mercoledì,Febbraio 19 2025

Presentato a Vibo il libro Avrei voluto scriverti cantando. L’autore Olimpio Talarico: «Ogni mio racconto si basa su fatti reali»

La storia di un ragazzo costretto a fuggire in Germania che perde famiglia, patria e amore. Lo scrittore è tra gli organizzatori del premio letterario Caccuri: «Trovo molto più difficile la parola rispetto alla scrittura»

Presentato a Vibo il libro Avrei voluto scriverti cantando. L’autore Olimpio Talarico: «Ogni mio racconto si basa su fatti reali»
La presentazione del libro Avrei voluto scriverti cantando

Sabato scorso, alle ore 18.30 nella libreria Cuori d’inchiostro di Vibo Valentia, si è tenuta la presentazione del libro “Avrei voluto scriverti cantando” scritto da Olimpio Talarico, un racconto vincitore anche del premo Iride per la narrativa edita. lo stesso Talarico, inoltre, è tra gli organizzatori del premio letterario Caccuri.

Le parole dello scrittore

Il libro Avrei voluto scriverti cantando

La storia di questo libro attraversa un tormento che colpisce una famiglia nell’arco di un trentennio che va dal 1920 al 1950. Un dolore familiare che condiziona un intero paese, in questo caso Caccuri. Un modo di scrivere affascinante e preciso, che “disegna” con dovizia di dettagli quei borghi che altrimenti soltanto chi li abita conoscerebbe in maniera così approfondita.

«A Caccuri – ha spiegato l’autore – circolava una storia che aveva dei contorni sfumati, anche perché alcuni dei protagonisti ancora vivevano. Parla di un giovane comunista che a 26 anni muore in Belgio, costretto a scappare lì, perché si era innamorato della figlia del podestà e dunque costretto ad abbandonare il suo luogo e il suo amore. Una storia che da leggenda si è trasformata in verità quando effettivamente venne ritrovata in Belgio la tomba di quel ragazzo. In quel momento ho visto un uomo che abbandona tre cose che per noi sono fondamentali: amore, casa e famiglia. Un libro che nasce da una storia vissuta, anche perché io non riesco a separare le due cose». Talarico ha poi spiegato il senso del titolo attraverso un aneddoto: «Avevo sette anni quando mio nonno adottò una ragazza, all’inizio degli anni ’70. In seguito, però, lei morì insieme a suo marito e ai suoi due figli a causa di un incidente stradale. Io percepivo la cosa come poteva percepirla un ragazzo di sette anni e, tra pianti e urla, vedevo mio nonno seduto immobile e in silenzio. A un cero punto si alza e va in falegnameria, poiché lui praticava l’arte del falegname, e una volta rimasto da solo inizia a sfogarsi anche picchiandosi. Questo perché non c’erano parole al dolore. A tal proposito trovo più difficile la parola che la scrittura, poiché la parola è immediata mentre la scrittura può essere ripresa. Quando noi scriviamo facciamo ricorso o a qualcosa di vissuto o a qualcosa che abbiamo fortemente desiderato, per questo in quasi tutti i miei racconti c’è un personaggio che richiama la coscienza, ricordandoci di esternare i sentimenti perché altrimenti ci perderemmo una parte importante della nostra vita».

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