I retroscena del “caso Mangialavori” fra inchieste, una politica vibonese miope e i silenzi che non pagano
Dalla mail della giunta di Vibo usata per "pressare" il presidente del Consiglio all’ipocrisia sul procuratore Gratteri e le sue inchieste. Dal secco No della Meloni a Mangialavori sottosegretario alla creazione di un clima di odio nei confronti dei giornalisti sino all’uscita di alcune testate calabresi per offrire un assist (infruttuoso) al deputato vibonese. E poi la “vicenda Pitaro” e quel destino comune…
Si è svolta oggi a Palazzo Chigi la cerimonia di giuramento dei sottosegretari di Stato, alla presenza del presidente del Consiglio Giorgia Meloni. Tiene però ancora banco l’esclusione del deputato vibonese, Giuseppe Mangialavori, dalla nomina di sottosegretario alle Infrastrutture. Non perché qualcuno abbia posto il tema delle competenze specifiche di un senologo in un settore delicato come i lavori pubblici e le Infrastrutture, ma per una serie di eventi che andiamo a ricostruire svelando diversi retroscena. E’ venerdì 28 ottobre quando nel primo pomeriggio La Repubblica solleva il “caso Mangialavori” con un articolo che richiama in buona parte ciò che la nostra testata ha iniziato a pubblicare sin dal luglio 2020. Questo primo dato smentisce in maniera netta quanto sostenuto da Mangialavori stamane in un’intervista alla Gazzetta del Sud e ieri al Corriere della Sera. “Gli articoli di stampa – ha affermato il deputato di Forza Italia – sono stati pubblicati nell’imminenza della mia designazione. Cosa aggiungere?”.
Nulla – aggiungiamo noi – se non che gli articoli di stampa che danno conto di quanto emerge nelle inchieste della Dda di Catanzaro, guidata dal procuratore Gratteri, denominate Imponimento e Rinascita Scott, sono state pubblicate dalla nostra testata a più riprese nell’ambito dell’esercizio del diritto di cronaca (giudiziaria, in questo caso) dando spazio anche alle reazioni che tali articoli hanno suscitato nel mondo politico e nello stesso Mangialavori. [Continua in basso]
Era infatti il 28 giugno 2021 quando l’allora senatore (oggi deputato) di Forza Italia, nonché coordinatore regionale del partito, replicava ad un nostro articolo che dava conto di quanto dichiarato in un verbale alla Dda nel novembre 2019 dal collaboratore di giustizia di Vibo, Bartolomeo Arena. Verbale in cui il teste della pubblica accusa nel maxiprocesso Rinascita Scott – in un interrogatorio con il pm De Bernardo e il maggiore dei carabinieri Palmieri inerente le conoscenze sulla cosca Anello di Filadelfia – dopo aver spiegato il ruolo di Rocco Anello nella ‘ndrangheta e le alleanze del clan, faceva mettere a verbale: “Anche i figli di Rocco e Tommaso Anello – uno di questi si chiama Francesco – li ho conosciuti personalmente, fanno parte dell’omonimo gruppo criminale e si occupano principalmente di veicolare messaggi. Gli Anello per veicolare messaggi su Vibo si servono spesso di Michele Barba, il soggetto che è legato con il politico Mangialavori di cui ho già parlato in altri verbali”.
Mangialavori aveva reagito con una replica al nostro articolo parlando di “ricostruzioni fantasiose” ad opera della stampa annunciando querele (la cui temerarietà, a nostro avviso, è lampante) non verso Bartolomeo Arena ma verso i giornalisti (LEGGI QUI: Clan e voti, il senatore Mangialavori contro la stampa: «Ricostruzioni fantasiose». La nostra risposta). Il 4 agosto 2021, quindi, il collaboratore Bartolomeo Arena – chiamato a deporre nel maxiprocesso Rinascita quale teste della pubblica accusa – ad una precisa domanda del pm Annamaria Frustaci in udienza in merito ai politici che avevano legami con i clan e che sarebbero stati sostenuti elettoralmente ha così risposto: “Il senatore Giuseppe Mangialavori”.
