Parco delle Rimembranze a Vibo, i resti del tempio greco e il legame con la storia della città
È il cuore verde della cittadina e custodisce un legame speciale con i suoi abitanti. La storia e le caratteristiche del sito Belvedere Telegrafo nell’analisi dell’archeologo Giuseppe Collia
Rappresenta una piccola perla nel patrimonio storico-culturale e ambientale. Ma soprattutto è il simbolo del mantenimento della memoria civile. Il Parco delle Rimembranze è uno dei polmoni verdi di Vibo Valentia. Ma è anche qualcosa di più. Perché unisce il passato al presente in una storia che affonda le radici in tempi antichissimi. Deve il suo nome alla volontà di ricordare i caduti della guerra dopo il drammatico conflitto mondiale. Molte città, mosse da tale comune sentimento, crearono delle aree verdi per omaggiare le vittime. Tutte queste aree vennero riconosciute nel 1923 con una apposita legge. A Vibo, nei pressi dell’area in cui sorgeva un tempio greco, vennero piantati e dedicati tanti alberi quanti furono i caduti della città durante la Prima grande guerra. Il legame “affettivo” tra i cittadini e il parco è stato quindi sempre molto forte. Si narra che le fidanzate, le vedove, i familiari dei caduti durante il terribile conflitto andassero frequentemente per i viali del Parco alla ricerca dell’albero dedicato al loro caro. Su ogni albero venne infatti collocata una targhetta commemorativa. Un modo per sentirlo ancora vicino. All’interno dell’area si trova inoltre un obice, arma da fuoco di artiglieria risalente alla Seconda guerra mondiale. Ma perché l’area verde rappresenta uno scrigno culturale di grandissimo valore? Ne abbiamo parlato con l’archeologo e docente vibonese, Giuseppe Collia.
Il sito archeologico Telegrafo Belvedere
Il parco, di circa 2,5 ettari, è collocato nei pressi della rinomata Scuola di Polizia e custodisce il Tempio greco di Belvedere Telegrafo. Uno spazio che domina dall’alto su tutto il golfo di Sant’Eufemia: «Su questa collinetta – ricorda l’archeologo Collia – era stato collocato nell’Ottocento un impianto del telegrafo, strumento utilizzato per le comunicazioni a distanza». In tale area, nel 1916, lo studioso e archeologo Paolo Orsi riportò alla luce i resti di un tempio. Era stato realizzato in calcare locale e aveva una pianta ripartita in tre ambienti interni distinti in pronaos, naos e adyton. Orsi trovò «i resti di un basamento di tempio. Probabilmente si tratta dello stereobate, piattaforma su cui sorge l’edificio, ma alcuni studiosi parlano invece di stilobate ovvero il basamento dove poggia la colonna del tempio. I resti della struttura- sottolinea – sono molto più bassi rispetto all’attuale livello della strada. Sarebbe più corretto parlare di stereobate di un tempio in stile dorico».
I frammenti architettonici
Il sito è stato oggetto di forte spoliazione: «Molto poco è rimasto dell’elevato, tra cui alcuni frammenti di elementi architettonici (cassetta -sima) – conservati al Museo archeologico “Capialbi”- che dovevano fare parte del sistema di copertura del tempio. La decorazione presenta un motivo a doppia treccia di colore nero su fondo bianco crema con elementi anche in rosso (foto dalla pagina fb del Museo di Vibo). Il motivo a doppia treccia, che doveva fare parte di questo edificio, trova puntuali confronti con altri tempi magnogreci e sicelioti». Puntuali confronti si hanno più nel dettaglio «con l’artigianato siracusano e locrese». E come rimarcato dallo studioso: «Si ravvisa uno stile che assomiglia molto a quello delle decorazioni frontonali alcuni templi molto famosi, come l’Apollonion di Siracursa. Lo stile della struttura sacra vibonese si mescola però anche ad elementi che risentono fortemente dell’artigianato locrese».
L’area santuale e i frammenti di statuette
Oltre a testimonianze architettoniche del tempio principale ed eventuali strutture minori, l’area archeologica ha restituito frammenti di statuette raffiguranti divinità: «Sono state trovate statuette di dea ci fiaccola in mano e un porcellino ai piedi. Elementi che rimandano alla dea Demetra. Anche questo tipo di materiale archeologico proveniente dall’area santuale, quindi composta da più impianti, è conservato nel locale Museo. Sarà interessante, alla luce dei nuovi scavi in corso, gettare luce sull’intera area, sul culto praticato, sulla conformazione che possedeva». L’archeologo Collia sottolinea: «Tutti questi elementi, in assenza di dati stratigrafici certi, che speriamo si possano avere alla conclusione dell’attuale campagna, contribuiscono a fissarne la cronologia alla fine del VI secolo a.C. o agli inizi del V secolo a.C. Non è da escludere che l’edificio, di cui conserviamo il basamento, non sia l’unico, essendo questa collinetta uno dei punti più alti della città e ideale per collocarvi un’area sacra con annesso santuario (foto dalla pagina fb del Museo di Vibo). Saranno fondamentali le operazioni di chiusura dello scavo per sapere se effettivamente nella stessa area esistono edifici di più piccole dimensioni, come probabilmente possiamo ipotizzare».
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