Centri per l’impiego: «Lo scandalo della sede di Vibo non operativa fisicamente da due anni»
La denuncia della CSA-Cisal che fotografa la situazione in tutta la Regione, tra sedi chiuse e altre aperte ma con pochi dipendenti
«Sedi di primaria importanza chiuse da anni, altre attive ma con pochi dipendenti, un grande punto interrogativo su ingenti somme stanziate e l’impressione generale che l’organizzazione sia tutt’altro che efficiente. È il preoccupante quadro – denuncia il sindacato CSA-Cisal – dei Centri per l’impiego calabresi (CpI). Entità su cui il governo nazionale ha deciso di investire parecchie risorse del Pnrr ma che si presentano in condizioni assolutamente non ottimali e per cui si richiederebbe una decisa revisione».
La mappa dei Cpl
«Partiamo dai numeri – scrive il sindacato -. I CpI della Calabria sono in tutto 15: 3 nella provincia di Catanzaro (Catanzaro, Lamezia Terme e Soverato); 5 nella provincia di Cosenza (Cosenza, Castrovillari, Corigliano, Rossano e Paola); 2 nella provincia di Crotone (Crotone e Cirò Marina); 2 nella provincia di Vibo Valentia (Vibo Valentia e Serra San Bruno) e 3 nella provincia di Reggio Calabria (Reggio Calabria, Gioia Tauro e Locri). Oltre alle 15 “sedi principali”, esistono 17 “sedi locali coordinate” (SLC), che sono funzionalmente collegate alle prime: 11 nel Cosentino; 5 nel Reggino e una nel Crotonese».
Lo scandalo della sede di Vibo
«Questa è la mappa dei CpI, però occorrono le dovute precisazioni. Anzitutto, lo scandalo delle sedi CpI di Vibo Valentia e di Cosenza che non sono operative fisicamente da circa due anni e per cui ancora oggi non si hanno segnali di riapertura. Per la precisione, il Datore di Lavoro ha disposto la chiusura della sede di Vibo “per l’inutilizzabilità” della stessa per svolgere attività lavorativa lo scorso 10 agosto 2020 e, con la stessa motivazione, lo scorso 2 dicembre 2020 quella di Cosenza. In quest’ultimo caso stiamo parlando del capoluogo della Provincia più popolosa della Calabria e nel primo di un territorio da circa 34 mila abitanti. È indecente – evidenzia il sindacato Csa-Cisal – come le popolazioni di queste aree siano inibite dal poter fruire dei servizi delle rispettive sedi fisiche di CpI di riferimento. Visto il lungo tempo trascorso, è amareggiante constatare come sfugga l’importanza di un servizio pubblico di prossimità, che rappresenta una risorsa preziosa rimanendo per di più inascoltato il disagio arrecato anche ai dipendenti (costretti a lavorare da remoto) e alla cittadinanza».
Criticità a Gioia Tauro e Locri
«Non ci sono soltanto le chiusure di CpI ma anche le condizioni “raccapriccianti” di due sedi locali coordinate. Parliamo di Gioia Tauro e di Locri. Nel primo caso – continua la nota del Csa-Cisal -, dopo un sopralluogo del 14 aprile 2021 il Datore di Lavoro con il Responsabile per la sicurezza e salute dei lavoratori, in particolare, documentavano quanto segue: “Tutte le criticità elencate non consentono l’ulteriore utilizzo dell’immobile come luogo di lavoro perché è a repentaglio l’incolumità e la salute degli operatori, con particolare riferimento alla presenza di (guano) in quantità eccessiva e su alcuni balconi dell’immobile, il quale, notoriamente, può essere causa di diffusione di malattie”. Mentre a Locri, e in questo caso parliamo del 12 maggio 2021, il Datore di Lavoro segnala: “La criticità più grave e che rappresenta un vulnus che rende i locali inutilizzabili ai fini lavorativi venendo compromesso il confort generale è il mancato funzionamento degli impianti di climatizzazione. Vanno sostituiti tutti i climatizzatori esistenti perché, quei pochi ancora operanti, sono alimentati con gas non più considerati salubri e per i quali non è possibile operare alcun tipo di manutenzione”. Vorremmo capire – domanda il sindacato – se tutte le criticità segnalate parecchio tempo addietro dal Datore di Lavoro siano state sanate o meno. Purtroppo, sembrerebbe proprio di no».