A lato ed in fondo all’articolo pubblichiamo per la prima volta la parte inerente la trascrizione del verbale di udienza di Rinascita Scott del 4 agosto 2021 con il passaggio in questione. [Continua in basso]
Gli articoli di stampa riguardanti Mangialavori per quanto attiene l’operazione Imponimento sono stati invece pubblicati sin dal luglio del 2020. E cosa emerge da tale inchiesta? Che tre persone arrestate con l’accusa (fra le altre) di associazione mafiosa – l’ex consigliere comunale di Vibo Francescantonio Tedesco, l’imprenditore di Maierato Daniele Prestanicola e l’ex assessore del Comune di Polia Giovanni Anello (ritenuti tutti organici al clan Anello di Filadelfia) – avrebbero “contribuito a formare la strategia del sodalizio criminale (clan Anello) in ambito politico, come quando promuovevano il sostegno della cosca alle elezioni politiche nazionali del 2018 per il dott. Mangialavori Giuseppe, poi eletto al Senato della Repubblica”.
Questo si legge nei capi di imputazione mossi dalla Dda di Gratteri ai tre arrestati, uno dei quali – Daniele Prestanicola – il 19 gennaio scorso al termine del processo con rito abbreviato è stato condannato a 16 anni e 2 mesi e nei suoi confronti ha retto anche il capo d’accusa relativo all’associazione mafiosa in cui è confluita la contestazione per la promozione del sostegno elettorale del clan Anello “nelle politiche del 2018 in favore di Mangialavori candidato al Senato”.
Dagli atti dell’inchiesta Imponimento emerge pure che “Anello Giovanni e Prestanicola Daniele, hanno incontrato Mangialavori Giuseppe”. Qui non ci sono collaboratori di giustizia, ma tali dati la Dda di Catanzaro li ricava dalle intercettazioni e dai riscontri alle stesse. Giuseppe Mangialavori – lo ribadiamo per l’ennesima volta – non risulta indagato nell’inchiesta Imponimento e neanche nell’operazione Rinascita Scott.
Ma allora cosa rileva e cosa ha destato scalpore anche a livello nazionale? Alcuni dati di fatto che hanno rilievo sotto il profilo politico: oltre l’aver incontrato persone successivamente arrestate per mafia (nessun addebito penale, ovviamente, ma considerazioni politiche sulla capacità di riconoscere o meno persone dalle quali era preferibile, probabilmente, tenersi alla larga), la Dda ha posto l’accento – e lo si legge negli atti di Imponimento – sul fatto che la figlia del boss di Filadelfia Tommaso Anello “dal 2018 è dipendente della Salus Mangialavori Srl (laboratorio di analisi cliniche) con sede in via Don Bosco a Vibo Valentia”. [Continua in basso]
Su tali specifiche vicende, Giuseppe Mangialvori – pur sollecitato pubblicamente sin dal 2020 dal presidente della Commissione parlamentare antimafia Nicola Morra a fornire delle spiegazioni (ed anche nel luglio scorso) – non ha mai inteso dire nulla e, ove Mangialavori non l’avesse ancora capito, la vicenda inerente la sua esclusione dal Governo è dovuta anche ai suoi silenzi mantenuti su tali argomenti. Ed i silenzi in politica in alcune circostanze, a nostro avviso, si pagano.
Solo oggi – a distanza di due anni da quanto abbiamo pubblicato sin dal luglio del 2020 – Mangialavori ha inteso rispondere alla Gazzetta del Sud ad una specifica domanda sul punto. Questa la domanda:“Dalla carte di Imponimento si rileva come la figlia di Anello sia stata assunta nella clinica di proprietà della sua famiglia prima delle Politiche del 2018. Tutto regolare?”. Questa la risposta di Mangialavori: “Che sia stata assunta in clinica non c’è ombra di dubbio, peraltro è un’infermiera validissima, sposata con un suo collega che lavora in un’altra struttura. E’ una persona seria. Forse non ha diritto di lavorare o ad avere una vita normale solo per il cognome che porta?”.
