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Comune di Vibo e antimafia: fra slogan, silenzi e applausi interessati per Gratteri

Le ultime dichiarazioni del sindaco Maria Limardo ripropongono nodi mai sciolti e argomenti sui quali la politica locale ha deciso da tempo di non rispondere. Mentre le inchieste avanzano e il monito del procuratore riecheggia…

Comune di Vibo e antimafia: fra slogan, silenzi e applausi interessati per Gratteri
Al centro: Vito Pitaro, Maria Limardo, Giuseppe Mangialavori e Roberto Occhiuto

Dalla scesa Cerasarella a Largo Antico collegio il passo per qualcuno è stato davvero breve e con cento passi, o poco più, passare nel giro di poche ore da Roberto Occhiuto, dal senatore Giuseppe Mangialavori e dal consigliere regionale Vito Pitaro sino a Nicola Gratteri è stato un attimo. Ancor prima, in un’intervista ai colleghi del Quotidiano, il sindaco di Vibo Valentia Maria Limardo aveva ancora una volta ribadito alcuni concetti sui quali vale la pena soffermarsi.

Avevamo scritto e posto in evidenza in precedenti inchieste tutte le contraddizioni di un’amministrazione comunale nata male e che rischia di finire peggio. Avevamo formulato domande, ma di risposte non ne sono mai arrivate perché si è preferita da un lato la via del silenzio, mentre da altro lato alcuni amministratori – dalle Preserre alla costa sino alla città capoluogo – hanno invece intrapreso la via giudiziaria per zittire la stampa (solo quella non abituata ad andare a braccetto con i politici, naturalmente) e il diritto di critica, rimediando sinora solo figuracce e il pagamento delle spese processuali. [Continua in basso]

Nicola Gratteri
Il procuratore Nicola Gratteri

Il monito inascoltato di Gratteri

Ciascuno di noi deve stare attento a percepire ogni segnale e deve stare attento ai politici double face, quelli che il giorno recitano davanti a me e sono ineccepibili a parole in tema di antimafia e poi però la sera vanno a cena con avanzi di galera. Tra questi ci sono molti sindaci, apparentemente veri e propri manuali dell’antimafia, ma pronti a commettere reati. Siate feroci con tali personaggi – ha spiegato Gratteri ieri sera a Vibo –, siate feroci contro tali politici che vanno smascherati perché sono pericolosi come i gattopardi. La mafia è in mezzo a noi, a volte anche in prima fila ad ascoltarmi, vive di consenso sociale ed è mafia, e non invece semplice criminalità organizzata o delinquenza, proprio perché riesce a dialogare con la società civile e la politica. Nel Vibonese il campo è arato dopo le ultime inchieste e spetta alla società civile occupare gli spazi lasciati vuoti”.

Nicola Gratteri in conferenza stampa per Rinascita-Scott

Ad avviso di chi scrive, dall’inchiesta Rinascita Scott la politica vibonese ha imparato ben poco ed ha preferito nascondere la testa sotto la sabbia come gli struzzi per evitare di prendere decisioni (dolorose) per sé stessa. “Calati juncu ca passa la china”, per dirla con un noto proverbio siciliano, sembra il motto adottato dalla politica vibonese, assolutamente incapace di fare “pulizia” al proprio interno ma pronta a farsi ben vedere in prima fila negli incontri pubblici del procuratore Gratteri ed a spellarsi le mani ad ogni suo intervento. Sperando i politici vibonesi (e dimostrando in tal modo di non aver capito nulla né del procuratore Gratteri, né di come nasce e si sviluppa un’indagine) di mettersi così al “riparo” da future “tempeste” giudiziarie. [Continua in basso]

Maria Limardo

Le dichiarazioni del sindaco di Vibo

E’ venerdì 11 giugno quando il sindaco di Vibo Valentia, Maria Limardo, in un’intervista al Quotidiano, fra le altre cose dichiara: “Con noi il vento è cambiato. Molti ventilavano l’insediamento della commissione di accesso e invece siamo ancora qui. In quei giorni frenetici ho avuto una fitta interlocuzione con l’allora prefetto Zito al quale dissi che avrei preferito essere sciolta nell’acido anziché essere sciolta per mafia proprio perché forte del mio percorso di limpidezza. Col passare del tempo ho preso consapevolezza di una stima e considerazione autentica delle istituzioni verso la mia amministrazione”.

