La “calda” estate del ‘43
Da aprile a settembre il territorio vibonese divenne teatro di guerra: i bombardamenti su Vibo Marina, la strage di Mileto, la fine dell’aeroporto “Luigi Razza”, lo sbarco degli Alleati
Il 17 agosto 1943 era terminata la battaglia per la Sicilia, con i tedeschi che erano riusciti ad evacuare dall’isola la maggior parte dei propri uomini e materiali. Il 3 settembre l’Ottava armata del generale Montgomery sbarcava in Calabria: iniziava l’operazione “Baytown”.
Erano le prime truppe britanniche a combattere in questa parte d’Italia dal 1806, quando sir John Stuart aveva sconfitto i francesi sull’altopiano di Maida . Intanto le forze tedesche presenti in Calabria, la 26^ divisione Panzer e la 29^ divisione Panzergrenadier, si ritiravano velocemente verso nord in previsione di uno sbarco anglo-americano in grande stile, che avverrà a Salerno il 10 settembre. La guerra si era trasferita in Calabria, ma molto prima di quel 3 settembre le popolazioni calabresi avevano conosciuto morte e distruzione.
Il 12 aprile, con l’intento di interrompere i rifornimenti verso la Sicilia, aerei anglo-americani avevano bombardato Vibo Marina. Il raid aereo, oltre a distruggere la stazione ferroviaria e a provocare danni al porto, causò la morte di 10 civili, quasi tutti bambini di un asilo. Tra le vittime, una madre e i suoi quattro figli. Vibo Marina diventerà obiettivo dei bombardamenti alleati ancora il 10, 13, 15, 16, 17, 18, 31 luglio e il 14, 16 agosto. Nella notte tra il 17 e 18 agosto, poi, 48 bombardieri “Wellington” partiti dalla base RAF di Malta colpiranno duramente Vibo Marina lasciandola in balìa degli incendi.
Io, testimone dell’orrore della guerra – VIDEO
Dalle 19.25 alle 20.25 del 10 luglio 1943, lo stesso giorno dell’invasione alleata della Sicilia, un inferno di fuoco si abbatte sul’aeroporto “Luigi Razza” di Vibo Valentia. L’attacco viene operato da circa 60 bombardieri B-24, a cui seguiranno i bombardamenti dell’11-13-15-16-20 dello stesso mese. Quelle incursioni decretarono la fine della sua breve storia e quella di oltre cento giovani soldati e avieri italiani e tedeschi ( nel 1943 erano presenti oltre 600 militari tra avieri e soldati dell’esercito oltre ad alcune decine di avieri tedeschi). Particolarmente devastante fu il bombardamento del 16 luglio: 207 aerei tra bombardieri e caccia di scorta decollavano dalle basi tunisine per una missione contro un aeroporto italiano, considerata dall’Alto Comando Alleato di grande importanza strategica, considerando il numero di uomini e mezzi impiegati. Alle ore 10.58 la pioggia di bombe ebbe così inizio. Dei 78 aerei presenti, 50 furono colpiti, le strutture del campo furono completamente distrutte.
Durante l’incursione sull’aeroporto di Vibo del 16 luglio, venne preso di mira anche il centro abitato di Mileto provocando una strage: 39 civili rimasero uccisi, un bombardamento di tipo terroristico che aveva il solo scopo di fiaccare il morale della popolazione annullandone ogni volontà di proseguire la guerra. A distanza di 73 anni, ormai davanti al tribunale della Storia, è lecito chiedersi: la strage fu un tragico errore o fu un’operazione premeditata? Ai piloti dei bombardieri anglo-americani erano stati assegnati soltanto obiettivi militari o i piani degli alti comandi alleati prevedevano anche bombardamenti terroristici su obiettivi civili e sulla popolazione?
1943: la distruzione dell’aeroporto di Vibo e la strage di Mileto
La risposta a questa domanda è forse contenuta in questo libro dello storico Filippo Bartuli, nostro conterraneo, che tratta in maniera molto documentata delle incursioni aeree anglo-americane del 1943 su 60 città e località calabresi. L’obiettivo psicologico-terroristico dell’alto comando strategico anglo-americano era di colpire il cuore delle città, uccidere il maggior numero di civili per abbattere il morale e lo spirito di resistenza. Ma non può essere considerato atto di guerra l’uccisione voluta di civili inermi. La strage, molto verosimilmente, fu voluta e non ha scusanti: un evento caratterizzato soltanto da cieca brutalità, inutile sul piano militare: uno degli innumerevoli drammi vissuti dalla popolazione italiana in quei tempi tristissimi.
Dopo l’occupazione della Sicilia da parte degli Alleati, le unità tedesche si stavano ritirando lasciando dietro di sé macerie a catena lungo tutte le vie di comunicazione. E purtroppo avevano cominciato a lasciare dietro di sé anche una scia di sangue innocente, come sarebbe spesso accaduto in Italia nel corso della seconda guerra mondiale. Erano giornate di grande concitazione e confusione. Il 3 settembre era stato firmato a Cassibile l’armistizio tra Italia e anglo-americani ,anche se la notizia verrà data la sera dell’8 settembre. Fra le truppe italiane tirava aria di smobilitazione e i tedeschi erano diventati ogni giorno più diffidenti e ostili.