Intendiamoci: se Mangialavori paga il silenzio da lui scelto in questi anni su alcune vicende, è anche vero che se queste sono le sue argomentazioni – alla luce della risposta fornita sul punto alla Gazzetta – non sarebbe andato ugualmente molto lontano. Il perché è presto detto ed aveva provato a spiegarglielo pure il presidente della Commissione parlamentare antimafia, Nicola Morra, in un Post (pubblicato anche dalla nostra testata) del 14 luglio scorso. “Quale componente della Commissione parlamentare antimafia, il senatore Mangialavori come intende contrastare il clan Anello di Filadelfia dal quale non risulta – aveva evidenziato e chiesto Morra – nessuna presa di distanza pubblica da parte della figlia di Tommaso Anello, dipendente della Salus Mangialavori srl?”.
Perché il punto – che il deputato Mangialavori dalla risposta alla Gazzetta sembra non aver ancora compreso – sta proprio qui: tralasciando la tempistica dell’assunzione (pochi mesi prima delle Politiche del 2018 e su questo Mangialavori non ha ancora detto nulla) nessuno condanna nessuno solo per il cognome che porta, ma se una persona con il padre in galera per gravi reati, e già condannato in passato in via definitiva per reati di mafia quale vertice (insieme al fratello) del clan, non prende le distanze pubbliche dal genitore e questa stessa persona al tempo stesso viene poi assunta nel laboratorio privato della famiglia di un politico, si pone un problema di natura politica (altri aspetti dovrebbe invece valutarli la Prefettura) di opportunità e non solo. Ed il “non solo” sta nel fatto che appare a dir poco paradossale che lo stesso politico – componente nella scorsa legislatura della Commissione parlamentare antimafia – vada poi magari a Filadelfia a parlare di lotta alla mafia che a quelle latitudini si chiama clan Anello…!
Mangialavori si è per caso posto il problema di come la famiglia (il padre e lo zio in particolare) dell’assunta nel laboratorio guardi allo stesso Mangialavori e cioè se con benevolenza per l’assunzione o invece lo consideri un nemico in quanto deputato della Repubblica e sino alla scorsa legislatura componente della Commissione parlamentare antimafia? O sono cose che non devono interessare?
Il “caso” Tedesco
Il 29 aprile 2021 la Cassazione con sentenza n. 16413 – come ha ricordato anche il presidente dell’Antimafia Nicola Morra – ha respinto la richiesta di scarcerazione dell’ex consigliere comunale di Vibo, Francescantonio Tedesco (accusato di associazione mafiosa ed estorsione aggravata) e nelle motivazioni i giudici spiegano che “l’analisi congiunta delle vicende del Resort Galia e della campagna elettorale di Mangialavori sono ritenute esplicative della condotta partecipativa, sottolineandosi la capacità dell’indagato Tedesco di operare sul versante economico e politico nell’interesse della consorteria”.
Gli altri dati sottolineati dalla Cassazione sono: “la convinzione che Rocco Anello fosse in grado di apportare un forte contributo in termini di voti; l’interesse del Mangialavori per il sostegno elettorale che, tramite il Tedesco, poteva ricevere da Anello Rocco; l’intenzione di Rocco Anello di presenziare ad un evento elettorale solo se vi fosse stato anche Tedesco; la conferma del supporto del capocosca per l’affermazione del candidato sostenuto da Tedesco”.
A tali assunti la Cassazione arriva analizzando il lavoro della Dda di Catanzaro e in particolare anche le intercettazioni (telefoniche) del gennaio 2018 fra Francescantonio Tedesco ed il futuro senatore Giuseppe Mangialavori. (Per tutti I DETTAGLI SUL PUNTO LEGGI QUI: “Imponimento”: i voti a Filadelfia, il boss Anello e l’interesse per il senatore Mangialavori).
