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Il Corsivo | Le elezioni politiche nel Vibonese fra contraddizioni, silenzi ed imbarazzi

Dalla giustizia alla legalità, dal nazionale al locale, dalla mancate candidature al “Sistema Vibo”, ecco perché un intero territorio potrebbe pagare a caro prezzo anni di malgoverno. Ma questa volta rischiano in prima persona pure diversi politici…

Il Corsivo | Le elezioni politiche nel Vibonese fra contraddizioni, silenzi ed imbarazzi

Ultimi giorni di campagna elettorale anche nel Vibonese e nella Piana di Gioia Tauro che, per la prima volta, sono stati accorpati in unico collegio per la quota maggioritaria della Camera dei deputati. Questo significa che i due territori dovranno esprimere un unico deputato che andrà in Parlamento a rappresentare gli interessi dei due territori confinanti. C’è poi una quota di aspiranti deputati candidata alla Camera nella quota proporzionale (liste con nomi bloccati per tutta la Calabria) mentre per quanto riguarda il Senato, il territorio vibonese per la quota maggioritaria voterà con identici candidati insieme alla provincia di Reggio Calabria e per la quota proporzionale con candidati uguali per tutta la Calabria. Ci siamo già occupati dei finanziamenti fatti arrivare nel Vibonese dai parlamentari uscenti: 12 milioni di euro per il Comune di Vibo dal ricandidato deputato del M5S, Riccardo Tucci, più altri fondi ottenuti per la Provincia, due milioni per la riqualificazione di piazza Municipio ottenuti dal senatore Giuseppe Mangialavori (ora ricandidato alla Camera ma nel listino bloccato del proporzionale), qualche milione in più del senatore azzurro ottenuto da Dalila Nesci (grazie anche al suo ruolo di sottosegretario), ricandidata con “Impegno civico” (il partito fondato da Luigi Di Maio dopo l’allontanamento dal M5S) nel proporzionale alla Camera ed anche alla stessa Camera dei deputati nel maggioritario nel collegio Vibo-Piana di Gioia Tauro. Ogni elettore sarà in grado di farsi un’idea se e quanto le condizioni del territorio vibonese (ad iniziare dalla viabilità, primo biglietto da visita per qualunque località) siano migliorate dal 2018 ad oggi “grazie” all’opera dei tre parlamentari in questione, tralasciando la senatrice Silvia Vono eletta nel collegio Vibo-Soverato con il M5S e poi trasvolata con Renzi ed infine in Forza Italia e tralasciando anche l’operato del deputato uscente del Pd, Antonio Viscomi da Pizzo Calabro, di cui non si segnalano finanziamenti intercettati per il Vibonese, al pari della presentazione di disegni di legge, e che comunque non è stato ricandidato. Ricandidato è pure il senatore vibonese della Lega Fausto De Angelis, parlamentare solo dal marzo scorso.   [Continua in basso]

