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Strage di Capaci, a Pizzo l’incontro per ricordare Giovanni Falcone

Al castello Murat l'evento a trent'anni dalla scomparsa del magistrato simbolo nella lotta alla mafia

Strage di Capaci, a Pizzo l’incontro per ricordare Giovanni Falcone

Il 23 maggio 1992 morivano nella strage di Capaci Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo, e gli agenti della scorta Vito Schifani, Antonino Montinaro e Rocco Dicillo. E, a distanza di trent’anni, la gente ha ancora il bisogno – e il dovere – di raccontarlo.
Lunedì a Pizzo nella terrazza del castello Murat, si è quindi tenuto un incontro dal nome “23 maggio 1992: CAPACI di ricordare”, organizzato da Paola Sorace – moderatrice dell’evento – in collaborazione con il Comune. Relatori del dibattito il procuratore della Repubblica di Vibo Valentia Camillo Falvo, il commissario straordinario del Comune di Pizzo Antonio Reppucci, il giornalista di LaCnews24 Pietro Comito, il testimone di giustizia Rocco Mangiardi e Giuseppe Borrello, referente provinciale di “Libera”. Presenti fra il pubblico il comandante provinciale dei carabinieri, Bruno Capece, il comandante della stazione dei Carabinieri di Pizzo Marco Failla, il comandante della Capitaneria di Porto di Vibo Marina Massimiliano Pignatale, il comandante dell’Ufficio marittimo di Pizzo Massimo Lazzari e il comandante dei vigili urbani del Comune di Pizzo Giulio Dastoli.

«Ogni volta che parlo con le persone che hanno vissuto la strage di Capaci – ha esordito Paola Sorace – mi viene sempre detto: “Io ricordo bene dove mi trovavo. Ero a casa, ero a mare, ero in studio, ero in giro…”. E’ come se tutto il mondo si fosse fermato quel giorno, perché tutti ricordano dove fossero e cosa facessero mentre Giovanni Falcone, la moglie e la scorta morivano. C’è un prima e un dopo della strage. Ecco, noi siamo nel dopo, ma abbiamo il dovere di ricordare il prima». Un escursus storico sul periodo di Giovanni Falcone (1978-1992) e sui suoi riflessi nel presente, sia da un punto di vista giuridico che sociale, arricchito da filmati e da letture di dichiarazioni del magistrato. Il commissario straordinario Antonio Reppucci, dal canto suo, ha voluto lanciare un chiaro messaggio ai presenti: «Falcone ci ha insegnato che la lotta alla mafia è innanzitutto culturale. Non ci si può arrendere al sistema mafioso, anche perché ormai i delinquenti sono anche professionisti apparentemente “sani”, i cosiddetti “colletti bianchi”. A volte ho la sensazione che le persone si siano assuefatte dalla ‘ndrangheta. Niente di più sbagliato. Anche perché qui è pieno di persone perbene che hanno il diritto di contare. Invito sempre tutti a denunciare, perché farlo significa compiere il primo passo verso la democrazia».

Il procuratore Camillo Falvo si è invece soffermato sul rivoluzionario “metodo Falcone”, consistito nell’aver iniziato a indagare sui patrimoni e flussi bancari. «Il fenomeno mafioso sembra che a volte non riguardi tutti noi, ma non è così, e questi incontri mantengono alta l’attenzione. Il metodo fu rivoluzionario per l’epoca, anche se oggi sembra quasi banale. Oggi potremmo definirlo “primordiale”, utile a seguire la ricchezza illecita. Falcone ha capito, non avendo sufficienti elementi probatori ai quali legare le prove, che potesse essere proficuo seguire, attraverso degli erogatori, i flussi di denaro. Per questo nasce la Convenzione di Palermo, il cui padre è proprio Giovanni Falcone». Sulla lotta alla mafia, il procuratore di Vibo ha poi aggiunto: «E’ tempo che si inizi a capire che non è solo la magistratura che deve combattere il sistema mafioso». [Continua in basso]

Pietro Comito, giornalista di LaC News 24, ha poi ricordato i tanti colleghi uccisi dalla mafia e dal terrorismo: «Sul suolo italiano i giornalisti assassinati sono stati undici: nove dalle mafie, due dal terrorismo. Di questi nove, otto stati assassinati da Cosa Nostra, uno dalla Camorra. Il primo degli otto fu Cosimo Cristina, un ragazzo giovanissimo che certamente non aveva il bagaglio esperienziale che altri giornalisti avevano maturato quando furono assassinati. Mario Francese è stato un altro che faceva questo mestiere seriamente. Allora erano pochi e facevano tanto rumore. Oggi siamo troppi e di rumore non ne facciamo più. Il mio modello di rapporto tra giornalisti ed istituzioni è rappresentato da quello che aveva Giovanni Falcone con i giornalisti. Basti pensare a Francesco La Licata, cronista locale siciliano che divenne un fraterno amico di Falcone. E questo è importante, perché divenne non soltanto testimone dei fatti della cronaca e della storia, ma anche della natura dell’uomo e di valori fondamentali quali la libertà».

A Rocco Mangiardi, testimone di giustizia di Lamezia Terme che ha denunciato il “pizzo”, la moderatrice dell’incontro ha letto una lettera pubblicata dal Corriere della Sera il 10 gennaio 1991, scritta da Libero Grassi. Alla domanda “Quanto le è costato il suo coraggio?”, Mangiardi ha quindi risposto: «Non avrei potuto fare altrimenti. Come avrei guardato i miei figli se mi fosse piegato al sistema mafioso? La mafia si finanzia anche con i soldi del pizzo e questo significa che poi si ammazzano le persone pure tramite i ricavati che ottengono. Con i miei soldi non si ammazza nessuno. Bisogna cominciare a fare più fatti e meno parole. Libero Grassi ha aperto la stagione della ribellione al pizzo e, probabilmente, se non ci fosse stato lui, io oggi non sarei qui».

Infine Giuseppe Borrello dell’associazione antimafia Libera, a seguito della visione del video del funerale di Giovanni Falcone, in cui la folla palermitana si è ribellata alla, ha ricordato le tante vittime di Cosa Nostra morte nelle varie stragi degli ultimi quarant’anni. Borrello ha poi ricordato il lavoro che “Libera” svolge in provincia di Vibo Valentia: «La memoria ha senso se diventa strumento per evitare che si ripetano le meschinità del passato. Oggi stiamo correndo un grosso rischio, quello di banalizzare la parola “legalità”. Lo Stato, in Sicilia, è stato colpito nel profondo del cuore con le stragi. Libera nasce nel 1995 con un’idea concreta: sono state raccolte oltre un milione di firme per fare in modo che i beni mafiosi non solo venissero confiscati ma anche restituiti alla collettività attraverso l’utilizzo sociale. E oggi questo territorio sta dimostrando che tutto ciò è possibile. Oggi i beni sono realtà sane».

La serata è terminata con video, un omaggio a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, in cui sono state proiettante le immagini dei magistrati con in sottofondo un estratto del discorso che tenne Borsellino il giorno della veglia di Falcone (20 giugno 1992) in ordine all’importanza della libertà e dell’onestà da parte di tutti i cittadini, contro ogni forma di sistema mafioso: «Sono morti per noi e abbiamo un grosso debito verso di loro». Qualche settimana dopo verrà ucciso anche lo stesso Borsellino nella strage di via D’Amelio.

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