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La Calabria mangiata dal peggior ceto politico: che il 2020 se lo porti via, rinasceremo!

Da lustri ormai la nostra terra rappresenta il boccone prelibato da cui “prendere e mangiare”. Augurarsi e sperare di liberarsi di questo amalgama tossico e malriuscito coacervo di vampiri affamati di sangue, è un sogno? Può darsi ma alla fine di un anno terribile come quello che ci stiamo lasciando alle spalle è giusto e legittimo anche sognare

La Calabria mangiata dal peggior ceto politico: che il 2020 se lo porti via, rinasceremo!

È sempre difficile per noi cronisti, nell’editoriale di fine anno, riassumere e rinchiudere, in una analisi di poche righe, la narrazione che abbiamo declinato nel corso dell’anno, una narrazione composta di fatti, misfatti e dinamiche politiche in una Terra poi come la nostra, la Calabria, in cui, purtroppo, i misfatti, hanno quasi sempre la meglio. E, tuttavia, sentiamo la necessità di augurare con tutto il cuore ai nostri corregionali, ai nostri lettori fuori e dentro la Calabria che questo orribile 2020 possa portarsi via con se, oltre all’emergenza sanitaria, la mediocre e maleodorante classe politica, protagonista di 25 anni di scempi e di scelte scellerate.

Ci auguriamo di poterci liberare delle lobby massoniche che da lustri condizionano tutti i settori della nostra Regione, della burocrazia cieca, arrogante e corrotta che sta succhiando il sangue alla Calabria produttiva, del malcostume, dell’indifferenza e la storica apatia del popolo calabrese e, soprattutto, dell’egoismo e l’opportunismo dei gruppi di potere dominanti su scala nazionale, annidati trasversalmente nelle forze politiche ed economiche del paese, i quali, sostanzialmente, si sono spolpati sistematicamente la nostra terra, rubandoci il futuro.

Di questo mix di spregiudicati poteri nazionali e poteri locali, la nostra terra, dovrebbe liberarsi il prima possibile, se vuole costruire una speranza soprattutto per le nuove generazioni. Da lustri, ormai, la nostra terra rappresenta il boccone prelibato dal quale “prendere e mangiare” tutti. Augurarsi, sperare, di liberarsi di questo amalgama tossico e malriuscito coacervo di vampiri affamati di sangue, è un sogno? Può darsi, ma alla fine di un anno terribile come quello che ci stiamo lasciando alle spalle, è giusto e legittimo anche sognare. Scriveva la straordinaria analista e scrittrice junghiana Clarissa Pinkola Estés: “In tempi duri dobbiamo avere sogni duri, sogni reali, quelli che, se ci daremo da fare, si avvereranno”.

Il 2020 è stato un anno difficile per tutto il paese. In Calabria, però, è stato un disastro. La pandemia ha quasi annientato quello che rimane della nostra già precaria economia e ha scoperchiato il vaso di Pandora del sistema della sanità pubblica regionale una volta per tutte. L’Italia non è messa bene politicamente in generale, ma l’emergenza Covid-19, ha dimostrato una cosa che a noi è chiara da tempo: oltre il Rubicone, della Calabria, non frega niente a nessuno. Per i gruppi di potere economici e politici nazionali, infatti, la nostra regione, è la pecora nera del sistema politico e istituzionale del Paese, per “lor signori”, siamo il luogo che, in fondo, merita le più nefaste scorribande di tipo finanziario e politico. Questa concezione nazionale della nostra regione, sostanzialmente, oggi, è condivisa sia dalla destra che dalla sinistra.

Lo scandalo Cotticelli e la sua ridicola gestione romana è stato il punto più alto di questa desolante concezione romana. Quando il centrodestra o il centrosinistra che ormai appaiono indistinguibili all’opinione pubblica, ritengono ingestibile la deriva calabrese, si tenta di dare una risposta con le nomine di Prefetti, Generali dei Carabinieri, della Finanza, Questori e questurini vari, spesso, inadeguati a gestire le emergenze, ma utili a tenere tutti tranquilli, almeno, fino al prossimo scandalo. Ciò consente ai papponi calabresi e romani, di proseguire indisturbati l’indegno banchetto sulla pelle dei calabresi e della Calabria. La sanità calabrese, in tal senso, rappresenta un prelibato boccone ormai da lustri.

