sabato,Maggio 24 2025

Campanari e pittepie, i dolci tipici del periodo pasquale nel Vibonese

La tradizione vuole che le cuzzupe portino fortuna a condizione il loro numero sia rigorosamente dispari

Campanari e pittepie, i dolci tipici del periodo pasquale nel Vibonese

Cuzzupe e pittepie: prodotti che racchiudono tradizioni millenarie. La preparazione dei dolci in casa aveva un forte significato rituale nelle ricorrenze religiose, che venivano un tempo vissute con grande partecipazione della comunità. In questi momenti prevaleva il desiderio di qualcosa di speciale per rompere una routine fatta di povertà alimentare e di stenti quotidiani. Venivano preparati solo poche volte all’anno, in occasione delle feste religiose o popolari e questo valeva soprattutto per le feste pasquali. Dopo il periodo di Quaresima, caratterizzato da un’alimentazione molto parca, la Pasqua era un modo per evadere dalla monotonia e dalla povertà di tutti i giorni. E così, su tutto il territorio della provincia vibonese venivano preparati una serie di dolci caratteristici, i più importanti dei quali erano le cuzzupe e le pittapie. Le prime erano anche dette “campanari”, per la forma particolare che spesso si dava all’impasto, modellandolo a mo’ di campana o di campanile e sul quale veniva incastonato uno o più uova sode, simbolo di rinascita e resurrezione, che la tradizione vuole che portino fortuna a condizione che il loro numero sia rigorosamente dispari. Le cuzzupe, che venivano generalmente consumate la domenica di Pasqua o durante il tradizionale pic-nic del lunedì di Pasquetta, erano riservate a ciascun membro della famiglia, rapportando la loro grandezza ai ruoli e all’anzianità rivestiti all’interno del nucleo familiare. La cuzzupa più grande era quindi riservata alla persona più anziana, per le signore si usava la treccia guarnita con l’immancabile uovo, mentre la cuzzupa da regalare ai bambini era a forma di ciambella. [Continua in basso]

Il termine cuzzupa pare derivi, infatti, dalla parola greca koutsoupon”, che significa ciambella. Questo dolce può assumere varie forme, a discrezione di chi la prepara, ma solitamente queste riguardano un soggetto pasquale: pulcino, pesce, cuore, ma il più delle volte il campanile. Solitamente il campanaro era anche rifinito con l’“annaspo”, che consisteva in una bianca glassa di zucchero.
Ma i dolci preferiti soprattutto dai bambini erano le pittepie. I più piccoli, infatti, osservavano attentamente tutte le fasi della preparazione, fatta di gesti precisi. La sfoglia ottenuta dall’impasto di farina, latte, uova e zucchero, veniva tagliata in forme perfettamente rotonde usando un piatto o un bicchiere, mentre per i buchi più piccoli si usava generalmente un ditale. Si passava poi alla fase della farcitura con la tradizionale mostarda d’uva che oggi lascia il posto alla semplice marmellata, rigorosamente, però, di uva nera con eventuale aggiunta di noci o pinoli. Il connubio tra la delicatezza della pasta frolla, che costituisce l’involucro esterno del dolce, ed il sapore più deciso della farcitura interna, conferiscono alla pittapia caratteristiche uniche che la rendono una specialità molto apprezzata ancora oggi.
Prima degli anni del boom economico, pochi avevano la possibilità di possedere un forno per la cottura dei dolci pasquali fatti in casa ed allora ci si rivolgeva a qualche vicino che lo possedeva o ai panifici del paese, un modo che contribuiva ad aumentare il significato religioso della Pasqua, vissuta con sentimento di partecipazione e solidarietà. Dalle case e dai forni si spandeva un profumino invitante che si mescolava agli effluvi dell’incipiente primavera.
Ultimamente, secondo un’indagine della Coldiretti, si assiste ad una riscoperta dell’antica tradizione dei dolci fatti in casa. Non solo uova e colombe, ma in sei famiglie su dieci c’è ancora chi prepara in casa i dolci tipici della Pasqua nel rispetto delle tradizioni locali ma anche per effetto del caro-prezzi che non ha risparmiato i prodotti di pasticceria.

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