Repubblica e gli strani articoli a “sostegno” di Mangialavori
Messe da parte per ora le vicende giudiziarie per le quali – lo ripetiamo – Mangialavori non è indagato, ritorniamo alle vicende immediatamente successive all’articolo di La Repubblica di venerdì pomeriggio che sollevano il “caso Mangialavori” a livello nazionale. E qui dobbiamo registrare una serie di “anomalie” da parte di alcuni organi di informazione calabresi e nel caso di specie da parte di tre giornali on line. La mattina di sabato 29 ottobre viene infatti pubblicato un articolo sul processo Imponimento come se fosse un normale resoconto di un’udienza avvenuta il giorno prima o pochi giorni prima. L’incipit iniziale è infatti il seguente ed è quanto mai fuorviante: “È ripartito dell’esame del maresciallo del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria della Guardia di Finanza, Giuseppe Spadafora, il processo “Imponimento” contro le cosca Anello-Fruci di Filadelfia…”. Il titolo dell’articolo è eloquente: “Imponimento, l’attenzione del clan per gli equilibri criminali e il «disinteresse» di Anello per la politica”. Il catenaccio del pezzo ancora più eloquente su ciò che si sosterrà nell’articolo: “Il disimpegno sulle elezioni. «Non conosceva Mangialavori»”.
Ora, a parte che la Dda guidata dal procuratore Gratteri non ha mai sostenuto che il boss Rocco Anello conosceva Giuseppe Mangialavori (l’accusa sostiene invece un sostegno elettorale del clan attraverso tre persone poi arrestate – Tedesco, Prestanicola e Giovanni Anello – che è cosa ben diversa), nel pezzo in questione non c’è alcun riferimento a La Repubblica ed a quanto sollevato il giorno prima sul “caso Mangialavori”, ma – lo ripetiamo – la vicenda è stata trattata come se fosse il normale resoconto di un’udienza recente. Ci siamo procurati la trascrizione dell’udienza in questione pubblicata dal giornale on line calabrese mattina di sabato 29 ottobre 2022 e qui la sorpresa (almeno per noi): l’udienza in questione si è tenuta – udite, udite – il 9 settembre scorso.
Come mai, dunque, tale resoconto giornalistico – di certo, così come impostato, non sfavorevole a Mangialavori – viene tirato fuori solo giorno 29 ottobre a distanza di un mese e mezzo da quando si è tenuta l’udienza (9 settembre) e si arriva a scrivere tranquillamente “È ripartito dell’esame del maresciallo il processo Imponimento….”? Ma ripartito da cosa? Probabilmente si intendeva dallo stop della pausa estiva di agosto, solo che se ne dà contezza solamente il 29 ottobre (quando nel frattempo si sono tenute diverse udienze del processo Imponimento a settembre ed ottobre) dopo che il giorno prima La Repubblica ha sollevato il “caso Mangialavori”. Ogni lettore può farsi un’idea della vicenda.
Nella stessa giornata altro quotidiano on line calabrese riprende la medesima notizia (se notizia può definirsi) negli stessi termini (non sappiamo se per gli stessi intenti – a noi sconosciuti – del primo giornale o per ripresa del lavoro altrui) e giorno 30 ottobre ci pensa altro giornale on line regionale a ritornare ancora sulla medesima non notizia (puntando già nel titolo sulla non conoscenza di Anello con Mangialavori) che risale all’udienza – lo ribadiamo – del lontano 9 settembre.
I seguaci di Mangialavori e il “suicidio” politico
Che tali articoli incentrati sul fatto che il boss Rocco Anello non conosca Mangialavori siano serviti (anche al di là delle intenzioni dei tre giornali che non ci riguardano) ai seguaci del deputato di Forza Italia quale “risposta” all’inchiesta di La Repubblica ci viene confermato direttamente dalla loro condivisione “ossessiva” sulla rete e sui social network da parte di alcuni sindaci che di lì a poco si renderanno protagonisti della firma e dell’invio di un documento a sostegno di Mangialavori sottosegretario. Un nome su tutti: il sindaco di Dasà Raffaele Scaturchio che ha pensato bene (o male, a questo punto) di pubblicare e postare uno di tali articoli sulla mancata conoscenza del boss Anello con Mangialavori proprio sulla bacheca Facebook della nostra testata – Il Vibonese.it – nei commenti ad altro nostro articolo in cui davamo invece conto degli sviluppi romani del “caso Mangialavori”.
