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Il Corsivo | Comunali a Vibo: la “rivoluzione” copernicana dopo il passo indietro della Limardo

La genesi della proposta di ricandidatura dell’attuale sindaco, le conseguenze del suo ritiro, il ruolo di Michele Comito, la fallita strategia di Vito Pitaro per candidarsi a primo cittadino giocandosela al ballottaggio e il suo inusuale rapporto con il parlamentare Mangialavori

Il Corsivo | Comunali a Vibo: la “rivoluzione” copernicana dopo il passo indietro della Limardo
Nel riquadro a sinistra Michele Comito, a destra Vito Pitaro e Giuseppe Mangialavori
Michele Comito

Attenuatasi la rissa mediatica restano i fatti, mentre le fake news, insieme alle interessate narrazioni,  finiscono nel cestino della carta straccia. Vediamo dunque quali sono i fatti del dopo Limardo. L’input del nuovo corso, dopo il passo indietro del sindaco Limardo, lo ha dato il coordinatore provinciale Michele Comito il quale, attraverso una nota stampa, ha aperto il tavolo del centrodestra a quei partiti andati via ed a quelli che non si erano neppure avvicinati, poiché sia gli uni che gli altri non intendevano supportare la candidatura della Limardo, nè riconoscere il vecchio ruolo di deus ex machina dell’on. Mangialavori, che quella candidatura aveva imposto. L’iniziativa di Comito – al netto della sua solita pappardella sulle gloriose gesta e gli strabilianti risultati ottenuti a favore del territorio dal duo Limardo-Mangialavori ed alle evidenti marchiane contraddizioni (se le cose stessero effettivamente nei termini che Comito si “affanna” inutilmente a voler fare apparire non ci sarebbe stato alcun motivo di sbarazzarsi dell’attuale sindaco) – ha messo in moto una reazione a catena dagli effetti politicamente dirompenti, i quali hanno cambiato il destino dei tre raggruppamenti che si stanno contendendo la conquista di palazzo Razza.

Pitaro, Limardo e Mangialavori

Il centrodestra, liberatosi dal giogo della Limardo, da probabile escluso dal ballottaggio, con l’entrata in campo di Azione vede invece aumentare le proprie chances in maniera forse determinante sull’esito finale della competizione. Il centrosinistra perde il suo migliore alleato, quella Limardo la quale – attraverso il prevedibile massiccio utilizzo del voto disgiunto a suo danno – rappresentava per Romeo una vera manna dal cielo. Il polo di centro è ovviamente quello più penalizzato: la decisione di Stefano Luciano, sulle cui motivazioni rinviamo al contenuto dell’intervista rilasciata al direttore della nostra testata, oltre a far venire meno il sostanzioso numero di voti che garantiva fino a quel momento la sicura partecipazione al ballottaggio a scapito di un centrodestra messo veramente male, ha fatto venir meno la copertura d’immagine a Vito Pitaro,  che fino a quel momento – stando a quanto sostenuto dal responsabile provinciale di Noi Moderati, Maria Rosaria Nesci, anche a nome di tutte le rimanenti forze del polo di centro, attraverso una polemica nota stampa non sottoscritta però da nessuna altra siglaera il candidato a sindaco. Sempre in base al racconto della Nesci, Pitaro, bontà sua, avrebbe declinato l’invito, alla luce – presumiamo noi – degli “effetti” di cui abbiamo detto, connessi alla presa di posizione di Luciano. Stando così le cose, occorre chiedersi quale sia la vera genesi della proposta di ricandidatura dell’attuale sindaco: le gravi conseguenze alle quali sarebbe andata incontro Forza Italia e l’intera coalizione erano infatti così facilmente intuibili che la preoccupazione del parlamentare di dover ammettere pubblicamente l’errore commesso nel 2019 non può da sola giustificare quella scelta suicida. Evidentemente esistono altre ragioni, che vanno ricercate facendo un ragionamento inverso rispetto a quello fatto per esplicitare i “vantaggi” ottenuti dal centrodestra in seguito alla rinuncia del sindaco. Se fosse rimasta in piedi quella candidatura (Limardo), gli effetti sarebbero stati con molta probabilità i seguenti: 1) quel centrodestra (Forza Italia e Fratelli d’Italia) non sarebbe arrivato al ballottaggio; 2) il partito di Azione sarebbe stato costretto, suo malgrado, a subire la candidatura di Vito Pitaro, che a quel punto sarebbe andato al ballottaggio insieme a Romeo ed in quella fase avrebbe goduto del sostegno degli ex alleati di centrodestra rischiando – ovviamente non per lui, ma per la città – di divenire sindaco. Sulla scorta di quello che diremo, forse è proprio questa la giusta chiave di lettura di quella scelta di Mangialavori; tale assunto non ha nulla a che vedere con la fantapolitica, ma poggia su basi più che solide, individuabili nell’inusuale rapporto di “consulenza politica” intercorso tra Mangialavori e Pitaro nel periodo in cui il primo, dopo aver concluso la propria esperienza di consigliere regionale, eletto tra le fila del Popolo della Libertà di berlusconiana memoria, stava politicamente lavorando per ottenere una candidatura sicura da Forza Italia per accedere al Senato, ed il secondo era capostruttura del consigliere regionale del Partito Democratico Michele Mirabello; se i  due politici avevano questo tipo di rapporti  pur militando su fronti diametralmente opposti, nulla può essere escluso oggi, dopo che per l’intera consiliatura comunale, tranne un breve tratto finale, Mangialavori e Pitaro sono stati un unico corpo a sostegno della Limardo.

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