Salvini e Meloni

Ci soffermiamo invece su un tema quasi del tutto ignorato in campagna elettorale nel Vibonese quanto nel Reggino: la legalità. E per far questo non possiamo non partire dalle vicende politiche nazionali per poi addentrarci nelle dinamiche politiche vibonesi al fine di evidenziarne tutte le contraddizioni.
Innanzitutto occorre premettere un dato di fatto ignorato dai tanti e troppi commentatori e “galoppini” politici in queste ore letteralmente scatenati sui social quanto nei bar: la crescita nei sondaggi di Fratelli d’Italia – partito erede di Alleanza nazionale e quindi del vecchio Movimento sociale italiano (non a caso in un collegio del Nord FdI candida pure la figlia di Pino Rauti) – non è data dalla caduta del Governo Draghi ma è un prodotto del Governo Draghi (e la differenza non è da poco). Fratelli d’Italia – ridotto al 5% nel corso del primo e del secondo Governo Conte – cresce in maniera esponenziale nei sondaggi per un motivo preciso: perché tutte le forze politiche in Parlamento hanno dato vita al Governo Draghi, collocandosi la sola Fratelli d’Italia all’opposizione e raccogliendo così facilmente il malcontento popolare pur non avendo – a nostro avviso – né le basi, né la cultura politica (negli uomini e nelle idee) per poter aspirare a governare un Paese dopo essere riusciti a catturare il consenso elettorale ed anche tutti i pro-Draghi di destra che stavano dentro il Governo con Forza Italia e la Lega. La Meloni, in sostanza, è stata “costruita” da tutti quelli che hanno sparato a zero contro il Governo “Conte due” per un anno e mezzo, fino a buttarlo giù. Un vero suicidio politico – e di suicidi il Pd se ne intende – inaspettato per la stessa Giorgia Meloni, “terrorizzata” di vincere sebbene faccia di tutto per camuffarsi da persona affidabile per l’establishment e i poteri costituiti, quindi l’esatto contrario di quello che dovrebbe essere una forza politica dirompente che si propone di governare per la prima volta, anche se, in realtà, rappresenta tutto il vecchio possibile e lei stessa (Giorgia Meloni) è stata ministro della Gioventù nel 2008 nel Governo Berlusconi (seppur nessuno ricorda un suo provvedimento in tale veste).

Tutti nel “calderone” di Fratelli d’Italia

Carlo Nordio

Non è un caso che nelle liste di Fratelli d’Italia fra i candidati si trovi davvero di tutto, compresa gente che con la destra storica ha avuto ben poco a che fare: dall’ex ministro del Governo Monti Giulio Terzi a Giulio Tremonti, titolare del super dicastero dell’Economia dei Governi Berlusconi, da Antonio Guidi, già ministro della Solidarietà sociale nel primo esecutivo del Cavaliere sino a Marcello Pera, ex presidente del Senato ai tempi di Berlusconi e del Popolo della Libertà, dal forzista Lucio Malan sino all’ex pm della Procura di Venezia Carlo Nordio, divenuto famoso ai tempi di Mani Pulite (condotta dalla Procura di Milano) per aver indagato sulle “tangenti rosse” ma i cui risultati processuali – per anni annunciati dai giornali di destra – non si sono mai visti. Lo stesso Carlo Nordio che aspira a divenire prossimo ministro della Giustizia, da sempre ben visto dal leader di Forza Italia Silvio Berlusconi, e soprattutto fautore della discrezionalità dell’azione penale da parte del pubblico ministero (nella nostra Costituzione è invece prevista l’obbligatorietà dell’azione penale), dell’inappellabilità delle sentenze assolutorie di primo e secondo grado, della riduzione delle intercettazioni quale strumento di prova nel processo penale ed anche del ripristino dell’immunità parlamentare per deputati e senatori. Tutte idee care a Forza Italia, con buona pace di Fratelli d’Italia che con Giorgia Meloni – e Wanda Ferro in Calabria – vanno parlando nei comizi di “certezza della pena”, lotta alla mafia ed alla corruzione e di soppressione della legge Cartabia.
Carlo Nordio – lo ripetiamo – è candidato fra le fila di Fratelli d’Italia e non di Forza Italia ed aspira ad essere il prossimo ministro della Giustizia anche se la Lega gli preferirebbe l’avvocato Giulia Bongiorno, divenuta mediaticamente famosa per essere stata l’assistente dell’avvocato Franco Coppi nel processo a Palermo a Giulio Andreotti e per aver esultato in diretta televisiva al telefono con l’ormai defunto senatore a vita annunciandogli un’assoluzione in appello che invece era una riforma peggiorativa della sentenza di primo grado e cioè una prescrizione per reato commesso (rapporti con la mafia di Andreotti certificati sino al 1982). [Continua in basso]

Ignazio La Russa

In questo clima di mistificazione, slogan e luoghi comuni ed in cui Fratelli d’Italia si spaccia per quel “nuovo” che nuovo non è – e soprattutto per il partito della legalità – non meraviglia più di tanto l’ultima “sparata” di Ignazio La Russa, fondatore di FdI insieme a Giorgio Crosetto ed alla stessa Giorgia Meloni. Per il senatore di Fratelli d’Italia, Ignazio La Russa, siamo “tutti eredi del Duce”, con buona pace della storia e della Costituzione Repubblicana nata dalla Resistenza e dell’antifascismo.

