Emergenza coronavirus, viaggio nel futuro Covid hospital di Tropea – Video
Tramontata l'ipotesi ospedale da campo, la scelta dell’Asp è ricaduta sul nosocomio tropeano che attiverà fino 22 posti letto. Il direttore sanitario Purita: «Non ci tireremo indietro»
Ospedale di Tropea. I lavori sulla facciata sono quasi ultimati. Manca poco alla chiusura del cantiere. Qui sorgerà il reparto Covid. I vertici dell’Asp sono orientati su questa scelta che a loro dire comporterebbe pochi disagi e un’immediata operatività dei 22 posti letto richiesti per la provincia di Vibo Valentia.
L’ospedale da campo, quindi, a Vibo Valentia non si farà più. Perché le strutture ci sono: ospedali chiusi o solo parzialmente utilizzati. Come quello di Tropea. Il preannunciato piano “B” del commissario Giuseppe Giuliano prende così forma. In un presidio ben manutenuto e già attrezzato per l’emergenza.
Insomma, a Tropea, fino a qualche anno fa c’erano quasi tutte le specialità. Oggi ne sono rimaste solo alcune, che però sono delle eccellenze: oncologia e dialisi, ad esempio.
A condurci in questo viaggio è la dottoressa Liberata Purita: è lei il direttore sanitario ospedaliero. Ci mostra ogni reparto. Non c’è traccia di degrado. Tutto appare pulito e ordinato. Pure l’ortopedia, da anni dismessa, è tirata a lucido. Stanze dotate di ogni confort. C’è tutto. O quasi. Manca il personale medico ed infermieristico e poi il Vibonese avrà i suoi posti letto per malati Covid.
Il terzo piano ospita il reparto di medicina, al quinto l’ambulatorio di ortopedia. Il Covid ha soppresso le visite non urgenti e quindi ad oggi il reparto è inattivo. Come inattivo è fisioterapia posto al quarto piano. Quattro gli ascensori. E doppi ingressi che permetteranno di separare i percorsi. La dottoressa Purita ci mostra l’accesso laterale dedicato. E l’ascensore.
L’ospedale è pronto. I medici almeno quelli che ci sono, ed in attesa dei rinforzi, sono pronti. Ci sono i pazienti Covid che hanno bisogno di posti letto. «C’è un’emergenza in corso e noi non ci tiriamo indietro. Non lo abbiamo mai fatto. Siamo medici. È il nostro lavoro» conclude il direttore sanitario.