Le “danze” con mail di sostegno in favore di Mangialavori sottosegretario iniziano sin dalla mattina di domenica 30 ottobre. Le redazioni dei giornali e le agenzie di stampa vengono letteralmente “bombardate” dall’invio di messaggi e comunicati stampa pro Mangialavori sottosegretario: inizia Roberto Occhiuto e a ruota lo seguono il deputato forzista di Rosarno Giovanni Arruzzolo, poi il cognato consigliere regionale di Forza Italia Michele Comito, quindi il gruppo consiliare di Forza Italia al Comune di Vibo e poi assessori regionali e persone vicine al deputato di Forza Italia. “Scende in campo” anche il vicepresidente della Camera, Giorgio Mulè di Forza Italia, ma ai microfoni di Radio 24, ad una domanda sull’argomento da parte della giornalista Maria Latella, cita atti giudiziari sbagliati nelle date e nel contenuto (LEGGI QUI: “Caso Mangialavori”, pressing su Meloni pure da Occhiuto e dal vicepresidente della Camera).
Il livore contro i giornalisti e la creazione di un clima pericoloso
Il “clima” con il passare dei minuti e delle ore fra sabato e domenica scorsi diventa “incandescente”. Sui social network si scatenano letteralmente i sostenitori di Mangialavori con toni più che accesi: sindaci, avvocati, fans de Il Riformista, amministratori pubblici, assessori, “professionisti” della politica, pseudo “garantisti”, parrucchieri, autisti di politici, disoccupati e chi più ne ha, più ne metta. E’ “caccia” al giornalista, a Repubblica principalmente, ma anche a chi – a loro solo avviso – ha “imbeccato” il quotidiano nazionale. Neanche li sfiora, sino a quel momento, un possibile “fuoco amico”. Meno che mai li sfiora il pensiero che ciò che da due anni abbiamo scritto e sul quale hanno adottato la tecnica siciliana del “Calati juncu ca passa la china” possa non essere bastato per arginare fatti che, per forza di cose, avrebbero varcato i confini provinciali visto che in ballo c’era la nomina per un sottosegretario di Stato. Nel mirino degli “educati” supporter del sottosegretariato a tutti i costi per Mangialavori ci finiamo anche noi: “Giornalai, distruttori di famiglie, frustrati, falsi, asserviti alla Procura, calunniatori, invidiosi, giustizialisti, ignoranti e vergognatevi” sono solo alcuni dei gentili complimenti che ci sono stati rivolti pubblicamente (abbiamo conservato e salvato tutto ed ognuno risponderà, come già qualche sindaco, nelle sedi opportune) da alcuni “politici” e raffinati “intellettuali”. Ma abbiamo spalle larghe e va bene anche così. Nel mirino ci finisce, naturalmente, pure il presidente della Commissione parlamentare antimafia Nicola Morra.
Il documento dei sindaci e la mail della giunta del Comune di Vibo
L’apice del “bombardamento” mediatico pro Mangialavori viene raggiunto quando domenica 30 ottobre alle ore 13:54 alle redazioni dei giornali arriva una mail inviata dal seguente indirizzo: giunta.vibovalentia@gmail. com.
La prima firmataria del documento pro Mangialavori è il sindaco di Vibo Valentia, Maria Limardo, ed è la prima volta che una mail della giunta comunale – che dovrebbe servire per inviare solo notizie su atti o iniziative dell’esecutivo del primo cittadino – viene invece utilizzata per “spingere” un deputato di Forza Italia verso la nomina a sottosegretario. Mail di fatto – a leggere il documento – che va addirittura contro la decisione del presidente del Consiglio dei Ministri, Giorgia Meloni, di lasciare fuori Mangialavori dalla nomina a sottosegretario.
Già il solo invio di tale documento pro Mangialavori ai giornali usando quale indirizzo mail quello della “giunta.vibovalentia” – e lo sveliamo ora per la prima volta – ha infastidito non poco il presidente del Consiglio, irritata sin dalla mattinata per il “bombardamento” di comunicati sulle agenzie di stampa (che come un “disco rotto” parlavano di fatti processuali che dimostravano neanche di conoscere) a sostegno del deputato vibonese.
