Pizzo, il presidio Slow food dello Zibibbo è realtà
Qualità ai massimi livelli, marketing e rigidi protocolli per lanciare un prodotto unico. Un scelta che ha fatto infuriare i produttori siciliani e quelli della vicina Bagnara
«In Sicilia sono arrabbiati, perché anche loro hanno lo Zibibbo e si sentono esclusi. E per lo stesso motivo sono arrabbiati anche a Bagnara, in provincia di Reggio Calabria. Ma l’uva Zibibbo di Pizzo ha caratteristiche peculiari, che ne fanno un prodotto unico che esiste soltanto qui».
Nicola Fiorita, presidente di Slow food Calabria, non usa mezze misure per spiegare i motivi che hanno spinto l’associazione internazionale no profit, impegnata a difesa delle produzioni alimentari di qualità, a istituire un presidio dedicato esclusivamente allo Zibibbo che si coltiva nel territorio compreso tra Pizzo e il bacino dell’Angitola. Rivendica una scelta pienamente consapevole, ponderata a lungo, «con alle spalle oltre un anno e mezzo di lavoro, fatto di studi, ricerche storiche e riscontri qualitativi».
Il nuovo presidio Slow food, presentato ufficialmente ieri sera a Pizzo, consacra definitivamente nel gotha dei prodotti agroalimentari italiani di massima eccellenza la secolare uva bianca che cresce solo sui terrazzamenti assolati esposti alla brezza marina, dalla quale si ricava l’omonimo vino bianco Zibibbo. «Un risultato – ha continuato Fiorita – ottenuto grazie all’impegno di pochissimi coltivatori, che hanno consentito la sopravvivenza di questa vite, e all’attenzione del Comune di Pizzo, che ha investito risorse economiche in questo progetto e con il quale abbiamo lavorato fianco a fianco per molti mesi».
Un impegno rimarcato dal sindaco Gianluca Callipo e dall’assessore alla Cultura Cristina Mazzei, presenti anch’essi ieri alla Tonnara, dove è stato illustrato il nuovo presidio di tutela. «Siamo orgogliosi di aver dato un contributo concreto alla valorizzazione di questo prodotto della nostra terra – ha detto Callipo -. Un’amministrazione comunale attenta ha il dovere di salvaguardare le risorse del territorio, perché è in questo modo che si generano quei processi virtuosi di sviluppo che poi ricadono positivamente sull’intera comunità. Salvare lo Zibibbo, non significa soltanto tutelare un importante retaggio culturale, ma vuol dire anche innescare effetti a catena nell’economia napitina, dall’agroalimentare al turismo».
Sono appena quattro i viticoltori certificati da Slow food. A rappresentarli c’era Giovanni Benvenuto, che ha spiegato come con rigidi protocolli siano riusciti a salvaguardare una varietà unica di Zibibbo. «Ma senza Comune e senza Slow food – ha detto – non ce l’avremmo fatta a raggiungere questo traguardo». Gli effetti concreti del riconoscimento ottenuto sono principalmente nelle molteplici possibilità di commercializzazione che ora la rete di Slow food mette a disposizione dei produttori, grazie a un marketing tutto focalizzato sulla qualità.
Concetti ribaditi e approfonditi dal vice presidente della Regione Calabria, Antonio Viscomi, presente all’evento di ieri sera. «A molti potrà suonare strano – ha affermato Viscomi -, ma la Calabria prima di essere una regione turistica è una regione agricola. Tutti i dati dicono questo. Eppure la media di terreno coltivato per ogni agricoltore è di appena 4,2 ettari, a fronte di una media europea di 24 ettari. Questo vuol dire che qui esiste ancora un’agricoltura di sussistenza. Per crescere, dunque, bisogna cambiare mentalità, mettersi insieme e fare rete, valorizzando i territori, non intesi però come soli confini comunali. Per competere sui mercati, l’agricoltura calabrese non può puntare sulla quantità, perché su questo ci batteranno sempre, ma deve scommettere sulla qualità, che richiede alta professionalità e una solida etica produttiva. E il nuovo presidio Slow food dello Zibibbo di Pizzo va proprio in questa direzione».