Le truppe della Wermacht si erano concentrate nella Piana, la maggior parte a Rizziconi e nei comuni limitrofi di Cittanova e Taurianova, per tentare un’improbabile difesa del continente. Poi arrivò l’ordine di ritirarsi verso nord. Forse i tedeschi già sapevano o cominciavano a sospettare che gli italiani stavano per cambiare alleato e, prima di ritirasi, indirizzarono il fuoco dei carri armati sull’abitato, massacrando a cannonate inermi cittadini, in maggioranza donne, bambini e anziani, vite inermi spezzate per rappresaglia dai nazisti : 17 morti e 56 feriti fu il tragico bilancio dell’unica strage nazista registrata in Calabria, rimasta impunita e di cui non c’è traccia neanche nel registro dei crimini di guerra presso la procura militare di Roma; nessuno ne ha parlato, nessuno ha denunciato, nemmeno i familiari delle vittime, gente di Calabria abituata ad ataviche ingiustizie e oppressioni. Secondo i piani dei comandi alleati, bisognava assolutamente intercettare le divisioni tedesche e tentare di tagliare loro la ritirata. Il comando superiore tedesco era infatti venuto a sapere che una grande flotta alleata da sbarco navigava nel Tirreno e ne dedusse l’imminenza dell’invasione trasmettendo il messaggio in codice “Feuerbrunst” (il fuoco brucia) per informare tutte le unità che la flotta alleata faceva rotta verso Salerno e diramò l’ordine di dirigersi immediatamente in quella zona.
Fu allora pianificata , da parte degli Alleati,un’operazione-lampo. Il piano prevedeva lo sbarco di un grosso contingente di truppe dietro le linee nemiche con lo scopo di ostacolare la ritirata nemica, prevenire l’opera di demolizione di ponti e strade e quindi agevolare l’avanzata dell’8^ Armata britannica. Lo sbarco a Vibo Marina, denominato “operazione Ferdy”, era stato deciso il 6 settembre dal gen .Dempsey, lo stesso che guiderà le forze britanniche durante lo sbarco in Normandia. Tutta l’operazione venne messa a punto in tutta fretta: la necessità di accelerare la ritirata tedesca per dare via libera alle truppe alleate non consentiva la messa a punto di un piano dettagliato. Dempsey decise allora che la flotta d’assalto sarebbe partita da Messina ed aveva individuato il luogo adatto per mettere a terra le truppe : “near Pizzo, at porto Santa Venere”.
Tropea 1943, quelle bombe “miracolosamente” inesplose
A causa del poco tempo dedicato alla preparazione dello sbarco, l’azione rischiò di fallire se non fosse stato per la forte prevalenza alleata in campo aereo e navale. Le cannoniere Erebus, Aphis e Scarab avrebbero assicurato l’appoggio navale, mentre imponente sarebbe stato il supporto aereo: 90 caccia-bombardieri inglesi “Kittyhawks” con il compito di mitragliare e bombardare a tappeto, oltre a 250 che “Spitfires” per assicurare un continuo pattugliamento sulle truppe da sbarco. Si scatenò uno scontro sanguinosissimo con combattimenti ravvicinati, spesso corpo a corpo . Sul mare galleggiarono cadaveri e membra umane .A testimoniare che si trattò di una battaglia vera e non di una semplice scaramuccia, bastano i dati forniti dalle fonti britanniche: i caduti tra le forze alleate ammontarono a circa 200, tre mezzi da sbarco e una nave da sbarco vennero affondate. Non vengono fornite notizie in merito alle perdite in campo tedesco, ma si può desumere che esse furono ancora più pesanti di quelle alleate, undici cannoni e nove veicoli furono distrutti. Non è azzardato affermare che quella svoltasi l’8 settembre a Vibo Marina fu la più sanguinosa battaglia combattuta in Calabria durante la seconda guerra mondiale. Alle 19.45 di quel fatidico giorno, che tante tragiche conseguenze avrebbe avuto per gli italiani, Radio Roma e la BBC comunicarono la notizia della resa incondizionata dell’Italia. Ma ormai le colonne tedesche avevano abbandonato Vibo Marina ritirandosi verso nord, circostanza che forse evitò una possibile reazione sulla popolazione civile come avvenuto a Rizziconi. Richiamate dal messaggio “Feuerbrunst”, la 26^ Panzer Division e la 29^ Panzergrenadier, considerate tra le migliori divisioni corazzate della Wermacht erano troppo impegnate a correre verso Salerno: l’operazione “Avalance”, lo sbarco che avrebbe aperto la strada alla liberazione di Roma, stava per iniziare.
Nelle sue memorie, lo storico inglese colonnello C.J.C. Molony scrisse:” Non vi è dubbio che l’operazione di Porto S.Venere ebbe un importante peso nell’accelerare la ritirata tedesca nel sud Italia.”Questa importante operazione anfibia riuscì, dunque, nell’intento di accelerare la ritirata dei tedeschi, impedendo loro di portare a compimento le operazioni di demolizione lungo la strada costiera ,come era nei piani alleati; ma, fatto ancora più importante, la precipitosa ritirata impedì che la furia nazista , conseguente alla proclamazione dell’armistizio dell’8 settembre, si rivolgesse contro le inermi popolazioni calabresi. L’eccidio di Rizziconi rimase l’unica strage nazista registrata in Calabria e ,purtroppo, la più tragica del Mezzogiorno d’Italia. Impunita e dimenticata, ma davanti al tribunale della Storia devono essere anche messe sul banco degli imputati le inutili stragi di civili operate dai bombardamenti terroristici effettuati dalla RAF e dalla USAF, anch’ esse impunite ma mai dimenticate. Queste gocce di memoria sono forse utili per non lasciare inaridire il terreno della nostra comune identità.