I tesori del Museo, la ricchezza della Vibo romana racchiusa nel busto femminile in basanite
Un’opera pregiata che racconta l’epoca d’oro vissuta dalla cittadina. Dalla scoperta causale durante lavori in un fondo privato agli studi sul reperto di età claudia
È un busto in basanite che conserva la sua superba bellezza. Oltre il tempo, oltre l’oblio. È uno dei reperti di punta del Museo archeologico nazionale di Vibo Valentia e racconta l’epoca di grande ricchezza attraversata dalla cittadina in epoca romana. Una testimonianza pregiata a partire dal materiale utilizzato, una pietra lucente, nera, che i romani, e gli egizi prima di loro, utilizzarono per statue raffiguranti personaggi di un certo peso politico e sociale. Di fatti, era destinata solo per i ritratti delle persone appartenenti alla famiglia imperiale. La basanite è una roccia di origina vulcanica che nei tempi remoti veniva estratta in Egitto. Le opere realizzate con quella pietra erano destinate a superare il tempo. [Continua in basso]
La scoperta del busto
Nei giorni scorsi, la docente Lucia Faedo dell’Università di Pisa, grande studiosa di arte figurativa ed esperta internazionale di statuaria antica, ha tenuto un interessante approfondimento sul tema “Colori sui volti. Policromie, pigmenti, marmi. A proposito della testa Rondinelli”. Venne rinvenuta nel 1930 durante lavori per la costruzione di una abitazione, fondo appunto della famiglia Rondinelli, non distante dall’area del Porto di Santa Venere, oggi Vibo Marina, lungo la provinciale per Pizzo. Era custodita all’interno di una sontuosa villa suburbana. Si trova in esposizione al Museo Capialbi e rappresenta i tesori di punta del polo culturale. Nel 2012, si ricorderà, venne concessa con un prestito a lungo termine al Princeton University art museum, Stati Uniti, per poi far ritorno a casa 8 anni dopo. Come emerso dal confronto vibonese, statue simili sono assai rare e in età romana erano prerogativa di personaggi legati alla famiglia imperiale. Il busto vibonese è di età giulio-claudia, 41 al 54 dC. Inizialmente, Giulio Pesce, all’epoca della scoperta sovrintendente, ritenne che poteva trattarsi di Messalina, moglie dell’imperatore Claudio. Non ci sono certezze, ad oggi quando si fa riferimento all’opera di parla più generalmente di nobildonna della gens giulio-claudia.
Già negli anni precedenti alla scoperta del busto in basanite, a seguito dei lavori per la tratta ferroviaria erano emerse altre statue nonché i resti una villa romana o di proprietà imperiale o comunque appartenuta a personaggio molto in vista. La villa era di tipo marittimo, costruita su terrazzamenti e si affacciava sul mare. Quindi, con ogni probabilità, oltre ad estesi latifondi, si occupava di attività marittima.
La statua rappresenta un piccolo gioiello. Non solo per l’alto valore storico-archeologico ma anche per la qualità con cui l’artista ha realizzato l’opera. Una maestranza di elevate capacità, una committenza di rilievo. L’abilità tecnica di realizzazione è stata notata in modo particolare per quanto riguarda i capelli, le ciocche sulle spalle, e poi i tratti del viso e la “leggerezza” con cui l’autore ha vestito il busto, con un chitone ionico morbido, impalpabile. Caratteristiche che rendono il ritratto unico se paragonato con altre statue confezionate con il medesimo materiale. Ottima anche la conservazione nonostante alcune sbeccature. Vi sono infatti dei danneggiamenti nella zona della fronte, naso e del mento che tuttavia non ne pregiudicano la bellezza. Secondo quanto emerso dal convegno vibonese, curato dalla dottoressa Faedo, è assai probabile che si tratti di danneggiamenti casuali, dovuti a rovinosa caduta e non intenzionali come inizialmente ipotizzato dagli studiosi negli anni Trenta.