Vibo Valentia con i salari nel privato più bassi in Italia nell’ultimo rapporto della Cgia
La retribuzione media annua dei dipendenti allarga il divario tra Nord e Sud. Ecco le ragioni spiegate dall’associazione Artigiani e Piccole Imprese e la classifica degli stipendi
Si attesta quale fanalino di coda Vibo Valentia nell’ultimo rapporto Cgia dedicato alle buste paga in Italia. La retribuzione media lorda annua dei dipendenti nel settore privato a Milano è infatti di 31.202 euro, mentre a Palermo è di 16.349 euro: una differenza del 90%. Se però il confronto viene fatto con Vibo Valentia (11.823 euro la retribuzione media lorda annua), il divario è addirittura superiore del 164%. La retribuzione media italiana, invece, ammonta a 21.868 euro. Per stilare il rapporto, la Cgia ha preso in esame i dati dell’Inps dove sono emersi i forti squilibri tra Nord e Sud, ma anche tra le aree urbane e quelle rurali. Una questione che le parti sociali hanno tentato di risolvere, dopo l’abolizione delle cosiddette gabbie salariali dei primi anni ’70, attraverso l’impiego del contratto collettivo nazionale del lavoro. Un’applicazione che però ha prodotto solo in parte gli effetti sperati. Il Cnel ha infatti più volte segnalato che il problema dei lavoratori poveri non sembra riconducibile ai minimi tabellari troppo bassi, ma al fatto che durante l’anno molte persone lavorano un numero di giornate molto contenuto. Entro il 15 giugno scorso al Ministero del Lavoro erano presenti 10.568 contratti attivi di secondo livello, di cui 9.532 di natura aziendale e 1.036 territoriali. Il 43 % era stato sottoscritto in strutture con meno di 50 addetti, il 41% in quelle con più di 100 e il 16% in quelle tra 50 e 99 lavoratori. Dei 10.568 contratti attivi, il 72% è stato fatto al Nord, il 18% al Centro e il 10% al Sud. Lombardia (3.218), Emilia Romagna (1.362) e Veneto (1.081) le regioni che hanno il numero più alto. In Italia sono quindi coinvolti 3,3 milioni di dipendenti (20% circa del totale nazionale), di cui 2,1 da contratti aziendali e 1,1 da contratti territoriali. La Cgia di Mestre ritiene dunque che per appesantire le buste paga sarebbe necessario rispettare le scadenze entro le quali rinnovare i contratti di lavoro. Al netto del settore dell’agricoltura, del lavoro domestico e di alcune questioni di natura tecnica, all’1 settembre scorso il 54% dei dipendenti del privato aveva infatti il contratto collettivo nazionale di lavoro scaduto. Per quanto riguarda gli stipendi più alti nel privato, dopo Milano (31.202 euro annui lordi) seguono Parma (25.912 euro), Bologna (25.797), Modena (25.722) e Reggio Emilia (25.566). I lavoratori dipendenti più “poveri”, come detto, a Vibo Valentia (11.823 euro), seguita da Nuoro con 13.338 euro, Cosenza con 13.141 euro e Trapani (13.137 euro).
Le differenze salariali spiegate dalla Cgia
L’associazione Artigiani e Piccole Imprese Mestre Cgia sostiene al riguardo che “le disuguaglianze salariali tra le ripartizioni geografiche sono rimaste poichè nel settore privato le multinazionali, le imprese medio-grandi, le società finanziarie/assicurative/bancarie che di solito riconoscono ai propri dipendenti stipendi molto più elevati della media sono ubicate prevalentemente nelle aree metropolitane del Nord. Le tipologie di aziende appena richiamate, infatti, dispongono di una quota di personale con qualifiche professionali sul totale molto elevata, con livelli di istruzione alti a cui va corrisposto uno stipendio importante. Infine non va nemmeno dimenticato – sostiene la Cgia – che il lavoro irregolare è diffuso soprattutto nel Mezzogiorno e da sempre questa piaga sociale ed economica provoca un abbassamento dei salari contrattualizzati. Tuttavia, se invece di comparare il dato medio tra aree geografiche diverse lo facciamo tra lavoratori dello stesso settore, le differenze territoriali si riducono e mediamente sono addirittura più contenute di quelle presenti in altri paesi europei. Pertanto, possiamo dire che in Italia le disuguaglianze salariali a livello geografico sono importanti, ma grazie a un preponderante ricorso alla contrattazione centralizzata, abbiamo differenziali più contenuti rispetto agli altri Paesi. Per contro, la scarsa diffusione in Italia della contrattazione decentrata – istituto, ad esempio, molto diffuso in Germania – non consente ai salari reali di rimanere agganciati all’andamento dell’inflazione, al costo delle abitazioni e ai livelli di produttività locale, facendoci scontare anche dei gap retributivi medi con gli altri paesi molto importanti”.
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