Il Corsivo | Le elezioni nel Vibonese e quel cambiamento che non passerà dalle urne
Chiuse le liste e le candidature si apre la ricerca del consenso a colpi di slogan e luoghi comuni, mentre l’elettore è sempre più ridotto a “popolo bue” ed aspetta inchieste della magistratura che non risolveranno un problema che necessita di altre soluzioni
Non saranno le urne – almeno non questa volta – a segnare la svolta per la Calabria. Di certo non lo saranno per il Vibonese. Chiusi i “giochi” delle liste e delle candidature – che tanto hanno appassionato i commenti nei bar quanto sui social piuttosto che sui mezzi di informazione (è noto che chi non si interessa di cronaca trova terreno fertile nei “retroscena” politici dove si afferma tutto ed il contrario di tutto e si esula dai fatti) – si apre la fase della campagna elettorale che ad alcune latitudini vuol dire da un lato la perdita volontaria della propria dignità per prostrarsi ai piedi del futuro “potente” (c’è chi nasce così e si trova perfettamente a proprio agio in un simile contesto) e dall’altra la spasmodica ricerca di voti promettendo anche la luna. Dicevamo che non saranno le urne a determinare il cambiamento per la Calabria e per il Vibonese ed il motivo è presto detto. La legge elettorale con la quale si va a votare – al netto della riduzione del numero dei parlamentari – è stata costruita da un “Sistema” che tende all’autoconservazione ed a fare degli elettori una sorta di “popolo bue” chiamato solo a ratificare scelte già compiute altrove ed a “tavolino” da una ristrettissima cerchia di persone (leggasi i leader di partito nazionali ed i loro amici). Cerchia ristretta di personaggi non selezionata attraverso processi democratici o pseudo-democratici: si pensi ai congressi farsa o semi-fasulli con la compravendita di tessere da parte delle correnti di partito, come avvenuto nel passato dalle parti del Pd oppure alle designazioni dall’alto fatte da “partiti” senza congressi come Forza Italia.
In questo clima generale, dove l’elettore conta sempre meno, viene da sorridere (per non dire altro) nel leggere le prime dichiarazioni di alcuni candidati del Vibonese a Camera e Senato pronti a concorrere non nel collegio maggioritario (vince chi prende più voti) bensì nei listini bloccati del proporzionale (leggasi Giuseppe Mangialavori) oppure di candidati contemporaneamente nel maggioritario ma anche nel listino bloccato del proporzionale (leggasi Riccardo Tucci e Dalila Nesci).
Insomma, tutto tranne che democrazia, quella fatta da congressi veri (cosa sconosciuta dalle parti di Forza Italia dove un capo-padrone – Silvio Berlusconi – decide da anni tutto e per tutti) oppure dal voto tramite piattaforme reali e non di quelle che lasciano il tempo che trovano (come quella dei Cinque Stelle) e che si sono prestate in queste elezioni anche a clamorose deroghe.
Destino già scritto, dunque, per il Vibonese? In parte decisamente sì, stando sia ai candidati – aspirano ad un seggio anche l’uscente senatore vibonese della Lega Fausto De Angelis (sì, anche Vibo è riuscita nell’impresa di esprimere un parlamentare della…Lega), Marisa Galati per Italia Viva-Azione, Pasquale La Gamba per Fratelli d’Italia e l’eterno Franco Bevilacqua per “Coraggio Italia” –, in parte dipenderà dai cittadini. Ma non attraverso il voto, sia chiaro e, comunque, non in questa tornata elettorale che rischia di far ritornare il Paese nel caos politico e nell’ingovernabilità, figlia di un Movimento Cinque Stelle riuscito in meno di quattro anni a dimezzare tutto il consenso ottenuto nel 2018 contro il “sistema” dei partiti, alleandosi con gli stessi partiti contro i quali aveva ottenuto i voti, e figlia di una malapianta politica (da Forza Italia al Pd passando per Lega, Fratelli d’Italia, Udc, Renzi e compagnia) che ricresce anche a causa di chi – leggasi in primis buona parte dei mezzi di informazione – si è limitata in questi anni a “fotografare” situazioni di fatto determinate da altri (i politici) e a non incidere per un reale cambiamento del Paese (come sarebbe stato invece suo compito fare) mettendo sulla “graticola” una classe politica che – salvo rarissime eccezioni – ne ha combinate di cotte e di crude pensando unicamente all’autoconservazione ed alla conquista della poltrona più alta.