Le contraddizioni dei parlamentari vibonesi

Giuseppe Mangialavori e Silvio Berlusconi

In tale contesto vanno calate quindi le dinamiche politiche localivibonesi soprattutto (il reggino è altra storia ancora tutta da scrivere) – che hanno delle peculiarità proprie che richiamano ad un vecchio e mai defunto “Sistema Vibo”, quello che, con personaggi differenti alternatisi nel tempo, ha portato la città e la provincia agli ultimi posti in quasi tutte le classifiche ed in primis quelle per la qualità della vita. Quel “Sistema” che ha consentito a pochi “furbi” – con l’avvallo di molti spettatori, complici, “sudditi” e lacchè a seconda dei casi – di arrivare ad un facile arricchimento personale, privilegiando gli interessi privati a quelli pubblici e “storpiando”, ed adattando a proprio uso e consumo, lo stesso concetto di legalità. Non staremo qui a ripercorrere la “storia” in tal senso di Vibo Valentia e della sua provincia perché sappiamo che pure dal punto di visto politico c’è chi è all’opera per riscriverla partendo dall’ottica della responsabilità penale (basta leggere attentamente le quasi ventimila pagine dell’inchiesta Rinascita Scott o Petrol Mafie per intravedere gli scenari futuri), ma ci limiteremo ad alcune necessarie considerazioni che la dicono lunga in tema di contraddizioni. [Continua in basso]

Nicola Gratteri

Partiamo dalla più evidente: fra i partiti che anche in questa tornata elettorale sbandierano la lotta alla mafia c’è pure Forza Italia. Mai nel corso dell’ultima legislatura abbiamo infatti registrato attacchi di tale partito – guidato dal coordinatore regionale Giuseppe Mangialavori – nei confronti dell’operato del procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri. E la cosa è stupefacente se si pensa che Forza Italia è lo stesso partito il cui leader e fondatore Silvio Berlusconi – oltre ad essere stato condannato in via definitiva per frode fiscale ed aver incassato un paio di prescrizioni dopo condanne nei precedenti gradi di giudizio –  da oltre vent’anni non le ha mandate a dire contro i magistrati e la giustizia. “Giudici mentalmente disturbati per fare quel lavoro lì” (frase che provocò anche l’indignazione delle sorelle di Falcone e Borsellino), “giudici eversivi”, “Toghe rosse”, sono solo alcuni degli insulti vomitati negli anni da Silvio Berlusconi contro i magistrati, senza dimenticare che altro fondatore di Forza Italia – Marcello Dell’Utri – è stato condannato in via definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa. La contraddizione è del tutto evidente, posto che non ci risulta che il procuratore Nicola Gratteri svolga un lavoro diverso da quello dei magistrati insultati negli anni dal leader di Forza Italia, né che alcuni dei collaboratori di giustizia che hanno riferito su Marcello Dell’Utri – Gaspare Spatuzza, per esempio – non siano stati utilizzati anche dallo stesso Gratteri nel maxiprocesso Rinascita Scott. Ed allora?