I sindaci vibonesi con il prefetto Zito il giorno dell’addio a Vibo

Non sappiamo se e quanto sia normale un’interlocuzione “fitta” fra chi teme l’invio di una commissione antimafia di accesso agli atti nel proprio Comune e chi quella commissione è chiamato a valutarne l’invio. Sappiamo però per certo che – al di là delle simpatie o meno dell’ex prefetto Francesco Zito verso le commissioni di accesso agli atti (in molti ne auspicavano l’invio in diversi Comuni del Vibonese dopo l’operazione Rinascita Scott ed anche prima) – una Commissione di accesso agli atti al Comune di Vibo Valentia (per valutare eventuali infiltrazioni mafiose) non era possibile (e non è neanche oggi, allo stato, possibile) inviarla per una semplicissima ragione che andiamo a spiegare. E’ lo stesso primo cittadino di Vibo, Maria Limardo, a ricordare nell’intervista al Quotidiano che il 28 ottobre del 2019 (circa due mesi prima di Rinascita Scott) al Comune di Vibo si è presentata la Guardia di finanza con un vero e proprio blitz nell’ambito di un’inchiesta della Dda di Catanzaro. “Un fulmine a ciel sereno l’arrivo dei finanzieri al Comune – ha dichiarato la Limardo -. Ricordo che mi trovavo nel mio studio quando sono arrivati il comandante e una cinquantina di uomini. Sapevano già dove andare. E’ stato uno scossone emotivo forte, anche perché poche settimane prima avevamo iniziato con entusiasmo questa avventura”.  [Continua in basso]

Il blitz della Finanza e l’impossibilità di inviare allo stato una commissione di accesso

Il blitz della Guardia di finanza a cui fa riferimento il sindaco Maria Limardo, come già abbiamo scritto il 29 ottobre 2019 (LEGGI QUI: Inchiesta sul Comune di Vibo, ecco le ipotesi di reato e tutti i documenti acquisiti), e per come si evince dal decreto di acquisizione atti notificato allo stesso primo cittadino ed ai dirigenti comunali Adriana Teti e Filippo Nesci (quest’ultimo poi coinvolto in Rinascita Scott), rientra in un’inchiesta sul Comune di Vibo Valentia coordinata dal pm della Dda di Catanzaro Antonio De Bernardo. Concorso esterno in associazione mafiosa e illecita concorrenza con minaccia o violenza aggravata dal metodo e dalle finalità mafiose sono le due ipotesi di reato formulate dalla Dda nell’ambito di un procedimento penale aperto nel 2019 (dati che si ricavano dallo stesso decreto di acquisizione atti) a carico di persone note (modello 21 del registro generale della Procura), i cui nominativi sono allo stato coperti da segreto investigativo. 

Maria Limardo con i finanzieri nel corso del “blitz” al Comune ad ottobre 2019

La richiesta di copia di atti a “palazzo Luigi Razza” copre un arco temporale che arriva sino al 25 settembre 2019 (l’amministrazione Limardo si è insediata a giugno 2019). In tale data – si trattava di un mercoledì – la polizia municipale di Vibo ha proceduto ad un sequestro nei confronti di alcuni venditori ambulanti di frutta, sprovvisti di autorizzazioni amministrative, che stazionavano su corso Umberto I. La Guardia di finanza ha chiesto anche l’acquisizione di copia di tutti gli atti amministrativi redatti in occasione di tale sequestro da agenti della polizia municipale.

Stando così le cose è chiaro (al di là delle “simpatie” o meno di questo o quel prefetto rispetto alle commissioni di accesso agli atti nei Comuni) che nessuna Prefettura d’Italia avrebbe mai potuto inviare una Commissione di accesso agli atti quando su un Comune è in corso una delicata inchiesta della Dda condotta sul campo dalla Guardia di Finanza. La Commissione di accesso agli atti inviata dalla Prefettura cosa infatti dovrebbe nel frattempo scoprire in più e di diverso rispetto a quanto già sta accertando la Guardia di finanza? E’ chiaro che una Commissione di accesso in tale fase avrebbe finito solamente per intralciare il lavoro della Dda e della Guardia di finanza che è invece necessario rimanga il più riservato possibile sino alla conclusione delle indagini o all’emissione di misure cautelari (ove richieste) da parte di un gip. Ecco quindi che, alla luce di tutto ciò, l’affermazione del sindaco Limardo, secondo la quale “molti ventilavano l’insediamento della commissione di accesso e invece siamo ancora qui”, appare a chi scrive del tutto fuori luogo e poco rispondente ad una lettura corretta della realtà. Ma vi è di più.