Non c’è altra spiegazione infatti, nel leggere i nomi di alcuni candidati se non una concezione distorta e da presa per i fondelli della stessa politica intesa, appunto, come una continua corsa alla ricerca della poltrona più alta a discapito della tanto decantata (specie dai politici nostrani) spendita (gratuita?) per il territorio e dell’altrettanto decantato “spirito di servizio per la comunità”. Non si spiega altrimenti perché un sindaco, ad esempio, non debba continuare a servire la comunità ed i cittadini continuando a fare il primo cittadino del proprio paese ma debba pensare alla “poltrona” in Parlamento ed altrettanto dicasi per i consiglieri regionali ed assessori regionali.
Tralasciando il “familismo amorale” che da anni impera in Calabria (i Mancini, i Covello, gli Sculco, i Gentile, gli Occhiuto, gli Arruzzolo-Comito dove si registrano più familiari impegnati in politica, spesso di padre in figlio ed addirittura da nonno a nipoti), candidature – ad esempio – in Parlamento come quella dell’assessore regionale Fausto Orsomarso (Fratelli d’Italia) o del consigliere regionale di Forza Italia Giovanni Arruzzolo, di Rosarno (candidato alla Camera proprio nel collegio di Vibo-Piana di Gioia Tauro) – che seppur eletti nel non lontano ottobre 2021, sono già pronti a rinunciare alla Regione per il Parlamento – rendono evidenti tutti i limiti della stessa loro concezione della politica (si può “servire” il territorio anche restando alla Regione dove, fra l’altro, si è anche ben remunerati) che qualunque elettore senza il salame sugli occhi, o accecato dalle “ideologie”, vedrebbe lontano un miglio.
Non passerà dalle urne il cambiamento, dicevamo. Ed allora da dove? Non per la via giudiziaria, sia chiaro. E lo diciamo, a scanso di equivoci, semplicemente prendendo atto che le inchieste – che pur ci sono state e ci sono – non hanno determinato il cambiamento sperato perchè buona parte della politica calabrese (e vibonese in particolare) è come la gramigna che cresce e sfonda pure il cemento senza i necessari anticorpi da parte di una società civile che si è limitata ad una semplice sfilata in occasione dell’operazione Rinascita Scott. Altre inchieste della magistratura antimafia certamente ci saranno, ma bisogna tenere in considerazione due fattori: i tempi della giustizia non coincidono con in tempi di evoluzione della politica e delle dinamiche sociali ma sono molto, molto più lenti; la magistratura inquirente interviene (quando interviene) su fatti di reato già commessi (a volte anche a distanza di tantissimi anni) e dei quali ritiene di avere le prove per dimostrarli in giudizio.
Certo, se accade poi che “controllori” e “controllati” ad alcune latitudini calabresi siedono allo stesso tavolo non si va da nessuna parte e si contribuisce solamente ad alimentare ulteriore sfiducia nei cittadini che riversano le loro denunce non agli organismi competenti ma alle redazioni dei giornali (non a tutti, ovviamente). Ma il dato da cui partire che dovrebbe far riflettere – anche e soprattutto in questa tornata elettorale – è il seguente: degli attuali candidati vibonesi in Parlamento, quanti hanno problemi con la giustizia in corso e quanti sono stati chiamati in causa dai collaboratori di giustizia o da altre emergenze investigative proprio nelle inchieste antimafia da loro stesse celebrate come grandi operazioni quali Rinascita Scott o Imponimento? Ancor più significativo, al riguardo, è il silenzio totale da parte di tutti gli aspiranti parlamentari vibonesi (e non solo) rispetto alle vicende raccontate in queste settimane dalla nostra testata (e, per fortuna, non solo) in ordine alle ingerenze criminali ed alle infiltrazioni mafiose in alcuni enti locali sollevate dal presidente della Commissione parlamentare antimafia, Nicola Morra, da Vibo a Tropea per passare dalla Provincia, da Capistrano, Briatico e altri enti ancora.
Buon voto a tutti, allora, e buona campagna elettorale a chi farà, anche in questa occasione, degli slogan la propria ragione di vita (politica). Continueremo a tenere alta l’attenzione su tutto ciò che non va, augurandoci di non essere i soli a farlo e certi che nell’immediato futuro molte “teste” pensanti – politiche in primis – potrebbero piangere a lungo per gli errori del passato. Per quelli che si apprestano a fare in campagna elettorale non resta che attendere. Su tale versante siamo fiduciosi: certa politica è dura a morire e siamo sicuri che anche a questo giro darà il “meglio” di sé bussando per i voti proprio da chi dichiarerà nei comizi di voler “combattere”.
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