
Per cause che non furono mai chiarite, avvenne un’esplosione a bordo mentre la nave-cisterna era impegnata nelle operazioni di scarico presso la banchina “Papandrea” del porto della frazione
Quella della principessa Soreghina è una leggenda delle Dolomiti, una tra le più famose, una triste storia che non ha un lieto fine. E anche la storia della petroliera che portava questo nome finì in maniera drammatica nelle acque del porto di Vibo Marina, sessanta anni fa. In un tranquillo pomeriggio, il 19 ottobre del 1962, per cause che non furono mai chiarite, avvenne un’esplosione a bordo della nave-cisterna “Soreghina” mentre la nave era impegnata nelle operazioni di scarico presso la banchina “Papandrea”. In seguito allo scoppio e al conseguente incendio persero la vita tre marinai: Giovanni Lippi e Antonio Maggini di Viareggio e Ido Borelli, di soli 17 anni, di Porto Santo Stefano (Grosseto). Ido, cresciuto tra porto e barche, aveva un grande amore per il mare e sognava di poter diventare marinaio per fare della sua passione un lavoro, ma anche per provare il senso di confini lontani e vivere le emozioni che solo il mare sa dare. Il bel ragazzo toscano, un diciassettenne pieno di vitalità e con tanta voglia di lavorare, trova il suo primo imbarco, come mozzo, su una nave-cisterna: la Soreghina, iscritta nel compartimento marittimo di Viareggio.
Dichiarato il lutto cittadino
Fu subito accolto a bordo e ben voluto da tutto l’equipaggio per la sua laboriosità e il suo carattere gioviale. Il 19 ottobre del 1962 era stato un giorno in cui Ido aveva lavorato molto, pulendo la nave e la sala macchine, per cui volle concedersi un breve riposo andando nella cuccetta sistemata sottocoperta. Erano le 14.20, lo scoppio lo colse nel sonno. Tentò di risalire in coperta, ma qualcosa andò storto e il ragazzo rimase intrappolato nella sua cabina nonostante i coraggiosi tentativi di liberarlo attuati dal personale del porto e da volontari. Il corpo del giovane Ido fu recuperato, dalla nave sommersa, alcuni giorni dopo. Fu dichiarato il lutto cittadino e le esequie si svolsero a Vibo Marina con una grande partecipazione di cittadini che, commossi, seguirono il feretro fino alla stazione ferroviaria, accompagnato dal pianto struggente della madre del ragazzo. La salma venne caricata, fra le sincere lacrime dei presenti, su un carro merci con destinazione Porto Santo Stefano. Venti anni dopo, come nel romanzo di Dumas, componenti della Pro loco scoprirono, nel deposito dei netturbini della delegazione comunale, una cassa in legno inviata nel 1962 al Comune di Vibo Valentia e proveniente dalla famiglia Borelli di Porto Santo Stefano. Conteneva una lapide in marmo, rimasta incredibilmente dimenticata per venti anni, sulla quale erano incise queste parole: «In questo limpido mare si spense tragicamente, nello scoppio della Soreghina, Ido Borelli di Porto S. Stefano. Ad eterna memoria e in gratitudine della generosa carità del popolo di Vibo Marina prodigatosi nell’opera di soccorso. I genitori q.m.p.». Quelle semplici ma toccanti parole rimangono ancora scolpite, oltre che nel marmo, anche nella memoria collettiva della gente del porto. Ricordano una dolorosa pagina della nostra storia recente e quel piccolo eroe del lavoro, la cui giovane esistenza si concluse in quel tragico pomeriggio d’ottobre di sessanta anni fa.