«Ordinanze discutibili e incoerenti, la Santelli si ravveda»
Per Gernando Marasco, componente del coordinamento cittadino del Pd, il presidente della Regione ha «emanato due atti contraddittori non solo sul piano politico ma anche su quello economico»
di Gernando Marasco*
Negli ultimi due giorni di aprile la presidente della Giunta della Regione Calabria ha adottato due ordinanze molto discusse e discutibili, che paiono incoerenti tra loro e che, quand’anche non verranno giudicate illegittime dalle autorità competenti, hanno prodotto un cortocircuito istituzionale e normativo, tra Decreti ministeriali, ordinanze regionali e contro-ordinanze di molti sindaci calabresi, anche di centrodestra.
La prima ordinanza, la numero 37, adotta misure in contrasto a quelle nazionali perché le affievolisce, anticipando di un mese l’apertura al pubblico e all’aperto delle attività di bar e ristorazione; solo lo Stato può decidere le condizioni tollerabili di rischio sanitario, sulla scorta di un Comitato tecnico scientifico (Cts) che conferisce fondamento scientifico alle decisioni nazionali assunte. In nessun caso gli atti regionali possono contraddire frontalmente le norme nazionali, perché la conseguenza sarebbe quella di vanificare l’azione di contrasto al Covid-19, così come predisposta dallo Stato e dal Governo. Il Governo, d’altronde, potrà sempre cambiare opinione innanzi all’evoluzione della situazione epidemiologica, se a motivare cambiamenti su basi regionali saranno, con le loro valutazioni tecniche, le autorità istituzionali sanitarie che lo supportano. [Continua]
Alle Regioni è riconosciuto il potere d’ordinanza, ma limitatamente all’introduzione di “misure restrittive”, che possono essere adottate in presenza di situazioni “sopravvenute” di aggravamento del rischio sanitario verificatesi nel loro territorio o in una parte di esso. Ora, non si capisce dove e quando siano “sopravvenuti” questi nuovi rischi sanitari tali da giustificare l’ordinanza “restringente” n. 38, che consente solo ai calabresi residenti la possibilità di rientrare in regione, escludendo i rientri presso il domicilio o l’abitazione ai non residenti: è una palese violazione del principio di eguaglianza e va in contrasto con l’articolo 120 della Costituzione, che vieta alle Regioni di “adottare provvedimenti che ostacolino in qualsiasi modo la libera circolazione delle persone e delle cose tra le Regioni”.
Senza contare l’incoerenza tra le due Ordinanze: una “di apertura e di fiducia” e l’altra, la mattina dopo, “di sfiducia e di chiusura”. Il risultato surreale potrebbe essere che un tizio residente fuori Calabria, ma domiciliato nella nostra regione, fermato dalle forze dell’ordine in un autogrill o in una stazione calabrese, potrebbe sostenere di essere venuto a prendere un caffè o mangiare una pizza nel bar o nella pizzeria del paese dove possiede un’abitazione o è domiciliato…
Incoerenza che è anche politico-economica: se si pensa che aprire il servizio delle attività di ristorazione possa aiutare l’economia regionale a ripartire, perché impedire a dei calabresi come noi, potenziali avventori, di rientrare dai loro parenti o nelle loro abitazioni? Sono persone che durante la quarantena potrebbero farsi portare cibo a domicilio e, riacquistata la libertà di circolazione, potrebbero fare shopping o andare al ristorante…
La Calabria e la Sardegna, regione però a statuto speciale, sono le uniche a essersi messe così fortemente in contrasto con le norme dello Stato; la presidente della Giunta regionale dovrebbe fare un passo indietro rispetto alle decisioni assunte e riavviare una leale ed effettiva collaborazione istituzionale, così come auspicato dalla presidente della Corte costituzionale Marta Cartabia e dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Diversamente, la parola passerà al Tar.
*Coordinamento cittadino – Partito democratico Vibo Valentia