Ed allora semplicemente si sorvola su tali contraddizioni da parte di Forza Italia, lo stesso partito che in Calabria non ha candidato l’ex sindaco di Cosenza Mario Occhiuto a presidente della Regione perché “esposto giudiziariamente” (così si disse all’epoca) optando per il fratello Roberto, ma che ora candida lo stesso Mario Occhiuto capolista al Senato. Come dire: se sei “esposto giudiziariamente” non sta bene che fai il presidente della Regione, ma il senatore invece sì! E si sorvola – venendo al Vibonese – anche su contraddizioni ancor più evidenti: il plauso costante in questi anni del senatore Mangialavori e del sindaco di Vibo Maria Limardo al procuratore Gratteri, pur potendo leggere dal luglio del 2020 proprio il nome del parlamentare di Forza Italia (pur non essendo indagato) nei capi d’imputazione mossi a tre persone coinvolte nell’inchiesta Imponimento (LEGGI QUI: Imponimento: Tedesco resta in carcere pure per i voti del clan Anello al senatore Mangialavori ), tutti accusati proprio nell’ambito dell’operazione antimafia di aver dirottato i voti del clan Anello di Filadelfia in favore del futuro senatore azzurro nelle Politiche del 2018. Inchiesta rispetto alla quale, sul punto, si è registrato il silenzio non solo da parte di Mangialavori e di Forza Italia, ma anche da parte degli altri parlamentari del territorio: da Dalila Nesci a Riccardo Tucci sino a Viscomi.

Nicola Morra

A rompere tale silenzio è stato in questi mesi solo il presidente della Commissione parlamentare antimafia, Nicola Morra, ma la politica vibonese ha adottato la “strategia” collaudata da anni e fedele al motto del “Calati juncu ca passa la china”. Così, dopo la “piena” del senatore Morra, è ricalato il silenzio. C’è chi ha fatto notare che sulla vicenda mai avrebbero potuto prendere posizione due dei parlamentari (ora ricandidati) vibonesi in quanto essi stessi compagni di vita (a differenza di Mangialavori) di persone direttamente imparentate con imputati di Rinascita Scott. Non sappiamo se sia questa la ragione dei silenzi, ci limitiamo a registrarli e riteniamo che in politica, invece, su alcuni temi non si possa scegliere la via del silenzio ma si debba prendere decisamente posizione. Perché se l’assunto del procuratore Gratteri fosse confermato dai giudici – e sinora sul punto abbiamo già avuto la sentenza in abbreviato che per un imputato non ha affatto smentito il capo di imputazione così come mosso dalla Dda (gli altri due imputati sono sotto processo con il rito ordinario) – ci troveremmo dinanzi a soggetti che hanno pensato di dirottare i voti di un clan nei confronti di un candidato in Parlamento il cui messaggio antimafia – evidentemente – non è passato, non è stato ascoltato e non è stato recepito. E di questo – e non dei giornalisti – qualche parlamentare vibonese dovrebbe seriamente preoccuparsi.  

Dalila Nesci

E’ bene anche sapere – stando così le cose ed alla luce dei silenzi “assordanti”– che nel Vibonese per i parlamentari uscenti non c’è nessun ente locale infiltrato dalla ‘ndrangheta. Non c’è perché non abbiamo registrato alcuna pubblica denuncia in tal senso né da parte del senatore Mangialavori, né da parte di Riccardo Tucci, né da parte di Dalila Nesci, né da parte del senatore Fausto De Angelis, né da parte di Antonio Viscomi o Silvia Vono. E certamente – alcuni fra l’altro componenti della Commissione parlamentare antimafia come Mangialavori e Nesci – se avessero ravvisato infiltrazioni mafiose negli enti locali (Comuni o Provincia), i parlamentari del territorio le avrebbero prontamente denunciate. Tutto nella legalità, dunque, negli enti locali vibonesi secondo i parlamentari vibonesi ed i loro partiti di riferimento, sebbene il presidente della Commissione parlamentare antimafia abbia documentato di tutto in questi mesi in alcuni Comuni del Vibonese ed in precedenza avevamo fatto analogo lavoro anche noi nella nostra attività giornalistica che ad alcuni amministratori ha provocato “l’orticaria” sfociata nei soliti insulti. L’unico politico ad uscire allo scoperto (se si escludono alcuni consiglieri comunali di minoranza a Tropea) con un breve Post su Facebook è stato l’ex senatore di An, Franco Bevilacqua (ora ricandidato), ma non in favore di Morra, bensì contro. Ed anche qui c’è chi ha fatto notare che per pura coincidenza la guida dell’istituzione deputata al controllo sulla vita degli enti locali nel Vibonese (la Prefettura) è molto vicina al leader del suo partito, il senatore Gaetano Quagliariello.

