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La tragedia della “Soreghina” e quella lapide dimenticata

Il 19 ottobre del 1962 un pauroso incendio si sviluppò a bordo di una nave ormeggiata al porto di Vibo Marina. In quel rogo perse la vita Ido Borelli, giovane mozzo la cui storia commosse la popolazione. Ma la targa voluta dai genitori rimase a lungo sepolta in un deposito comunale

La tragedia della “Soreghina” e quella lapide dimenticata

Era il 19 ottobre del 1962 quando la quiete di quel tranquillo pomeriggio fu scossa da un sordo boato proveniente dalla banchina “Tripoli” del porto di Vibo Marina. Nel porto videro pezzi di lamiera catapultate in alto per poi cadere in mare, mentre un denso fumo biancastro si alzava da una nave ormeggiata alla banchina petroli: si trattava della nave-cisterna “Soreghina”, impegnata nelle operazioni di scarico di diverse tonnellate di benzina.

Mentre il liquido infiammabile iniziava a fuoruscire dalle stive e i mezzi di soccorso tardavano ad arrivare, non essendo ancora presente, all’epoca, il distaccamento portuale dei Vigili del Fuoco, il panico si diffuse fra la popolazione di Vibo Marina. Spinti dal timore che l’incendio scoppiato sulla nave si propagasse ai vicini depositi costieri di carburante, molti abbandonarono in tutta fretta l’abitato cercando un rifugio più sicuro sulle colline e nei paesi limitrofi.

Ma non tutti fuggivano e tanti furono, in quei terribili momenti, gli uomini che si prodigarono nelle operazioni di soccorso , come tante furono le azioni di coraggio e gli episodi di solidarietà che spesso la gente di mare è capace di esprimere. Il meccanico navale Pisani, noncurante del pericolo, tentò di tagliare con la fiamma ossidrica la catena dell’àncora mentre la nave era avvolta dalle fiamme, con l’intento di consentire al motopeschereccio “Capo Vaticano”, del comandante De Pinto, di rimorchiare la nave fuori dal porto.

Ma particolare menzione va riservata all’azione condotta da alcuni marinai e gente del porto che non esitarono a salire sulla nave in fiamme per tentare di soccorrere un membro dell’equipaggio rimasto imprigionato in uno dei locali della petroliera. Il suo nome era Ido Borelli, un ragazzo di appena 17 anni originario di Porto S. Stefano (Grosseto), al suo primo imbarco come mozzo. Purtroppo l’azione di salvataggio non riuscì e il corpo senza vita dello sfortunato giovane venne recuperato dopo alcuni giorni.

Quella morte destò una profonda e generale commozione. Alle sue esequie, avvenute nella chiesa di Vibo Marina, si registrò un’imponente partecipazione di cittadini che vollero accompagnare Ido fino alla stazione ferroviaria. I genitori del ragazzo non dimenticarono le sincere lacrime di tanta gente quando il treno con la salma iniziò il triste viaggio di ritorno verso il suo paese natale. Vent’anni dopo, nel deposito dei netturbini di Vibo Marina, venne casualmente rinvenuta una cassetta in legno a cui fino ad allora nessuno aveva fatto caso.

Era stata inviata nel 1962 dalla famiglia Borelli al Comune di Vibo Valentia! Alcuni componenti della Pro loco aprirono la cassa e, increduli, scoprirono che essa conteneva una lapide in marmo recante la seguente iscrizione: “In queste limpide acque si spense tragicamente, nello scoppio della Soreghina, Ido Borelli di Porto S. Stefano. Ad eterna memoria e in gratitudine della generosa carità del popolo di Vibo Marina prodigatosi nell’opera di soccorso. I genitori q. m. p.”.

Con quella lapide i genitori di Ido avevano voluto ringraziare la gente di Vibo Marina per l’affetto e la solidarietà dimostrata nei confronti del loro figliolo ma, probabilmente, avevano sbagliato ad indirizzarla al Comune che non seppe fare di meglio che abbandonarla alla stregua di un inutile ingombro anziché darle un’adeguata collocazione. La lapide fu in seguito murata sul molo antistante il luogo in cui avvenne la tragedia, ma l’usura del tempo ha reso quasi illeggibili i caratteri di quelle semplici ma toccanti parole scolpite, oltre che nel marmo, anche nella memoria collettiva della gente del porto.

Come gesto di postuma riparazione per quella poco edificante vicenda, sarebbe auspicabile che il Comune si impegnasse in un’operazione di restauro di quella lapide al fine di ricordare degnamente quella dolorosa pagina della nostra storia recente e per non dimenticare quel piccolo eroe del lavoro, la cui giovane esistenza si concluse nel nostro porto in quel tragico pomeriggio d’ottobre di cinquantaquattro anni fa.

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