LO SPETTACOLO | Voltarelli docet
Riuscire a rappresentare l’animo dei calabresi non è mai cosa facile. Perché o si è troppo caricaturali o si è troppo buoni. Peppe Voltarelli lo ha fatto nel migliore dei modi mettendolo in scena anche a Vibo ne “Il viaggio, i padri, l'appartenenza”. Un ritratto spiato dal buco della serratura.
L’antefatto – Peppe Voltarelli arriva a Vibo. Chiede ad un passante: “Scusi, dov’è il teatro?” “U teatro? U cinema!” Già, Vibo Valentia non ha un teatro. Il cinema è tutto. Arrivato al cinema-teatro Peppe Voltarelli apre quella porta a vetro nascosta da mille e una locandine di film qui nuovi, ma già vecchi. Al centro un uomo grande e grosso, dall’aria austera. Pare sia il proprietario. “Prego?”. “Ehmmm, sarei l’artista”. “Ah”. Punto. Mugugno. Gestualità. Arrivau u campiuni…
Il fatto – Quasi a fine serata l’annuncio da fine concerto: “Dopo mi metto di qua con lo scatolo, chi vuole comprare i miei cd e il mio ultimo libro sono a disposizione”. E la musica continua per un’altra mezz’ora. Saluta e se ne va. Poi torna sul palco, mentre la gente in sala inizia a lasciare compostamente e sorridente il proprio posto. “Oh, ma un’altra canzone non la volete?”, dice. Fosse stato il cantautore misconosciuto che punta al ‘sentiment’ poteva sembrare pure provincialismo, ma l’arte che si fa da sola, che non conosce etichette discografiche che dettano modi e tempi, l’arte e la vita di un’artista puro, insomma, ha bisogno come il pane dei soldi liquidi della gente. Perché la musica è di tutti. Oggi questo modo di barattare una cosa con un’altra la chiamano “crowfunding”, ma per fortuna alle nostre latitudini la si chiama ancora sopravvivenza per la libertà di espressione.
“Il viaggio, i padri e l’appartenenza”, oltre a parlare dei calabresi e di tutti i popoli costretti ad andare via e tornare, andare via e tornare con il cuore in mano e una valigia di speranze, è anche questo. Peppe Voltarelli è uno di quei giovani calabresi che a 18 anni ha lasciato il paese per andare a studiare al nord. A Mirto Crosia, in provincia di Cosenza, sa che troverà sempre – ad ogni ritorno – l’uomo con il microfono attaccato con lo scotch alla giugulare che vende piatti al mercato della domenica mattina. Il mito si materializza con i personaggi della commedia umana di Balzacchiana memoria, veri interpreti delle canzoni e delle pièce di Voltarelli. Uno per uno li cita in musica e parole e la Calabria si riscopre un unico grande paese, da Laino Borgo fino a Melito Porto Salvo. Caciocavalli (morbido, più duro, stagionato) , pecorini, salami appesi urla, gridate, silenzi improvvisi. Al telefono, chiamando dalla casa in affitto dall’università del nord, alla domanda “oi pà, cumu stai?” la risposta è completa in un solo mugugno onomatopeico: “Uh”. Spalluccia compresa. Dall’altro lato del telefono Peppe immagina la scena e la memorizza. Tipo quella volta che tutti i tg nazionali parlavano di una maxi-retata della polizia a Badolato. Elicotteri, arresti, blitz notturni. “A pà, chi succediu ‘o paisi?” “Chi succediu? Io no sacciu!”
Riuscire a rappresentare l’animo dei calabresi non è mai cosa facile. Perché o si è troppo caricaturali o si è troppo buoni. E la testimonianza più nitida della riuscita della mission artistica di Voltarelli è la risata della prima fila del cinema Moderno. Le signore imbellettate, per usare un’eufemismo Pirandelliano, ridono di gusto quando ricordano in una sinestesia “Lu maritiello” di Tony Santagata. “Vorrei coprirle la bocca…” Silenzio. “Di baci di baci di baci”, cantano le signore delle prime file. Poesia. Poesia e umorismo del contrario. Perché in pochi l’hanno capito, ma Voltarelli mette in ridicolo questi atteggiamenti, che puntualmente trovano piena compiacenza nel pubblico che esso stesso espressione di quella popolana passione tamarra, benchè nascosta da emancipate pellicce 2.0.
La Calabria è quel ristorante vuoto con un tavolo al centro imbandito da forchetta e coltello arrotolati in un tovagliolo, rigorosamente senza riscaldamento, che ti costringe a mangiare la pizza con il cappotto; La Calabria è quel pilastro e soletta a perdita d’occhio, fuori brutta dentro coi rubinetti doratamente pacchiani.
“Mare calmo aria buona il sole ci riscalda la terra brucia l’erba cresce ai lati della strada l’aereo atterra sull’onda che travolge le case abusive ma c’è la processione tutti in fila nessuno se ne accorge ci vuole rispetto molto rispetto per le tradizioni radici da mangiare per dimenticare autoricambi colazioni bibite panini matrimoni cresimoni lampade gioielli tagli di capelli ci sono giornali frutta patate funghi e pesce fresco sale da ballo curve parcheggi bombole di gas”. Turismo in quantità e sogni di civiltà. Appunto.