I cognati Giovanni Arruzzolo e Michele Comito

Non dimenticando che la coalizione di centrodestra ha pensato che il deputato “giusto” per il collegio Vibo-Piana di Gioia Tauro sia il candidato Giovanni Arruzzolo di Rosarno – eletto da meno di un anno in Consiglio regionale con Forza Italia e già pronto per il “salto” in Parlamento, e che nel Vibonese è conosciuto sinora solo per essere il cognato dell’altro consigliere regionale Michele Comito (anche lui di Forza Italia) – passiamo ad altra vicenda ancor più “grossolana” e che mette a nudo altre contraddizioni.

Pitaro non ricandidato ma presente accanto a Mangialavori

Vito Pitaro

Parliamo infatti della figura di Vito Pitaro (ex Rifondazione comunista, poi comunisti italiani, poi assessore nella giunta di centrosinistra a Vibo targata Sammarco, quindi grande elettore censoriano, poi socialisti, poi nel Pd, poi leader di “Città Futura”), cioè di un esponente talmente di centrosinistra (è stato anche nella Struttura speciale dell’allora consigliere regionale del Pd Michele Mirabello) che nel gennaio del 2020 è finito per essere eletto consigliere regionale con la lista “Santelli presidente”, cioè con….il centrodestra. Alle elezioni regionali dell’ottobre 2021 non è stato però ricandidato ed è l’unico consigliere regionale d’Italia a non essere stato ricandidato dopo neanche un anno di legislatura regionale. Cosa avrà combinato di così grave Vito Pitaro al punto da non essere ricandidato? Anche qui da un anno aspettiamo risposte, perché il diretto interessato non ha mai fornito alcuna spiegazione al pari (nessuna spiegazione) del coordinatore regionale di Forza Italia Giuseppe Mangialavori. Qualcuno ha fatto notare che il nome di Vito Pitaro è spuntato fuori nei mesi precedenti nelle pubbliche udienze di Rinascita Scott e per questo – motivi di opportunità, quindi – Forza Italia e compagni hanno preferito non ricandidarlo. Se così fosse, però, la “politica dei silenzi vibonese” dovrebbe spiegare perché tale decisione vale solo nei confronti di Vito Pitaro, posto che nello stesso maxiprocesso, e quasi nelle stesse udienze, i collaboratori di giustizia hanno fatto in aula anche i nomi dello stesso Mangialavori, del senatore Bevilacqua ed in precedenza nei verbali pure quello di Michele Comito. [LEGGI QUI: Rinascita Scott, il pentito Arena: «La ‘ndrangheta sostenne i senatori Bevilacqua e Mangialavori» e QUI: “Rinascita”: il clan Lo Bianco, l’ospedale di Vibo ed il ferimento del direttore sanitario]

Ed allora? Ed allora gli elettori vibonesi devono sapere che la politica locale è evidentemente un qualcosa di privato ed il “popolo bue” non ha diritto neppure di conoscere le reali motivazioni che hanno portato alla non ricandidatura di Vito Pitaro in Consiglio regionale. Lo stesso Vito Pitaro che però con i suoi uomini continua a governare la città di Vibo – ultima in tutte le classifiche ed in dissesto finanziario – (con assessori della giunta Limardo che proprio a Pitaro fanno riferimento come l’attuale assessore ai lavori pubblici Giovanni Russo, pure lui proveniente dal centrosinistra) – attraverso diversi consiglieri comunali che sino a qualche anno fa sventolavano – felici e contenti – la bandiera del Pd (Giuseppe Cutrullà su tutti ed a proposito della credibilità politica del Pd vibonese nella selezione dei suoi uomini).

