È morto il “compagno Federici”, Vibo piange l’ultimo comunista
Dirigente politico e leader regionale dell’Orsa, è stato assessore comunale con l’amministrazione Sammarco. Un male incurabile, recentemente scoperto, se l’è portato via a soli 57 anni. Se ne va un uomo forte, buono e generoso e dagli incrollabili ideali
Un uomo vigoroso, nel corpo e negli ideali, la cui vita è stata portata via da un male incurabile – recentemente scoperto – a soli 57 anni. Si è spento oggi a Roma Alfredo Federici, storico dirigente comunista e segretario regionale dell’Orsa, la più rappresentativa organizzazione sindacale degli autoferrotranvieri. Federici è stato anche assessore comunale a Vibo Valentia con delega al Decentramento durante l’amministrazione comunale guidata dal sindaco Franco Sammarco. Ha condiviso gran parte della sua vita e del suo impegno politico e sociale con Vittoria Toscano, dirigente sindacale della Cgil, dalla quale ha avuto due figli stupendi, Armando e Paola.
La sua militanza ha avuto origine alla fine degli anni ’60, quando il Paese, da Nord a Sud, era attraversato da fortissime tensioni sociali e politiche. Amava definirsi «un guevariano, gramsciano e un po’ maoista». Idealmente – anche se era restio ad ammetterlo – era anche parecchio trotzkista, lui che ancora credeva in una nuova Internazionale ed in una rivoluzione da esportare in tutto il mondo. [Continua]
Anche in epoca post ideologica, ha sempre sostenuto la lotta di classe ed una rivoluzione civile e pacifista che affrancasse i lavoratori, gli umili, i deboli e gli indifesi dal bisogno e dall’oppressione: «Un tempo – diceva – esistevano i latifondisti ed i capitalisti, oggi abbiamo un liberalismo ed una globalizzazione spietati, che mercificano i diritti e le speranze. Essere comunisti significa costruire una società senza classi e oggi, come ieri, è di questo che abbiamo bisogno. Ed io, rassegnati, morirò comunista».
Non ha mai smesso di leggere Marx ed Engles, ma la sua filosofia era nel testamento del Che: «Siate sempre capaci di sentire nel più profondo qualunque ingiustizia, commessa contro chiunque ed in qualunque parte del mondo, perché solo così sarete dei veri rivoluzionari». Era orgoglioso di essere il segretario del circolo vibonese di Rifondazione comunista, era il circolo “Spartacus”, intitolato al gladiatore trace che guidò la terza guerra servile: «Il primo vero comunista», ricordava ai più giovani. Era orgoglioso di essere un macchinista e della sua militanza nell’Orsa, che ha guidato in veste di leader regionale. Protestava e chiedeva un’implementazione del trasporto pubblico locale, si batteva contro quella che definiva come la “sperimentazione dei treni”: mandati qui per una sorta di collaudo, poi trasferiti al Nord e di ritorno giù, nel profondo Sud dimenticato, quando ormai sono da rottamare. Si batteva per i diritti di quanti, spesso dimenticati, lavorano nel settore dei trasporti: «Siamo noi – diceva – che letteralmente muoviamo il Paese».
Il suo guardo severo, il volto corrucciato, la stazza possente e nerboruta, le mani grandi, i bicipiti poderosi. Chi lo incontrava e non lo conosceva restava impressionato perché incuteva soggezione. Ma il “compagno Federici” era una persona buona, sensibile, profonda, generosa, altruista, che aveva le sue fragilità e le sue debolezze, ma che aveva uno spirito nobile e sano. Se ne va un vibonese orgoglioso di essere vibonese. Un attivista politico che si è sempre battuto per i diritti e la giustizia sociale. Diceva di sé, scherzando con quel sorriso sornione, nel fumo delle sue Galoises e mordicchiandosi le mani: «Sono l’ultimo comunista». E forse aveva ragione.