Il caos del personale
«E fin di qui si è parlato degli oggettivi problemi su alcuni luoghi di lavoro (che peraltro sono soltanto alcuni esempi fra i più eclatanti) ma i CpI soffrono anche di una pessima gestione delle risorse umane. Il totale dei lavoratori fra sedi principali e SLC è di 343 unità: 278 unità (7 categoria “A”, 89 categoria “B”, 65 di categoria “C” e 117 categoria “D”) al quale si aggiungono un totale di 65 lavoratori di Azienda Calabria Lavoro. Tuttavia, nella loro distribuzione emergono evidenti paradossi. Ad esempio – si legge -, sedi CpI con 5 o 6 dipendenti: è il caso di quelle di Cirò Marina, Catanzaro, Castrovillari, Serra San Bruno. Per non parlare delle sedi locali coordinate che hanno appena un dipendente regionale (Trebisacce), 2 soli dipendenti (Rogliano, San Marco Argentano e la sede presso l’Unical), 3 lavoratori (Montalto Uffugo, Belvedere Marittimo, Bagnara Calabra), ad eccezione della sede dislocata di Cassano allo Ionio dove non è presente nessun dipendente regionale se non uno di Azienda Calabria Lavoro. Mentre assistiamo al paradosso del CpI di Cosenza chiuso da quasi due anni, abbiamo situazioni nella stessa provincia di uffici con pochi dipendenti e distanziate tra loro di pochi chilometri: Trebisacce (dove ci sono solo 2 dipendenti) e Castrovillari (dove ci sono solo 7 dipendenti) a circa 50 Km; Corigliano (10 dipendenti) e Rossano (12 dipendenti) distanti fra loro appena 17 km; San Marco Argentano (dove ci sono solo 3 dipendenti) e Belvedere Marittimo (dove ci sono solo 3 dipendenti) a circa 50 Km; Cassano allo Ionio (dove addirittura non c’è nessun dipendente regionale se non una sola unità di Azienda Calabria Lavoro) e Scalea (dove ci sono solo 6 dipendenti) a 72 Km; Rogliano (con solo 2 dipendenti) e Amantea (con soli 9 dipendenti) a 52 Km di distanza. Per non parlare poi anche della provincia di Reggio Calabria. Sedi, anche qui, che distano pochi chilometri tra di loro. È il caso della sede di Caulonia (con soli 4 dipendenti) e Locri che distano a mala pena 37 Km. O ancora Bagnara Calabra (con soli 3 dipendenti) e Villa San Giovanni (con soli 6 dipendenti), che distano 20 Km».
«Perché – domanda il sindacato Csa-Cisal – non rivedere la geografia complessiva delle sedi CpI e renderla più efficiente, ricordando anche che le spese per corrente elettrica, gas (e tutti sappiamo degli incredibili aumenti degli ultimi mesi) e acqua sono a carico dell’amministrazione regionale? Perché, in sostanza, non scegliere di accorpare le sedi più piccole e con un minor numero di dipendenti per risparmiare sulle spese e fornire, al contempo, un servizio migliore all’utenza? Tutto questo, ovviamente, non può che prescindere dalla riapertura delle sedi principali di Cosenza e Vibo Valentia, fatto che grida vendetta».
Il reclutamento di nuovo personale
E infine uno sguardo al futuro. Come tutti sanno, la Regione ha bandito dei concorsi per il reclutamento di complessive 537 unità per rafforzare i Centri per l’Impiego calabresi. Lavoratori che dovrebbero servire a espletare quelle procedure correlate alla ricerca dell’impiegabilità dei percettori del reddito di cittadinanza, della formazione e più in generale dell’incontro fra domanda e offerta di lavoro. Esistono, a oggi, – domanda il sindacato Csa-Cisal – sedi in grado di ospitare questo nuovo contingente? Parrebbe proprio di no, visto che quelle esistenti non sembrano adatte ad assorbire i nuovi arrivi. Qualcuno si è mai posto questo reale problema? E inoltre ricordiamo che il potenziamento dei Centri per l’impiego non sarà attuato solo tramite le assunzioni; il Piano Regionale Straordinario di Potenziamento prevede, infatti, investimenti per l’ammodernamento fisico e tecnologico delle diverse sedi nonché l’individuazione di nuovi locali da adibire a sede e per i quali sono stanziati circa 33 milioni di euro. Bene, allora perché non provvedere nell’immediato? Naturalmente – sottolinea il sindacato CSA-Cisal – non possiamo che ringraziare tutti i lavoratori dei CpI e delle sedi locali coordinate per l’egregia attività svolta nonostante tutte queste difficoltà logistiche. Sono autentici dipendenti in trincea».
«Anche per mettere ordine ed eliminare tali criticità riteniamo necessario, alla luce di quanto sopra esposto, che l’Amministrazione regionale consideri una profonda revisione dell’organizzazione dei CpI attraverso una logica rivisitazione delle sedi in cui considerare le nuove unità lavorative, in modo da affrontare al meglio le prossime sfide che vedono questi uffici come elemento imprescindibile per le politiche attive del lavoro».