Pitaro, Comito, Mangialavori, Occhiuto e Varì

Gli elettori vibonesi devono inoltre assistere all’allontanamento di Vito Pitaro dalla politica attiva (la non ricandidatura in Consiglio regionale) ma vederlo poi tranquillamente immortalato in foto – rese pubbliche su Facebook dallo stesso senatore Mangialavori il 16 settembre scorso – mentre prende parte a “tavoli” pubblici (elettorali?) accanto al consigliere regionale Michele Comito (da notare che l’ex segretario particolare di Pitaro, Daniele Rachieli – vicesindaco di Filogaso – è transitato proprio nella Struttura del consigliere regionale Comito), al presidente della Regione Roberto Occhiuto, all’assessore regionale Rosario Varì e, naturalmente, a Giuseppe Mangialavori. Rinnoviamo la domanda: perché non è stato ricandidato alla Regione Vito Pitaro?

Gli scenari futuri

Avevamo detto in un precedente corsivo che non sarà la via giudiziaria a cambiare le cose nel Vibonese, visto che il “Sistema Vibo” è più vivo e vegeto che mai nonostante Rinascita Scott, pur essendo nel frattempo cambiata qualche “pedina” che è riuscita in parte a portare allo stesso tavolo persino “controllori” e “controllati”. E tuttavia nell’autunno del 2019, con qualche mese di anticipo, eravamo stati gli unici – nello scetticismo totale – a prefigurare un “autunno caldo” per il Vibonese poi sfociato in Rinascita Scott. E non perché abbiamo “canali” che altri non hanno (sono altri, ripetiamo, che devono spiegare perché non hanno ricandidato Pitaro e chiarire se sono magari in possesso di notizie riservate di cui noi non disponiamo), ma semplicemente perché le carte delle varie inchieste noi le leggiamo. E proprio per questo possiamo affermare sin da ora che la politica vibonese rischia di pagare a carissimo prezzo – sotto il piano giudiziario – anni di mala-gestione, silenzi, ipocrisie, cambi di casacca e prese in giro nei confronti di un intero territorio.

Non è un mistero che oltre la metà delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia vibonesi versate in inchieste come Rinascita Scott, Petrol Mafie e Imponimento siano ancora omissate, così come non è un mistero che nell’ottobre del 2019 la Guardia di Finanza – su disposizione della Dda di Catanzaro – ha acquisito una mole enorme di documenti sull’intera attività politico-amministrativa di “palazzo Luigi Razza” nell’ambito di un procedimento penale aperto – si badi bene – non a carico di ignoti, ma di persone già individuate (modello 21 del registro generale della Procura), ipotizzando i reati di concorso esterno in associazione mafiosa e illecita concorrenza con minaccia o violenza aggravata dal metodo e dalle finalità mafiose.

Nessuno degli aspiranti parlamentari, dunque – che oggi come ieri hanno scelto il silenzio su diversi argomenti – pensi di cavarsela nei prossimi mesi con il solito messaggio di complimenti agli inquirenti una volta scattato qualche blitz. Primo perché non li crederà più nessuno e secondo perché rischiano invece di dover sostenere le spese legali di qualche loro amico, familiare o compagno di partito finito al centro delle inchieste. Il tempo è galantuomo e per ora non resta che aspettare la chiusura della campagna elettorale. Naturalmente non in silenzio ma disturbando i “manovratori” o, se si preferisce, semplicemente facendo sino in fondo il nostro lavoro: quello dei giornalisti non accomodanti nei confronti di una classe politica che (con pochi esclusi) ha portato un intero territorio agli ultimi posti in quasi tutte le classifiche ed al “dissesto” economico, politico, sociale e culturale.   

LEGGI ANCHE: Il Corsivo | Il ritorno in Parlamento di Mangialavori e l’ulteriore regressione del Vibonese

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