Tutto ciò, chiaramente, è possibile solo grazie alla complicità e alla subalternità di una classe dirigente calabrese ormai piegata e condizionata dalla sua mediocrità o dagli innumerevoli scheletri nell’armadio. Da anni, di fatto, le forze politiche sono commissariate dai gruppi dirigenti romani. Nonostante ciò, i partiti tradizionali della Calabria non sono riusciti a rinnovarsi. Non è venuto fuori niente di buono. Ha sempre prevalso il peggio. Basti pensare, per esempio, ai commissariamenti istituzionali: dell’ambiente, del dissesto idrogeologico, fino a quello sulla Sanità, alla fine, invece di risolvere, hanno sempre aggravato i problemi. Unico obiettivo comune: predare le risorse finanziarie formalmente destinate alla Calabria e riportarle nei circuiti dell’economia nazionale o del sistema produttivo del centro nord. In cambio, la “classe dirigente” calabrese ha ottenuto qualche prebenda: una candidatura, qualche il finanziamento illecito, magari, per alimentare il proprio sistema di potere politico e clientelare.

Non mi avventurerò in una analisi meridionalista la sera del 31 dicembre, ma ho ritenuto utile fornire ai nostri lettori qualche elemento di valutazione, sperando che il 2020 si porti via il Covid-19 ma anche una politica e una classe dirigente di cialtroni che ha distrutto la nostra terra e che ha consentito che se la spolpassero pezzo dopo pezzo, le lobby politiche e finanziarie le cui sedi strategiche sono fuori della nostra Regione. Stasera mi accontenterei che ai responsabili del vergognoso e indegno banchetto ai danni della nostro terra, potesse andargli qualche boccone di traverso, magari, proprio leggendo questo pezzo.

Onestamente non credo che la politica sia in grado di mettere in campo la ricetta giusta per uscire da questa drammatica situazione. Avremmo bisogno, per esempio, di un centrodestra che si ponesse l’obiettivo di rinnovare e di proporre una nuova generazione di rappresentanti politici ed istituzionali, ma, soprattutto, della capacità di trasformarsi in una moderna destra liberale e riformatrice, in grado di rompere definitivamente con la spazzatura neo nazionalista e sovranista. Il segnale a cui abbiamo assistito in queste ore di fine anno, invece, è quello dell’imbarazzante applauso che il consiglio regionale della Calabria ha tributato a Mimmo Tallini, il quale, è ritornato sugli scranni di palazzo Campanella dopo la revoca della misura degli arresti domiciliari. Un segnale pessimo che non lascia presagire nulla di buono in vista delle elezioni regionali.

Al di là della specifica vicenda giudiziaria, infatti, l’episodio, è emblematico della tentazione della classe politica di continuare ad autoassolversi, inoltre, rivela la visione del centrodestra calabrese, il quale non intende affatto rompere con il profilo di un certo ceto politico che, sostanzialmente, Tallini rappresenta. Sono in tanti a giurare, in queste ore, che Tallini sia nuovamente pronto, per l’ennesima volta, a ricandidarsi al consiglio regionale.

Sul fronte del centrosinistra, sostanzialmente, la musica è la stessa. Si conferma la condizione di una sinistra che ormai ha smarrito la sua mission originaria. Per riscattarsi dopo la sconfitta di gennaio con Callipo, avrebbe dovuto diventare il motore di un rinnovamento non solo della sua componente interna ma anche, aggiungiamo, soprattutto, della società.

Sarebbe bastato lo sforzo di rimettere al centro alcuni valori di fondo che sono stati troppo frettolosamente abbandonati dagli eredi sia di Enrico Berlinguer che di Aldo Moroche hanno dato vita al Pd. E, invece, stiamo assistendo al lento stillicidio di ogni ipotesi di alleanza con quei settori importanti della società che avrebbero potuto dare un contributo notevole al rinnovamento della politica calabrese. L’incapacità di mettere in campo da parte del Pd, una proposta credibile e non ambigua di rinnovamento che tranquillizzi coloro che puntano a rinnovare questa regione, di fatto, sta frantumando la possibilità di un’alleanza vasta di rigenerazione della vita politica. Le solite e inutili quanto sterili liturgie, gli esercizi verbali fatti di slogan assolutamente vuoti di contenuti, ancora una volta, stanno seppellendo la speranza di affermare la discontinuità verso una vecchia e usurata pratica politica. Inoltre, le voci che si susseguono, ove risultassero vere, di presunti scambi a vantaggio di equilibri politici che riguardano le elezioni comunali di Napoli, rispetto all’individuazione della candidatura alla presidenza della Calabria, rappresenterebbero una vergognosa deriva di cinismo politico.

