Statuto lavoratori, la Cgil avvia la campagna referendaria nel ricordo della “littorina”
Iniziativa del sindacato programmata per sabato 9 aprile a Vibo Valentia rievocando la tragedia del crollo del ponte Ciliberto quale simbolo di tutte le morti per il lavoro.
«Sabato 9 aprile, la Cgil darà il via, su tutto il territorio nazionale, alla raccolta di firme a sostegno della proposta di legge di iniziativa popolare per il nuovo Statuto dei Lavoratori, che intende tutelare tutti gli occupati, indipendentemente dal lavoro che svolgono, sia esso dipendente, parasubordinato, atipico, non standard, precario o autonomo».
È quanto riferisce in una nota la segreteria provinciale del sindacato Cgil, aggiungendo che «la firma di un cittadino e di una cittadina è la forza di noi tutti: la prima ragione per sottoscrivere la proposta di legge sulla carta dei diritti è offrire al paese un’altra strada di politica economica, dignità e libertà. A sostegno di ciò, verranno affiancati i tre quesiti referendari, già pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale, che hanno come oggetto la cancellazione del lavoro accessorio (voucher), la reintroduzione della piena responsabilità solidale in tema di appalti e una nuova tutela reintegratoria nel posto di lavoro in caso di licenziamento illegittimo per tutte le aziende con più di 5 dipendenti».
A Vibo Valentia, l’appuntamento è fissato in piazza Municipio, sabato alle ore 10, quando verrà presentata a cittadini e stampa «la lunga ed itinerante iniziativa provinciale. In particolare – spiega la Cgil -, abbiamo deciso di legare questa significativa giornata della raccolta di firme con uno dei fatti più drammatici accaduti nella storia del nostro territorio: “la tragedia della littorina”. Significa per noi onorare il ricordo di tutte le vittime del lavoro e di quanti hanno speso a caro prezzo i sacrifici della loro dignità lavorativa; mantenere alta l’attenzione sulla vertenza ancora aperta del cementifico e delle condizioni di sviluppo di una potenziale area industriale e produttiva; dare ancora più forza ad una battaglia per il futuro lavorativo dei nostri giovani, per permettere loro di realizzare le proprie aspirazioni, per garantire un lavoro dignitoso e tutelato a tutti».
Quel caso, che scosse la comunità vibonese viene ora commemorato dalla Cgil con l’immagine di «uno stridulo fischio, l’acuto attrito delle ruote metalliche nella loro estrema resistenza alla scivolosa via ferrata. Fu probabilmente questo il rumore che interruppe l’ultimo pensiero, ricordo, preoccupazione o sogno degli undici passeggeri, e dei superstiti che ne ebbero segnata la vita, viaggiando sulla via ferroviaria “Porto Santo Venere-Mileto”. Era il 1951, il diciassettesimo giorno di novembre, quando il cedimento del ponte “Ciliberto” interruppe per sempre il viaggio dei settanta passeggeri della littorina. Tra loro per lo più operai del cementificio di Vibo Marina, ma anche insegnanti, uomini dell’arma e pendolari, in quello che più tardi verrà ricordato come l’incidente di “Timpa janca”».
Solo 12 anni prima, aggiunge il sindacato, «era iniziata la realizzazione della cementeria di Vibo Marina, nel quadro delle iniziative dirette a promuovere l’industrializzazione delle aree meridionali. Quella via ferrata, serviva anche a questo: agevolare lo sviluppo, spingerlo alla velocità massima, aiutare la crescita. Così come il cementificio, opera faraonica che avrebbe dato lavoro ed incrementato l’economia del territorio. Ma così non fu: nel 1963, quel tracciato ferroviario fu definitivamente smantellato. Per il cementificio, invece, ci volle qualche anno di più».
Il resto è storia dei giorni: «si arrivò al 2012 perché i vertici nazionali della cementeria decidessero di cessare inesorabilmente ogni attività, lasciando di sé l’immagine di un’ennesima cattedrale abbandonata: non più competitivo, ci dissero, ma generatore di passività non ulteriormente sopportabili. Fu la fine di una storia industriale. Sospesi in quel luoghi, per quanto tragicamente differenti, le due cose ci appaiono drammaticamente legati tra loro. Una continuità storica ed ideale li lega indissolubilmente: l’incuria e l’abbandono, la fragilità e l’isolamento politico, così come lo sfruttamento dei suoi abitanti, che vivono nella speranza di un riscatto, economico, prima che sociale e civile».