Pizzo tra storia e leggenda, il mistero dell’impronta del diavolo lasciata sul gradino della chiesa
La curiosità popolare ricostruita dallo storico Montesanti: «Secondo il folclore, Lucifero stesso lasciò su quel gradino il segno del suo piede quando fu scacciato dal tempio della cristianità. Ma ovviamente la verità è un’altra...»
Pizzo è nota per le sue spiagge, per lo storico Castello Murat. E poi ancora per la bellezza della Chiesetta di Piedigrotta, per la piazza che affaccia sul mare e per il suo gustosissimo tartufo gelato. La città napitina, però, tramite i suoi monumenti simbolo, racconta piccole e originali storie. Tra queste, la misteriosa “impronta del diavolo”. Una curiosità sconosciuta ai più che raccontiamo grazie ad Antonio Montesanti, artista con la passione per la storia: «Amo guidare amici o semplici conoscenti nel centro storico di Pizzo raccontandone la storia ed il folklore. C’è un luogo simbolico – spiega – in cui è possibile riassumere il modo folcloristico le vicende della città».
L’impronta del diavolo
Parliamo del portone laterale della chiesa matrice dedicata a san Giorgio: «Ebbene sì, non il monumentale portale principale dell’edificio religioso bensì quello laterale collocato lungo via Chiaravalloti». Lo storico Montesanti entra nel dettaglio: «Si tratta di un bel portale marmoreo, trascurato in realtà dalla maggioranza delle guide che preferiscono condurre i visitatori dinnanzi la scultura seicentesca del San Giorgio che uccide il Drago che campeggia nel rosone centrale». Diversa la posizione dell’artista che evidenzia: «Mi piace fare toccare con mano il primo gradino in alto di questa porta settecentesca e raccontare come per tutti gli storici del paese, davvero tutti, nessuno escluso, quell’impronta di piede incavata sulla sua superficie di granito che stanno toccando sia l’impronta del Diavolo». In base ai racconti popolari, «Lucifero stesso lasciò su quel gradino la sua impronta, scacciato dal tempio della cristianità».
Dal folclore alla storia
Fin qui il folclore, ma cosa c’è di storico? «La verità è ben più semplice ed evidente. Quei gradini in realtà sono ricavati dal taglio di riuso della base in marmo di una statua. Si notano ancora i rilievi delle modanature esterne. L’impronta – evidenzia Montesanti – è in realtà il taglio sul marmo dell’innesto a silhouette della calzatura di un piede che apparteneva alla statua della quale era base. Si può ancora notare che, all’altezza del tallone, è stato chiuso il foro che serviva per la stabilizzazione dell’effigie».
Ad oggi la vicenda è solo derubricata a storia popolare. Non si sa, ad esempio, da dove sia stato recuperato il blocco di marmo: «I gradini delle chiese spesso nascono dal recupero di blocchi di marmo nati per altri scopi. Ricordo l’epigrafe del tempio di Persefone usato come gradino dell’antico vescovado di Mileto, oggi custodito al museo di Napoli. Oppure quelli scoperti più recentemente, del duomo di san Leoluca, Nel loro retro murato si sono rivelate le epigrafi portuali del porto di medievale di Bivona con riportati i nomi degli addetti alla riscossione delle tasse doganali o ducali conservate al museo del Duomo». L’impronta del diavolo di Pizzo resta un caso aperto: «Eppure quella base di statua è lì da centinaia di anni. L’approccio è stato sempre e solo folkloristico e mai scientifico come meriterebbe. Lo stesso marmo ad esempio, non locale, potrebbe dare informazioni preziose sulla sua origine», chiosa Montesanti.
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