L'aula consiliare di Palazzo "Luigi Razza"

I consiglieri comunali agli atti delle inchieste

Ci eravamo occupati, e siamo costretti a riprendere oggi il “tema”, dei consiglieri comunali di Vibo che emergono dalle carte dell’inchiesta Rinascita Scott per dimostrare come – contrariamente a quanto affermato dal sindaco e da altri politici del Vibonese – all’indomani della storica operazione poco o nulla è stato fatto dalla classe politica locale per allontanare determinati soggetti dalla politica attiva. Ed anzi, alla luce anche delle dichiarazioni fatte ieri dal procuratore Nicola Gratteri in ordine al fatto di stare attenti ai politici “duble face” e ad essere feroci nello stanarli affinchè non si viva di ipocrisia e non si mandi in confusione l’opinione pubblica con segnali sbagliati, ritornarci appare quanto mai doveroso.

Perché il problema è molto semplice: l’amministrazione Limardo – commissione di accesso agli atti o meno, scioglimento per infiltrazioni mafiose o meno, che termini il proprio mandato elettorale o meno – allo stato può dirsi sostenuta da consiglieri comunali “immacolati” e soprattutto in discontinuità rispetto alle precedenti amministrazioni comunali? Alcuni dati incontestabili: molti degli attuali consiglieri comunali facevano parte anche del precedente Consiglio ed hanno politicamente sostenuto le due precedenti amministrazioni di centrodestra (sindaci Nicola D’Agostino prima ed Elio Costa poi) rispetto alle quali il sindaco Maria Limardo (ma anche Mangialavori che quelle amministrazioni ha contribuito a far eleggere) reclama discontinuità. Ma anche a voler attribuire al solo centrosinistra le responsabilità politiche del disastro “ereditato” dall’amministrazione Limardo (per come il sindaco sembra voler sostenere), tale affermazione fa a pugni con un altro dato incontrovertibile: Maria Limardo ha chiamato a far parte della propria giunta, ed è sostenuta in Consiglio, anche da chi per anni ed anni ha fatto parte dello schieramento di centrosinistra come il gruppo consiliare di “Città futura” che si riconosce nelle posizioni politiche del consigliere regionale Vito Pitaro. Consigliere regionale che dal gennaio 2020 non si fa problemi a dichiararsi di centrodestra – e sabato scorso a “sfilare” accanto al sindaco Limardo, a Roberto Occhiuto ed al senatore di Forza Italia Giuseppe Mangialavori – ma che per decenni a Vibo Valentia ha militato nella sinistra (Rifondazione, comunisti italiani, socialisti e Pd).

A leggere poi gli atti di Rinascita Scott o dell’inchiesta “Rimpiazzo” contro il clan dei Piscopisani o altre inchieste della Dda di Reggio Calabria, i consiglieri comunali che emergono per parentele e rapporti con esponenti dei clan e che sostengono l’amministrazione Limardo sono almeno sette, mentre altri quattro sono nei banchi dell’opposizione.

