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Comune Serra, i precari: «Unici senza tutele, parte debole dell’ingranaggio»

Lettera dei lavoratori (Lsu ed Lpu) dell’ente indirizzata alla Corte europea dei diritti dell’uomo, al Presidente Sergio Mattarella e al prefetto di Vibo Valentia Roberta Lulli

Comune Serra, i precari: «Unici senza tutele, parte debole dell’ingranaggio»
I lavoratori precari in servizio al Comune di Serra San Bruno
La sede dell’amministrazione comunale

«Ci rivolgiamo alle signorie vostre poiché stanchi di vedere leso il diritto al lavoro sano, sicuro e dignitoso, così come tutelato, dall’articolo 36 della Costituzione Italiana, nonché dall’articolo 31 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europa. Siamo un gruppo di circa 50 persone e la nostra è una lunga storia di sacrifici, speranze, attese, illusioni e puntuali delusioni. Ha inizio tra il 1997 ed il 1998, quando, per alcuni a seguito dell’attuazione di progetti di lavoro socialmente utile e per altri nell’ambito dell’attivazione di progetti di pubblica utilità, ex decreto legislativo 7 agosto 1997, numero 280, abbiamo deciso, a ragione o a torto e per le ragioni più disparate, di aprirci a tali opportunità lavorativa. Sede del nostro lavoro il Comune di Serra San Bruno, presso il quale ciascuno di noi ha ricoperto nel corso degli anni le mansioni e le occupazioni più svariate, spazzino, addetto alla manutenzione o alla raccolta dei rifiuti, autista, operatore a supporto dei servizi sociali, fino anche a svolgere compiti di concetto che non collimano con le qualifiche per le quali siamo retribuiti, quando lo siamo». [Continua in basso]

Il presidente Sergio Mattarella

Questo l’inizio di una lunga e a tratti drammatica lettera che i lavoratori precari (Lsu ed Lpu) dell’ente hanno indirizzato alla Corte europea dei diritti dell’uomo, al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e al prefetto di Vibo Valentia Roberta Lulli. Nella missiva viene, inoltre, ricordato che il Comune presso il quale lavorano «ha oramai pochissimi dipendenti di ruolo, tanto che, se noi decidessimo ed avessimo il coraggio di fermarci per pura protesta, tutte le attività ed i servizi offerti dallo stesso ne risentirebbero pesantemente. Fino al 2014 – viene denunciato – il lavoro da noi svolto può essere qualificato lavoro nero legalizzato, giacché in relazione a detto periodo non è stato versato alcun contributo ai fini pensionistici. Per tale rapporto di lavoro, un part-time a 30 ore settimanali, percepivamo circa 800,00 euro mensili, oltre gli eventuali assegni per il carico familiare. In quegli anni vari sono stati i rinnovi e le lotte per ottenerli, venivamo ricordati in occasione dell’approssimarsi delle diverse competizioni elettorali o dai vari sindacati per l’incetta di adesioni».

Roberta Lulli, prefetto di Vibo Valentia

Dal 2015 in poi, il decreto interministeriale dell’8 ottobre 2014, ai sensi dell’articolo 1 comma 207 della legge 147/2013, ha stabilito le procedure per la stabilizzazione, «permettendo la contrattualizzazione a tempo determinato part-time a 26 ore settimanali, con inquadramento dei lavoratori solo in categoria A o B. Anche in questo caso  – annotano ancora i lavoratori del Comune di Serra – si sono susseguite più proroghe, che hanno visto la sottoscrizione di diverse postille contrattuali, prima per periodi per lo più annuali, mentre per il 2021, ad oggi, la gran parte di noi (Lpu) è giunta alla terza proroga, l’ultima delle quali dovrebbe vedere la sua scadenza al 31 del corrente mese. E dopo? Forse giungeremo ad essere assunti a 18 ore settimanali per percepire circa 600,00 euro mensili, quelli di noi che facevano parte degli Lsu, invece, sono già dipendenti di ruolo, ma a soli 12 ore settimanali con una retribuzione di poco più di 400,00 euro al mese». [Continua in basso]

In tutto ciò, prosegue la lettera, «gli unici a non essere tutelati siamo noi, parte più debole dell’ingranaggio. E i tanto decantati diritti costituzionali, adesso ribaditi anche a livello europeo?  Non abbiamo dignità lavorativa e sociale. Apparteniamo quasi tutti a famiglie monoreddito, chi delle signorie vostre in indirizzo riuscirebbe a “Campare” con delle simili miserie? E beffa tra le beffe, chi riuscirebbe a sopravvivere se la, sebbene misera, paga fosse corrisposta una volta tanto, a seconda della disponibilità di non sappiamo bene chi? Ministero, Regione, Ente di utilizzo? Fa lo stesso, poiché rimane certo che è da ben 4 o 5 mesi che i nostri portafogli non vedono un centesimo. Un detto che ricorre spesso qui da noi e che ben si adatta al caso recita così: tradotto in italiano “A togliere e non mettere si prosciuga anche l’acqua del mare” (tenendo conto che per noi, più che del mare, potremmo parlare di una piccola pozzanghera). Cosa fare quindi? Oltre che piangere? Siamo stanchi e pensiamo a ragione, per questo, oltre che segnalare apertamente e più diffusamente la situazione nella quale ci troviamo, abbiamo deciso – conclude la missiva dei precari – di intraprendere, nei prossimi giorni, un sit-in di protesta presso lo stesso luogo di lavoro».

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