La buona sanità a Vibo Valentia fa notizia ma questa non è sempre una buona notizia
Nel giro di pochi giorni abbiamo pubblicato due lettere piene di gratitudine per i medici e gli operatori sanitari dello Jazzolino, ospedale che non dovrebbe neppure più esistere. Ma quando la normalità diventa straordinarietà qualcosa si è già rotto
La buona sanità ci sorprende, ci spiazza, ci lascia perplessi. E diventa notizia. Come le due lettere che grondano gratitudine inviate a Il Vibonese nel giro di una settimana, due lettere che raccontano tutto il bene possibile dell’ospedale più bistrattato della Calabria, forse d’Italia: lo Jazzolino di Vibo Valentia. Non dovrebbe nemmeno più esistere da un pezzo, lo Jazzolino. Al suo posto ci dovrebbe essere un nuovo ospedale, promesso 20 anni fa con la mano sul cuore e sulla scheda elettorale, con tanto di prima pietra piantata nella nuda terra alla presenza delle “massime autorità civili, militari e religiose”, come recita la retorica di circostanza. Ma nel 2024 quasi 2025 ancora stanno gettando le fondamenta e non si sa quando sarà pronto.
Intanto, il vecchio, vecchissimo ospedale di Vibo resiste perché non ci sono alternative. Medici e infermieri costretti ogni giorno a fronteggiare il malcontento degli utenti che spesso sfocia nella violenza non solo verbale. Le aggressioni non si contano più, il pronto soccorso scoppia e il disagio deflagra anche tra gli operatori, come testimoniano le tensioni che recentemente hanno spinto una veterana del servizio d’emergenza come la dottoressa Marianna Rodolico a dire basta, me ne vado. Ma lo Jazzolino non ha alternative alla resilienza. Non è un negozio che può fallire e abbassare le saracinesche, non è un partito politico che può cambiare nome e inventarsi una verginità probabilmente persa da tempo nel peggiore dei modi. È un ospedale, l’unico “vero” ospedale della provincia vibonese, un territorio che conta 150mila abitanti. Pochi rispetto ai parametri nazionali, ma abbastanza per non essere ignorati e ridotti a fantasmi.
Così, quando in questa trincea scavata nella rassegnazione le persone vengono salvate, curate e accudite, la loro storia diventa notizia. Ne abbiamo dato conto in due articoli, uno oggi e l’altro qualche giorno fa, il 5 settembre scorso. A contattarci sono stati familiari grati, commossi dalla qualità dell’assistenza ricevuta. E già questo rende l’idea. Perché se senti il bisogno di ringraziare pubblicamente chi ha semplicemente fatto il proprio dovere, qualcosa nella normalità già si è rotta. Ma è giusto così. È giusto rilanciare quelle che in realtà sono non-notizie, perché la notizia vera è la nostra meraviglia, il nostro sconcerto di fronte alla possibilità che anche qui, anche a Vibo, talvolta qualcosa va per il verso giusto.
Lo Jazzolino non ha abbastanza medici, non ha posti letto e macchinari in numero sufficiente alle esigenze dell’utenza che deve servire. Ma ha uomini e donne che danno il massimo ogni giorno. Accanto a loro, però, c’è anche chi, a cominciare dalla peggiore politica, di quest’ospedale di frontiera nel corso dei decenni ha fatto carne di porco, del quale, si sa, non si butta nulla. I processi in corso vedono alla sbarra dirigenti accusati di essere al soldo della ‘ndrangheta, parlano di infiltrazioni mafiose che ora pendono come una spada di Damocle sull’Azienda sanitaria provinciale che, con tutta probabilità, verrà sciolta una volta che il ministero dell’Interno avrà tirato le somme del lavoro svolto dalla commissione d’accesso.
Intanto, però, ci sono pazienti da curare, centinaia di emergenze da affrontare ogni giorno, una quotidianità da fronteggiare con il coltello tra i denti e le maniche arrotolate. E fuori, sotto la statua di Santo Pio che presidia l’ingresso del nosocomio con la mano di bronzo a benedire chi suo malgrado si avvicina, ogni mese, da 18 mesi a questa parte, c’è un presidio di protesta organizzato da Città attiva, osservatorio civico che denuncia con mirabile ostinazione le condizioni fatiscenti della sanità vibonese. Perché comunque una rondine, o due, non fanno primavera.