Coronavirus Calabria, il presidente del Tribunale del medico: «In guerra a mani nude» – Video
Gerardo D’Urzo, medico di base a Sant’Onofrio e già presidente dell’Ordine di Vibo, denuncia la carenza di posti di terapia intensiva e di dispositivi di protezione per gli operatori
«La situazione in Calabria è molto più preoccupante di quanto venga fatto percepire dalle istituzioni. Al timone ci sono personaggi che appaiono disorientati e impotenti, senza alcuna capacità di veicolare messaggi di reale pericolo».
Gerardo D’Urzo, presidente regionale del Tribunale del medico ed ex presidente dell’Ordine dei medici di Vibo Valentia, è un fiume in piena. Ce n’ha per tutti, anche per se stesso. «Come tanti italiani – aggiunge – anche io mi sono fatto abbindolare dai toni poco allarmistici che giungevano nei primi giorni dell’epidemia, quando si diceva che il Covd-19 era poco più di una normale influenza. Ora, invece, di fronte ai dati sulla diffusione del contagio nel nord Italia, anche i medici calabresi stanno prendendo coscienza di una situazione che può esplodere da un momento all’altro».
D’Urzo, che svolge attività di medico di base a Sant’Onofrio, punta il dito soprattutto contro la scarsità di mezzi in Calabria, dai basilari dispositivi di protezione, come le mascherine, ai posti in terapia intensiva. [Continua]
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«La task force istituita dalla Regione – ricorda – conferma che al momento, in Calabria ci sono appena 110 posti nei reparti di terapia intensiva e rianimazione, 85 per cento dei quali sono già occupati. Questo vuol dire che in tutta la Calabria non ci sono più di 18 posti disponibili. Pazzesco. La task force regionale afferma di aver attivato le procedure per l’istallazione di 400 nuove postazioni, ma allo stesso tempo ammette che c’è il rischio di non fare in tempo. D’altronde, le croniche e irresponsabili carenze della sanità calabrese non consentono, a mio giudizio, l’incremento immediato di nuovi posti letto nei reparti di emergenza. L’impennata dei contagi potrebbe arrivare molto prima dei nuovi posti letto. Alla Regione ne sono consapevoli e dicono che stanno elaborando un piano B. Ma quale piano B, qui non c’è nemmeno il piano A!».
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A preoccuparlo non è solo la scarsità di posti negli ospedali, ma anche l’assoluta mancanza di dispositivi di sicurezza per i medici e gli operatori sanitari.
«Siamo in prima linea in una guerra difficilissima ma senza armi – continua –. Non ci sono mascherine, occhiali, tute sterili con il cappuccio. Nulla di nulla. Io vado in giro con una mascherina chirurgica che serve a ben poco. Al Nord sono centinaia i medici che si sono infettati, nonostante dispongano di dispositivi di protezione che noi ci sogniamo. Cosa accadrà in Calabria se si ammaleranno anche i medici?».
Resta l’abnegazione dei camici bianchi, dottori, infermieri, operatori socio-sanitari, che stanno lavorando al massimo delle loro possibilità, senza risparmiarsi.
«L’impegno straordinario del personale sanitario, anch’esso carente, non è in grado però di reggere, con i mezzi a disposizione, una situazione così complessa e imprevedibile negli sviluppi futuri».
Uno scenario ben poco rassicurante che secondo il professionista può essere migliorato soltanto con una presa di coscienza collettiva che finora non c’è stata, almeno nella misura che richiede la situazione. «I calabresi devono capire che devono restare tappati in casa, senza uscire se non per motivi davvero urgenti e improrogabili – conclude il medico -. Una presa di coscienza che deve coinvolgere anche le istituzioni e le strutture sanitarie: dobbiamo unirci come non abbiamo mai fatto, incrementare l’integrazione dei servizi e agire compatti, invitando ognuno a fare la propria parte per bloccare al più presto la diffusione del virus».
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