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«Quella Made in Usa non chiamatela ’nduja di Spilinga», Porcelli (Coldiretti) risponde a Barbalace dopo la trasferta americana – Video

Il referente vibonese dell'associazione datoriale non molla la presa dopo le forti critiche mosse nei confronti del vice sindaco e del presidente del consorzio di produttori Francesco Fiamingo

«Quella Made in Usa non chiamatela ’nduja di Spilinga», Porcelli (Coldiretti) risponde a Barbalace dopo la trasferta americana – Video

«Noi non contestiamo il fatto che la ’nduja sia stata prodotta negli Stati Uniti. Noi contestiamo il fatto che sia stata spacciata per ’nduja calabrese quando in realtà non lo è». Questa l’accusa formulata da Giuseppe Porcelli, presidente di Coldiretti Vibo Valentia e titolare dell’azienda agricola Livasì, in merito a una polemica che parte da Spilinga, comune vibonese celebre proprio per il famoso insaccato. Al centro della questione la ‘nduja prodotta negli Stati Uniti da un imprenditore originario della Calabria e promossa dal vicesindaco di Spilinga, Franco Barbalace e dal presidente del Consorzio della ‘nduja di Spilinga Francesco Fiamingo

Secondo Coldiretti si tratta di Italian sounding e cioè di prodotti che richiamano quelli tipici italiani con simboli, parole o figure evocanti l’italianità ma che sono realizzati altrove. Insomma, secondo l’associazione di categoria si tratta di un fake. Il progetto portato avanti negli Stati Uniti, spiega in una nota il vicesindaco Barbalace, vuole in realtà difendere la bontà della ricetta spilingese e non intende parificare la qualità della ‘nduja di Spilinga con quella prodotta negli USA. Ma nel frattempo, continua il vicesindaco, producendo direttamente dagli Stati Uniti – per via dell’impossibilità per motivi sanitari di esportare carni di maiale dalla Calabria negli USA – vuole portare al consumatore una ‘nduja prodotta con il metodo tradizionale

Non si fa attendere la risposta di Porcelli che sentenzia: «È una produzione statunitense. Noi abbiamo letto anche l’etichetta e, tenendo conto anche del disciplinare della ‘nduja di Spilinga, quella tutto è meno che un prodotto che segue la tradizione spilingese, con tanto di conservanti. Ma soprattutto la ‘nduja di Spilinga può definirsi tale in quanto prodotta in quest’area. Tutto il resto va bene chiamarlo ’nduja, ma non si può fare riferimento alla ‘nduja di Spilinga».

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Sulla questione della concorrenza al prodotto made in Italy, sollevata da Coldiretti, Barbalace rilancia: «Coldiretti si preoccupi della concorrenza delle aziende cosentine e di altre province che producono ‘nduja e la chiamano in alcuni casi di Spilinga, facendo davvero concorrenza agli spilingesi. Anche su questo punto è intervenuto Porcelli: «Io, in realtà, ho conoscenza di tante realtà calabresi che vengono ad acquistare il prodotto a Spilinga, da aziende di questo territorio, per poi portarlo in tutto il mondo e così facendo promuovono un prodotto originale, non un falso».

In merito poi all’invito di Barbalace a Coldiretti e alle altre associazioni di categoria circa un confronto volto a condurre, in maniera congiunta, la battaglia sulla valorizzazione e promozione anche all’estero della nduja calabrese,Porcelli spiega come Coldiretti sia «sempre in prima linea e promotrice di molteplici iniziative a favore della ’nduja di Spilinga. Non ultima quella di un incontro alla Camera di commercio con tutti i produttori dell’areale (e non solo) per poter portare avanti l’iter dell’IGP. Ancora oggi – ha concluso Porcelli – noi non capiamo come mai siano passati quindici anni da quando è stato presentato il disciplinare dell’IGP e, ancora oggi, la ‘nduja di Spilinga non ha l’onore di avere questo riconoscimento».

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