Confindustria, Imparato a fine mandato: «Diventiamo cittadini anziché sudditi» – Video
Il presidente uscente della sezione Turismo di Vibo Valentia fa un bilancio di quattro anni alla guida dell’ente: «La politica non può salvare la Calabria, tocca a noi»
Gianni Imparato a tutto campo. Il presidente della sezione Turismo di Confindustria Vibo Valentia traccia un bilancio dell’esperienza che sta per concludersi. Dopo quattro anni alla guida dell’organismo, lunedì dovrà infatti lasciare il posto al successore, per come previsto dallo statuto. Direttore dell’hotel Rocca Nettuno, una delle strutture più prestigiose di Tropea e dell’intera regione, ai nostri microfoni ha ripercorso gli alti e bassi della sua esperienza senza tralasciare le questioni più spinose. Una lunga chiacchierata in riva al mare, dalla terrazza dell’albergo che ha aperto la stagione il 10 aprile già a pieno ritmo. Tracciamo un bilancio di questi quattro anni. «Purtroppo non posso vantare, né a nome personale né a nome di Unindustria Calabria, grandi risultati. Ho più volte chiesto al presidente Oliverio di nominare un referente politico, ma senza successo. E non mi si dica che è l’onorevole Mirabello perché è referente solo quando il governatore non si può presentare in prima persona. Resta l’ufficio regionale preposto, ma anche con questo non c’è la stessa volontà di dialogo che gli imprenditori auspicano». Politica quindi assente. Dagli imprenditori stessi cosa ha ricevuto, invece? «Faccio un appello a tutti, non solo turistici: continuare a non unire le nostre forze e capacità per portare avanti istanze non solo nell’interesse nostro, ma della collettività, non porterà mai sviluppo. Dobbiamo fare massa critica. Se ognuno di noi continua a guardare al proprio orticello, non andremo lontano. Solo unendo le esigenze omogenee per categorie e territori si può ottenere qualcosa. È inutile aspettare i partiti o la politica, perché il ragionamento è quello di partita doppia: io ti do questo, quindi ho un credito che mi dovrai rendere». Se tornasse indietro rifarebbe questa esperienza? «Assolutamente sì, anche solo per il fatto che è bello parlare da seduti, dal divano di casa propria, mentre altri stanno in prima linea e ci mettono la faccia. Un’abitudine molto diffusa in Italia ma che non mi piace affatto. Io ci ho messo la faccia e invito tutti a fare altrettanto, mettendoci anche il cuore». Lei ci ha messo la faccia anche in situazioni molto delicate, denunciando i suoi estortori. «Dove c’è criminalità gli interessi legittimi non potranno prosperare mai. Vivere da sudditi o da uomini liberi è una scelta del popolo. Tropea conta settemila abitanti, i sodali dei gruppi criminali possono essere cinquanta o cento, possibile che 6900 persone non siano in grado di contrastarli? È che non abbiamo né la forza né la voglia di farlo. Ma non dobbiamo dimenticare che subire in silenzio significa essere collusi, collaborare per reprimere questo fenomeno significa reagire. E lo Stato quando vuole riesce. L’abbiamo visto con il terrorismo e con cosa nostra. Dovremmo vedere con la ‘ndrangheta. Gratteri ci sta provando, ha sicuramente ragione quando dice che c’è una quantità di colletti bianchi in posizioni strategiche che fanno sponda a giochi sporchi di una criminalità che ormai è di puro carattere imprenditoriale». Come immagina la Calabria fra trent’anni? «Vedere inneggiare a qualcuno, come Salvini, che dalle più brutali offese del passato oggi ci solletica e noi saliamo sul carro solo perché vincente, la dice lunga su tutto. Pensiamo a quanti fondi sono stati destinati al Sud e quanti al Nord: siamo sempre stati trattati da sudditi, sia dallo Stato che dall’antistato». Qual è il farmaco per guarire da questo morbo? «Diventare cittadini. Passare da sudditi a cittadini. D’altronde qualche anno fa ci fu un referendum che chiese di scegliere tra repubblica e monarchia e vinse la repubblica. Cerchiamo quindi di essere cittadini e non sudditi, perché nessuno ci può governare a libero imperio, persino tra le pecore ce n’è qualcuna che va controcorrente, mentre noi restiamo sempre allineati. Anzi mi permetta di dirlo: non capisco perché noi calabresi, che abbiamo forza e coraggio quando ci vogliono, dobbiamo essere sempre “appecorati”».