La conseguenza di tutto ciò, potrebbe determinare che nulla cambi sul piano politico e istituzionale, e che il disincanto e la disaffezione alla politica dei calabresi che già da tempo ha raggiunto i due terzi del corpo elettorale, sia destinato a crescere.

In questa Regione, ci sarebbe bisogno di rimettere al centro una seria politica di selezione e formazione di una nuova classe dirigente. Per fare ciò, occorrerebbe la grande mobilitazione e partecipazione dei grandi centri di formazione culturale, sociale ed economica, come le Università, i grandi gruppi intermedi delle rappresentanze sociali, e i tanti luoghi di cultura e di formazione professionale sparsi per tutto il territorio regionale.

Tuttavia, affinché ciò avvenga, sarebbe necessario aprire un grande dibattito tra queste entità, superando e arginando, nelle componenti sociali più virtuose, un vecchio vizio tutto calabrese: l’individualismo. Il fallimentare avvio del confronto tra le varie componenti del civismo, per esempio, ne è la prova lampante. Il confronto che avrebbe potuto rappresentare un serio cambiamento nella politica calabrese, purtroppo, si è infranto sul nascere, intorno alla storica e dannosa disquisizione del prevalere del proprio ”IO” rispetto agli altri. Bisognerebbe rimettere al centro della discussione politica calabrese e non solo la questione morale, intesa nella sua accezione originaria, che non può essere confusa, o peggio, liquidata, come moralismo, ma deve essere intesa, come visione del rapporto tra istituzioni, politica e economia.

Aver ridotto la discussione sulla questione morale, alla mera contrapposizione tra giustizialisti e garantisti, è stato un errore strategico, soprattutto tra quegli intellettuali progressisti e riformisti, i quali, hanno ridotto la discussione, alla critica feroce dell’azione dei Pm di quella Procura piuttosto che altre. Un errore clamoroso che, involontariamente, ha fornito uno straordinario assist a quelle forze che si oppongono trasversalmente al rinnovamento della politica nella nostra regione. Tutto ciò, purtroppo, ha condizionato una seria e approfondita analisi sullo stato di degrado delle istituzioni e dei partiti, impedendo, da lustri, il rinnovamento delle classi dirigenti.

Insomma, le premesse di un 2021 che ci riservi qualcosa di positivo sul fronte del rinnovamento della politica, almeno, in questa Regione, e in questa fase, mancano radicalmente. Le elezioni determinate dalla prematura scomparsa della presidente Jole Santelli, ci inducono, dunque, inevitabilmente, a osservarle con una pesante dose di scetticismo e pessimismo.

E, tuttavia, possiamo consolarci sul fatto che, comunque, esiste una Calabria che è in grado di rinnovarsi, indipendentemente dalla inconcludenza e inconsistenza della sua classe politica. Una nuova generazione di imprenditori nei vari settori dell’economia, infatti, è cresciuta e sta registrando risultati encomiabili, molti di questi sono giovani e lasciano ben sperare nella capacità di questa nostra sfortunata terra, di sopravvivere alla sua corrotta e mediocre classe politica ed istituzionale.

Siamo pessimisti, ma come sosteneva, Antonio Gramsci, il nostro è il pessimismo dell’intelligenza, quella necessaria, a saper cogliere e osservare positivamente, queste oasi di efficienza generazionale e imprenditoriale che stanno crescendo nella nostra regione. Oasi legate alla impresa innovativa, alle arti, alla cultura, alle professioni, alla ricerca, all’agricoltura, alla solidarietà.

Un patrimonio che contiene l’energia necessaria e utile a rinascere, cosi come, tra l’altro, ci aveva indicato il nostro grande poeta Leonida Repaci, in conclusione del suo poema dedicato alla Calabria: «Quando aperti gli occhi, poté abbracciare in tutta la sua vastità la rovina recata alla creatura prediletta, Dio scaraventò con un gesto di collera il Maligno nei profondi abissi del cielo. Poi, lentamente, rasserenandosi disse: “Questi mali e questi bisogni sono ormai scatenati e devono seguire la loro parabola. Ma essi non impediranno alla Calabria di essere come io l’ho voluta. La sua felicità sarà raggiunta con più dolore ecco tutto. “Utta a fa jornu c’a notti è fatta”. Si sbrighi a far giorno che la notte è passata. Una notte che contiene già l’albore del giorno».

Auguriamo a tutti i calabresi che “l’albore del giorno” accompagni il 2021 che abbiamo davanti.

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