Il nuovo ospedale di Vibo Valentia è “vecchio” di 20 anni ma ancora non c’è – Video
Dell’avamposto sanitario per la tutela del diritto alla salute resta oggi il vecchio e fatiscente Jazzolino, sempre più spoglio di medici, di reparti
«Ci fosse stato, Federica non sarebbe morta», disse il pubblico ministero nel richiedere la condanna degli imputati. Federica Montelone aveva 16 anni quando spirò nella Rianimazione dell’Annunziata di Cosenza: era il 26 gennaio del 2007. Il suo calvario ebbe però inizio sette giorni prima, durante un intervento di appendicectomia nella sala operatoria dell’ospedale Jazzolino di Vibo Valentia. Un intervento di routine, quasi «banale» per mani esperte. Poi un black out in sala operatoria: l’autopsia, le perizie, il processo, nulla chiarì oltre ogni ragionevole dubbio ciò che provocò la morte di quella studentessa con la passione della danza poi assurta a simbolo delle vittime di malasanità. Al termine del processo, oltre che della penale responsabilità degli imputati, si raggiunse un’altra certezza: quella sala operatoria neppure collaudata, era «mortalmente insicura». Doveva essere operata nel nuovo ospedale di Vibo Valentia, Federica Monteleone, così come Eva Ruscio, sedici anni anche lei, deceduta durante una tragica tracheotomia dovuta ad un ascesso peritonsillare, nel dicembre dello stesso anno. [Continua in basso]
Del nuovo ospedale di Vibo Valentia, la cui gestazione era iniziata dieci anni prima, allora però c’era solo una prima pietra in un’area di cantiere posta sotto sequestro dall’autorità giudiziaria, che indagava su una torbida vicenda di tangenti, malapolitica, massoneria deviata. E quella prima pietra, prescritte le imputazioni, revocati e riappaltati i lavori, rielaborato il progetto originario e venuti alla luce i gravi rischi idrogeologici incombenti sull’area individuata per l’edificazione del presidio, sarebbe rimasta sola a lungo. Diciotto anni dopo i sigilli, sedici anni dopo la morte di Federica ed Eva, vissuti altri scandali giudiziari, del nuovo ospedale di Vibo Valentia esiste solo il cantiere. Così l’avamposto sanitario per la tutela del diritto alla salute resta oggi il vecchio e fatiscente Jazzolino, sempre più spoglio di medici, di reparti. Un presidio che, nonostante la strenua resistenza dei suoi medici, a causa della carenza di anestesisti è stato più volte costretto a rallentare le attività operatorie, assicurando in alcuni periodi solo le urgenze. Pochi medici, talvolta costretti a turni massacranti, spesso oggettivamente impossibilitati a dare riscontro alle esigenze dell’utenza, talvolta vittime di minacce ed aggressioni: dal Pronto soccorso alle Malattie infettive, nessuno escluso.
E sul territorio, da Tropea a Serra San Bruno, passando per Soriano, giganti di cemento armato vengono limitati alle attività ambulatoriali e day hospital. Per lunghi periodi, un solo anestesista, di fatto reperibile h24. Locali tutto sommato funzionali, ma inattivi. Serra San Bruno, ad esempio, sale operatorie perfettamente attrezzate, inaugurate nel 2008, costate 850.000 euro – denuncia il sindaco Alfredo Barillari – ma mai entrate in funzione. Eppure del nosocomio, progressivamente ridimensionato, oggi si teme addirittura la chiusura. Tropea, un presidio potenzialmente all’altezza, ma non adeguato alle esigenze di un’area territoriale che ogni estate sfora il tetto del milione di turisti. Vietato ammalarsi, dunque, nel Vibonese. Pazienti che spesso non sanno a che santo votarsi, medici che divengono loro malgrado al tempo stesso vittime e capri espiatori di un collasso, sanitario ed economico che dovrebbe essere risolto da chi l’ha creato: la politica.
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