Il contenuto del documento e le inchieste di Gratteri
Poi c’è il contenuto del documento che è tutto un programma. “Chi pensa di macchiare, attraverso articoli di stampa, l’immagine di una persona perbene – si legge nello stesso – oltre che di un professionista stimato ed un politico eccellente, rimarrà deluso. Non possiamo accettare che delle semplici chiacchiere vengano travisate e trasformate in atti di accusa pubblici nei confronti di una persona specchiata, che ha servito e continuerà a servire la sua terra, e che ci auguriamo lo possa fare da una postazione di governo. Non possiamo permettere che queste macchie di fango, smentite dagli atti e dai fatti, impediscano alla Calabria di avere un rappresentante all’interno del governo. È prima di tutto una questione di civiltà: non possiamo permetterci di cedere al più becero giustizialismo, che è la tomba dei diritti e delle libertà. Una postazione nel governo è ciò che Giuseppe Mangialavori merita e che la Calabria intera merita”.
Conviene fermarsi qui. Qui per registrare che abbiamo dunque alcuni sindaci del Vibonese – se l’italiano non è arabo e la logica ha ancora un senso – che al tempo stesso applaudono (sindaco di Vibo in testa) il procuratore Gratteri per le inchieste ma contemporaneamente le definiscono “chiacchiere travisate” ed “atti di accusa pubblici nei confronti di una persona specchiata” quando si fa il nome del deputato forzista Giuseppe Mangialavori. Ora, fra i firmatari del documento ci sono pure dei sindaci che sono avvocati ed altri che – tralasciando gli esaltati di turno che pur non mancano – sono pure dei capaci amministratori nei loro paesi e dunque ci si chiede: ma è mai possibile che a nessuno di loro è venuto in mente che i capi di imputazione di Imponimento dove compare (pur non indagato) il nome di Mangialavori quale beneficiario (questa l’ipotesi di accusa) dei voti del clan Anello siano stati formulati anche dal procuratore Gratteri?
E’ mai possibile che solo nel Vibonese ed in Calabria non si riesca ad uscire da tale ipocrisia? C’è di più: qualcuno dei sindaci firmatari del documento pro Mangialavori e che nei mesi scorsi ha inondato la rete con foto accanto al procuratore di Vibo Camillo Falvo – confondendo visite di cortesia per premi o pubbliche manifestazioni per vicinanza nei loro confronti – sanno che a parte dell’inchiesta Imponimento ha lavorato pure il procuratore Falvo nelle vesti di pm della Dda?
Ed inoltre: ma davvero pensavano con tale documento – con quei toni e quegli argomenti – di “piegare” il presidente del Consiglio facendola recedere dalla decisione di lasciare fuori dal Governo Giuseppe Mangialavori? Davvero pensavano di poter ottenere qualcosa denigrando la stampa e i giornalisti? Se pensavano tutto ciò, ci troviamo dinanzi ad una classe politica vibonese per buona parte miope ed incapace di leggere gli scenari politici (e non solo quelli). Cosa hanno rimediato con tale documento pro Mangialavori? Solo una figuraccia a livello nazionale isolando ancor di più il Vibonese dal resto d’Italia. Perché ciò che loro nel documento hanno definito come “chiacchiere”, tali non sono state evidentemente ritenute dal presidente del Consiglio Giorgia Meloni che ha deciso di lasciare fuori Mangialavori dal Governo.
Così agendo, i sindaci firmatari del documento si sono posti in una posizione di debolezza politica anche quando andranno a “bussare” ad un qualsiasi Ministero per ottenere qualcosa per i loro paesi, venendo identificati come coloro che hanno scelto di affidarsi ad un leader politico (Mangialavori non voluto quale sottosegretario) legato a quella stessa Licia Ronzulli – già infermiera di Berlusconi – stoppata dalla Meloni per qualunque incarico di Governo e nei fatti uscita fortemente ridimensionata sullo scenario politico nazionale.
A dare la “mazzata” finale – ed era inevitabile – è arrivato infine anche Il Fatto Quotidiano che domenica sera – dopo il bombardamento pro Mangialavori da parte dei suoi sostenitori – con il giornalista Paolo Frosina ha tirato fuori un articolato pezzo sul deputato vibonese e su tutta la vicenda che l’ha riguardato (LEGGI QUI: Sottosegretari, Il Fatto Quotidiano sul “caso Mangialavori” che «Meloni non vuole» svela nuovi retroscena).
