domenica,Dicembre 22 2024

La lettera | «Nostro padre ucciso due volte: dalla malasanità e dalla giustizia lenta»

I familiari di Raffaele Francesco Chiaravalloti, 79enne di Simbario morto nel 2015, si rivolgono al procuratore Gratteri e ai ministri Grillo e Bonafede invocando verità

La lettera | «Nostro padre ucciso due volte: dalla malasanità e dalla giustizia lenta»

«Morire di malasanità e morire di giustizia. Il nostro è un appello che accoratamente chiediamo non rimanga disilluso. Il ritardo sembra essere il filo conduttore nella vicenda drammatica della morte di nostro padre Raffaele Francesco. Un ritardo che ci ha portato a chiedere giustizia; giustizia nella quale noi confidiamo, ma che tortuosi e inspiegabili ritardi stanno facendo sì che la dignità di nostro padre appaia senza valore così come la sua vita, ed è a questo che ci riferiamo quando parliamo di “morire di giustizia”».

È questo l’attacco dell’accorata lettera che Katia, Giuseppe, Damiano e Margherita Chiaravalloti, figli di Raffaele Francesco, 79enne di Simbario morto a Catanzaro il 9 luglio del 2015, dopo 24 ore di agonia e a seguito di un presunto caso di malasanità, hanno inviato a nome di tutta la famiglia al procuratore della Repubblica di Catanzaro, Nicola Gratteri, alla Procura di Vibo, al ministro della Salute, Giulia Grillo, e al ministro della Giustizia Alfonso Bonafede. A loro si sono rivolti per «avere delle risposte tangibili sullo svolgimento di questa annosa e dolorosa, e comunque chiara, vicenda giudiziaria, ad un anno dall’incidente probatorio rimasto dimissi (senza esito, ndr). Ci rivolgiamo a lei – scrivono i familiari a Gratteri – per l’interesse che dimostra per la provincia di Vibo Valentia che ha più volte ribadito essere la prediletta, per il continuo sostegno che dà ai cittadini che hanno il coraggio di denunciare in ogni settore. Ci rivolgiamo a lei, ministro Grillo, poiché deve conoscere tutte le sfaccettature e carenze non solo strutturali di una sanità che deve salvare e non far morire. E, infine, ci rivolgiamo al ministro Bonafede affinché porti avanti in modo sempre più incisivo la sua politica di semplificazione della macchina giudiziaria che spesso di avvale volutamente di una burocrazia carente per non giudicare». 

All’indomani della morte del loro congiunto, nel 2015, la famiglia di Raffaele Francesco Chiaravalloti, aveva sporto denuncia ai carabinieri segnalando un ritardo nei soccorsi della vittima colpita da un infarto. I successivi approfondimenti avevano portato ad indagare due persone: Maria Domenica Schiavello, 57 anni, di Gerocarne, e Maurizio Arena, 49 anni, di Spadola, rispettivamente medico e infermiere dell’ambulanza del 118. I due sanitari, si legge nel capo di imputazione, avrebbero «agito con negligenza, imperizia e imprudenza» e più precisamente avrebbero «errato la diagnosi non diagnosticando un infarto del miocardio nonostante l’esecuzione di un elettrocardiogramma a bordo del mezzo»; avrebbero poi «omesso di attivare il servizio di elisoccorso» finendo per cagionare il decesso di Chiaravalloti.

A farsi portavoce «del dolore e della rabbia della famiglia» per la morte del 79enne di Simbario e per la successiva vicenda giudiziaria è adesso la figlia Margherita Chiaravalloti, infermiera professionale ex Suem 118 presso la Pet di Vibo Valentia. «Ci sentiamo – afferma – vittime di un’indifferenza che continua a ledere il nostro stato di salute fisico e mentale. Ci chiediamo come di fronte alle numerose discrasie, soprattutto temporali ma non solo, che riteniamo opportunamente valutate e rilevate tutte, così come l’elusione del protocollo di emergenza/urgenza, dove il fattore tempo è intrinseco e imprescindibile, non riceviamo nessun segnale sul fronte della Giustizia, il tutto giustificato dalle continue sostituzioni dei pubblici ministeri». L’esempio che, da infermiera, la figlia della vittima ritiene più confacente è quello in cui «un paziente, dopo essere stato preso in carico da un medico, dopo un’accurata anamnesi, esami clinici e strumentali, diagnosi e terapia, quest’ultima non venisse somministrata per il cambio turno del personale medico e/o infermieristico, o abbandonato a se stesso per un qualsiasi motivo che precluda la presenza in seguito del medico che lo ha ricoverato e che meglio conosce la storia clinica». Tornando alla tragica fine del padre, Margherita Chiaravalloti aggiunge «non voglio entrare in merito ai particolari, che mi auguro dettagliatamente studiati, e che mi hanno costretto a lasciare il mio lavoro nell’emergenza poiché mi hanno segnata per sempre, ma è assurdo che venga creata una rete per le emergenze cardiologiche ed in particolare per “l’infarto stem”, volta a ridurre i tempi e i danni, che paradossalmente gli stessi siano stati procrastinati fino a condurre alla morte di un papà carismatico, sano, forte e giovanile. Lui avrebbe difeso la sua famiglia senza risparmiarsi ed è quello che noi faremo fino ad avere giustizia e verità e a ridare dignità a nostro papà».

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