I segnali indiretti contro le inchieste di Gratteri e la via del silenzio

Alcuni di tali consiglieri che sostengono l’amministrazione Limardo emergono per rapporti a dir poco imbarazzanti con esponenti del clan Lo Bianco-Barba e due sono anche capigruppo consiliari e qualcuno lo si è intravisto sabato nella manifestazione a Vibo a sostegno di Roberto Occhiuto. Certo, si dirà che l’amministrazione Limardo si è costituita parte civile nel processo Rinascita Scott e anche in Rimpiazzo e Imponimento. Ma vi sono una serie di “però”.
Tralasciando il fatto che proprio la “dimenticanza” di costituzione di parte civile in uno dei tronconi di Rinascita Scott (LEGGI QUI: Comune di Vibo assente nell’immediato di Rinascita, la nota del sindaco e la nostra risposta e QUI: Comune di Vibo: i rapporti fra l’imputato Lo Riggio e Pitaro sullo sfondo della costituzione di parte civile) è costata la poltrona ad un assessore della giunta Limardo grazie ad una nostra inchiesta, giova ricordare che non può di certo bastare la sola costituzione di parte civile nei processi per mafia se non accompagnata da azioni consequenziali rispetto a ciò che in quei processi emerge. E così, se da un lato sinora si è solo registrata la recente presa di distanza del partito di Fratelli d’Italia nei confronti di uno dei consiglieri comunali di Vibo eletti fra le sue fila (attualmente capogruppo ma che il partito ha tenuto a far sapere di non essere mai stato tesserato in Fdi) [LEGGI QUI: Rinascita Scott: Mantella e l’usura dell’imprenditore Ferrante, fra politici e mafiosi], dall’altro lato si è scelta la via del silenzio ed eravamo stati facili profeti quando, in tempi non sospetti, avevamo scritto che restavamo curiosi di vedere quali domande avrebbe fatto il legale del Comune di Vibo in aula nel corso del maxiprocesso Rinascita Scott quando sarebbero venuti fuori i nomi dei politici (parlamentari, consiglieri regionali o comunali che siano) che sostengono politicamente l’amministrazione Limardo (LEGGI QUI: Rinascita Scott, Mantella continua a deporre e scocca l’ora dei politici). Perché, ove non lo si sapesse, la parte civile (se è davvero tale ed ha capito il suo ruolo) deve affiancare la pubblica accusa nel processo penale e non ci pare che tale “opera” possa essere esercitata attraverso la via del silenzio. E’ facile infatti per un ente locale costituirsi parte civile, ma se si va poi a vedere quante domande ai testimoni dell’accusa (sinora i collaboratori di giustizia) sono state fatte dai legali di parte civile dei Comuni nel maxipeocesso Rinascita Scott non si arriva – da gennaio sino ad oggi – al palmo di una mano. Dunque, si è scelta la via del silenzio, in perfetta continuità con il silenzio della politica locale rispetto a quanto emerge nelle inchieste su diversi esponenti della politica vibonese.

Delle due l’una: o la politica non condivide quanto scritto dal procuratore Gratteri e dai suoi uomini nelle loro inchieste – e ben ci sta purchè si abbia poi il coraggio di dirlo apertamente e di argomentare al riguardo evitando di andare alle manifestazioni pubbliche del procuratore per spellarsi le mani – oppure si è dinanzi a quella grande ipocrisia di cui parlava proprio ieri a Vibo Valentia il procuratore capo di Catanzaro. Intendiamoci: per chi vi scrive le inchieste degli inquirenti non sono il vangelo così come non lo sono le parole dei collaboratori di giustizia che vanno pesate e riscontrate ed è giusto che la politica reclami un proprio spazio decisionale non facendosi condizionare da indagini che ritiene ingiuste. Ma la presunta ingiustizia di un’inchiesta va – al limite – palesata con argomentazioni serie e convincenti, di certo l’esatto contrario del silenzio o dell’affermare una cosa in pubblico e farne un’altra in privato. E sempre fermo restando che, almeno ad avviso di chi scrive, negli atti dell’inchiesta Rinascita Scott o in Rimpiazzo piuttosto che Imponimento, quanto ai rapporti fra alcuni esponenti politici ed esponenti dei clan c’è davvero poco da discutere al di là se gli stessi siano o meno di rilevanza penale.

Tornano infatti più che mai in questa occasione le parole che amava ripetere Paolo Borsellino: “la magistratura può fare soltanto un accertamento di carattere giudiziale, ma spetta ad altri poteri, quello politico in primis, trarre le dovute conseguenze da certe vicinanze tra politici e mafiosi che non costituiscono reato ma rendono comunque il politico inaffidabile nella gestione della cosa pubblica. E, quanto alla situazione specifica di Vibo città e del suo Consiglio comunale e dell’incapacità della politica locale di saper tenere alla porta determinati personaggi, poteva andare anche peggio, atteso che nelle liste a maggio 2019 è stato davvero imbarcato di tutto con buona pace dell’allora candidata a sindaco Maria Limardo che si era affrettata a dichiarare di aver portato i nominativi delle liste che la sostenevano in Prefettura (Prefettura che, lo ricordiamo, non ha alcun potere ispettivo preventivo sulle liste) [LEGGI QUI: Politica e mafia al Comune di Vibo, ecco i consiglieri agli atti delle inchieste e QUI: Comunali a Vibo Valentia fra liste “pulite”, candidati e pure… indagati]

