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Nel 2025 si compia finalmente quel cambiamento che tutti invocano e nessuno realizza: Vibo non può più aspettare

L’anno che si è appena concluso è sembrato essere di transizione verso un domani che però si stenta ancora a immaginare. Rassegnarci al declino non è un’opzione, ma contrastarlo a chiacchiere è un delitto. La priorità è recuperare centralità e protagonismo per non diventare un vuoto paesone di periferia senza più giovani

Nel 2025 si compia finalmente quel cambiamento che tutti invocano e nessuno realizza: Vibo non può più aspettare
Il duomo di San Leoluca e il complesso del Valentianum nel centro storico di Vibo Valentia

Il 2024 è stato un anno di transizione, un ponte temporale verso un domani che Vibo Valentia forse comincia a intravedere, sebbene tra mille difficoltà che ancora rendono poco intellegibile il futuro e lo confondono con un passato che non passa mai. Perché è questo il principale ostacolo che ci impedisce di guardare avanti con tutto l’ottimismo che il futuro meriterebbe: l’apparente immobilismo di un territorio che deve affrontare sempre gli stessi problemi, anno dopo anno, generazione dopo generazione. Basti pensare, soltanto per fare l’esempio più emblematico, da quanto tempo la città e l’intera provincia attendono il nuovo ospedale. Ma quest’anno, nel ventennale del cantiere dove nel lontano 2004 fu posta la prima pietra, le fondamenta sono state finalmente gettate e sono apparse le gru edili. Non sarà una grande consolazione e gli scettici hanno tutti i motivi per continuare a dubitare che il nuovo ospedale sorgerà davvero, ma ciò che si è visto quest’anno fa ben sperare che possa essere la volta buona.

È stato un anno di transizione anche per la politica vibonese, che è passata dal governo ininterrotto per 15 anni del centrodestra, alla prima amministrazione di centrosinistra, con la vittoria alle elezioni di giugno di Enzo Romeo. Sono passati appena sei mesi da quando si è insediato alla guida del Comune, troppo pochi per dire se Vibo ci abbia guadagnato, ma abbastanza per cominciare a incalzare senza sconti un sindaco e la sua squadra che hanno promesso di realizzare la “Vibo vera”, qualunque cosa significhi. Perché, in fin dei conti, era vera anche quella di prima. Non è “l’autenticità” che ci manca, perché alla fine non c’è vibonese, di destra o di sinistra, che non voglia riaffermare l’identità e la centralità, anche geografica, di questo territorio. Quello che ancora manca e che Romeo ora è chiamato a realizzare è il cambiamento, la rottura con un passato che ha visto Vibo finire inesorabilmente sempre più ai margini del contesto regionale e nazionale.

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Ci sono voluti una pandemia e quasi due anni di lockdown per vedere nuovi importanti investimenti da queste parti. Per i cantieri del Pnrr che ora costellano la città abbiamo pagato un prezzo altissimo che non va sprecato. Il 2024 ha rappresentato un anno interlocutorio anche in questo senso. Ora bisogna concludere, e bisogna farlo bene.

Fatte salve le località turistiche più rinomate e famose presenti sulla Costa degli dei, tutto il resto è costantemente in ombra, nonostante un patrimonio storico, paesaggistico e artistico che farebbe la fortuna di qualunque territorio. Con il festival Leggere & Scrivere avevamo cominciato a riassaporare una ribalta nazionale che mancava da troppo tempo. Come sia andata a finire lo sappiamo tutti ed è inutile ribadirlo. Ma il rammarico non basta. Ciò che occorre è ricominciare davvero, non a chiacchiere. Restituire a Vibo e a tutta la sua provincia un protagonismo culturale al quale non si può rinunciare con un’alzata di spalle. Senza questa centralità che va cercata con ambizioni all’altezza dell’impresa, Vibo resterà un paesone di provincia agli ultimi gradini delle classifiche nazionali, destinato a rivedere i suoi giovani solo a Natale, Pasqua e Ferragosto perché, purtroppo, non hanno alcun motivo valido né opportunità lavorativa per restarci.

È questo che va innanzitutto contrastato, è questo il cambiamento vero che la città anela e richiama quasi in ogni conversazione. Non è solo una questione di ‘ndrangheta ancora asfissiante, di servizi che mancano o di sanità fatiscente. È anche, e per certi versi soprattutto, una questione di orgoglio, di radici identitarie. Rassegnarsi al declino in atto non è un’opzione accettabile, ma contrastarlo a chiacchiere non è altrettanto ammissibile. L’auspicio è che nel corso dell’anno appena iniziato, la politica vibonese, anche quella oggi all’opposizione, prenda piena coscienza di questa priorità e consenta finalmente al cambiamento di arrivare, perché di slogan vuoti non sappiamo davvero più che farcene.

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