I sindaci che fanno marcia indietro e la telefonata di Berlusconi alla Meloni
Nella tarda serata di domenica Mangialavori è dunque definitivamente fuori dalla lista dei sottosegretari. Siamo tra i primi – nella notte di lunedì insieme a La Repubblica – a dare la notizia, ripresa poi sin dalla mattinata da tutti gli altri organi di informazione. Sveliamo ora che diversi sindaci che hanno firmato il documento pro Mangialavori – da noi contattati – si sono già smarcati dallo stesso: c’è chi lo definisce un grave errore politico, c’è chi giura di non averne letto il contenuto, c’è chi ha dichiarato di aver dato adesione ma poi non firmato, c’è chi si è dichiarato ingannato e chi ci gira ancora intorno per vedere come ritornare sui propri passi. Una prova di “forza” finita male, dunque, che nelle prossime settimane – dopo l’autosospensione del sindaco di Arena dal Pd – potrebbe riservare nuove e clamorose sorprese.
Sappiamo poi che sino alla fine –la conferma arriva anche dal Corriere della Sera – Berlusconi ha tentato con una telefonata alla Meloni, su pressing di Licia Ronzulli, di “imporre” Mangialavori quale sottosegretario. La risposta del presidente del Consiglio è stata la seguente: “No, no e no”.
Il silenzio su Pitaro e gli scenari futuri
Alla luce di tali vicende non resta che evidenziare infine due dati: Giuseppe Mangialavori paga – a nostro avviso – di aver scelto per due anni la via del silenzio dinanzi a inchieste (Imponimento e Rinascita dove è finito il suo nome) e avvenimenti politici anche importanti, snobbando i giornalisti e non riconoscendone neanche il loro ruolo; si è detto che Mangialavori non è indagato e non è imputato (ed è vero), quindi in molti fanno osservare che non esistono problemi. Benissimo, aggiungiamo noi. Ma aggiungiamo anche una domanda che abbiamo formulato da tempo allo stesso Mangialavori e all’ex consigliere regionale Vito Pitaro, eletto nel gennaio 2020 con il centrodestra (lista “Santelli presidente”) dopo anni trascorsi fra Rifondazione comunista e il Pd, ma non ricandidato nelle ultime regionali che hanno portato alla vittoria di Occhiuto. Anche il nome di Vito Pitaro è emerso nelle inchieste antimafia – Rimpiazzo e Rinascita Scott – per contatti con esponenti dei Piscopisani, di San Gregorio e Vibo Valentia. Non è indagato, al pari di Mangialavori, ma non è stato ricandidato – unico caso d’Italia – alle ultime regionali. Perché non è stato ricandidato? E se Pitaro è stato fatto fuori perché il suo nome è venuto fuori nelle inchieste, perché la stessa cosa non è valsa per Mangialavori (piazzato alla Camera capolista nel listino bloccato)?
Quale la differenza fra i due che, fra l’altro – come postato dallo stesso Mangialavori in più foto sul suo profilo Facebook – dopo un breve periodo di allontanamento per la mancata ricandidatura si fanno da tempo vedere tranquillamente insieme? Sia Pitaro che Mangialavori non hanno mai spiegato pubblicamente le ragioni della mancata ricandidatura dell’ex consigliere regionale. Un silenzio – chi fa politica non può tacere su una cosa simile – che si rischia di pagare caro.
E’ vero, anche Giorgia Meloni non ha ufficialmente motivato la scelta di opporre un netto rifiuto alla nomina di Mangialavori a sottosegretario. Ma le due vicende – la mancata ricandidatura di Pitaro alla Regione e la mancata nomina di Mangialavori a sottosegretario – potrebbero essere più legate di quanto si pensi e avere alla base le stesse motivazioni. Quali? In tempi brevi potrebbero (dolorosamente per più di qualcuno) venir fuori. Non resta che attendere. Chi vivrà, vedrà.
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Sottosegretari, La Repubblica e “caso Mangialavori”, alcuni sindaci in difesa del deputato