Il sostegno del senatore di Forza Italia Giuseppe Mangialavori

Giuseppe Mangialavori e Maria Limardo

Ultima annotazione, ma non ultima per ordine di importanza, la continua rivendicazione del sindaco Maria Limardo del sostegno politico del senatore di Forza Italia, nonché coordinatore regionale dello stesso partito, Giuseppe Mangialavori. Ebbene, dagli atti dell’inchiesta antimafia “Imponimento” – coordinata proprio da Nicola Gratteri – emerge che nel capo di imputazione contestato a Giovanni Anello, all’imprenditore Daniele Prestanicola (anche lui arrestato) ed all’ex consigliere comunale di Vibo Valentia, Francescantonio Tedesco (pure lui arrestato), c’è anche l’accusa di aver contribuito a formare la strategia del sodalizio criminale in ambito politico, come quando promuovevano il sostegno della cosca alle elezioni politiche nazionali del 2018 al dott. Mangialavori Giuseppe, poi eletto al Senato della Repubblica”. Di più: la Corte di Cassazione, nel confermare di recente la misura cautelare nei confronti dell’ex consigliere comunale Franco Tedesco (ritenuto politicamente vicino a Mangialavori) ha scritto a chiare lettere che lo stesso ex consigliere deve restare in carcere anche per aver procacciato il sostegno elettorale del clan Anello di Filadelfia in favore dell’allora candidato al Senato Giuseppe Mangialavori. Senatore che non risulta indagato ma che si ritrova – a neanche due anni dall’elezione – nel capo d’imputazione mosso a tre indagati per aver ricevuto sostegno elettorale da un clan mafioso. Tutto ciò – tralasciando gli aspetti giudiziari e ritornando al discorso del procuratore Gratteri – assume senza dubbio valenza politica perché evidentemente (se l’ipotesi accusatoria dovesse essere confermata in via definitiva) il clan Anello non ha individuato nel senatore Mangialavori (componente, fra l’altro, della commissione parlamentare antimafia) un nemico sul quale non dirottare i voti.

La Finanza al Comune di Vibo

Ora, fermo restando che ogni politico sceglie come meglio crede la strada per difendersi (anche il silenzio se si preferisce) e che spetta comunque ai giornalisti porre interrogativi, due domande finali attendono risposte: quando il sindaco di Vibo ha affermato ai colleghi del Quotidiano che con “il passare del tempo ha preso consapevolezza di una stima e considerazione autentica delle istituzioni verso la sua amministrazione” a chi si è riferita esattamente? E l’altra domanda: negli atti dell’inchiesta Imponimento il procuratore Gratteri ed i suoi uomini hanno evidenziato che dal 2018 la figlia di Tommaso Anello è stata dipendente della Salus Mangialavori Srl (laboratorio di analisi cliniche) con sede in via Don Bosco a Vibo Valentia”. Tommaso Anello, secondo sentenze definitive ed anche secondo l’inchiesta Imponimento, non è un personaggio qualsiasi, ma viene indicato come il capo (insieme al fratello Rocco) dell’omonimo clan. Dunque, come mai la figlia di Tommaso Anello è stata dipendente del laboratorio di famiglia del senatore Mangialavori? Domande legittime alle quali – ad un anno dall’inchiesta Imponimento – non si sono ancora date risposte.
Non resta, quindi, che attendere anche questa volta, così come attendiamo gli esiti finali dell’inchiesta della Dda di Catanzaro e della Guardia di finanza sul Comune di Vibo Valentia. Giusto per sgombrare definitivamente il campo da tutti gli equivoci e capire, una volta per tutte, se e quanto dei politici vibonesi – anche e soprattutto di quelli in prima fila ad ascoltare Gratteri – ci si può davvero fidare.

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