Tropea in festa: “I tri d’a cruci” e quella presa della città mai digerita – Video
Il 3 maggio si ricorda la cacciata dei saraceni che occuparono il centro per diversi anni. La “caricatumbula” accompagna il ballo del “camiuzzu ‘i focu”
Calabria, anno del Signore 851 d.C.. Dopo un estenuante assedio la roccaforte di Tropea cade in mano araba. Snodo fondamentale per i traffici commerciali che passano dal Monte Poro, la città fondata da Ercole diviene un emirato al pari di Amantea e Santa Severina. Uno smacco che durerà diversi lustri, fino alla liberazione a opera dell’esercito bizantino di Niceforo Foca. L’onta della conquista turberà gli animi dei tropeani per secoli, tanto che ancora oggi, dopo 1200 anni, la cacciata del saraceno invasore viene celebrata con una grande festa dal sapore popolare, in cui si mescolano sacro e profano, elementi caleidoscopici che simboleggiano la Calabria di ieri e oggi. “I tri d’a cruci” (i tre della croce), è tra le celebrazioni più sentite dalla località rivierasca. Ogni anno il 3 maggio i tropeani si ritrovano nel quartiere del Borgo all’insegna di giochi, spettacoli pirotecnici e del “non dimenticare”. Il nome della ricorrenza prende spunto da un’antica chiesetta che sorgeva su via Umberto I (nel rione Borgo appunto) al cui interno erano custodite tre croci. Il terremoto del 1783 la distrusse e due dei tre simboli cristiani andarono perduti. Oggi l’edificio sacro è ricordato da un’edicola votiva posta a mezza via. È proprio qui, su via Umberto I – conosciuta dai locali come “calata d’i forgiari”, discesa dei fabbri – che si sviluppa la festa. Il consueto programma prevede i giochi popolari durante il pomeriggio: dalla corsa coi sacchi alla pignatta, passando per la gara della pasta “avvruscenti” (piccante). Ma il cuore della manifestazione è di sera, quando le innumerevoli luci dei fuochi d’artificio animano la via a giorno. Si inizia con la rievocazione della battaglia di Lepanto in cui, il 7 ottobre 1571, la flotta cristiana ebbe la meglio su quella turca riportando una vittoria determinante per le sorti dell’Europa minacciata. Al celebre conflitto prese parte anche un migliaio di tropeani guidati dal nobiluomo Gaspare Toraldo. Durante la festa una barca di carta velina, rappresentante un naviglio arabo, viene appesa a mezz’aria sulla discesa e incendiata a ricordo della vittoria. Segue il coinvolgente ballo del “camiuzzu ‘i focu”, il cammello di fuoco, raffigurante il quadrupede con cui l’esattore saraceno, durante l’occupazione della città, passava casa per casa a riscuotere il dovuto. Il camiuzzu, una sagoma su cui sono poste decine di mortaretti, è indossata da un uomo che balla al ritmo della “caricatumbula”, il ritmo incalzante dei tamburi. A chiudere la festa lo spettacolo pirotecnico in cielo, mentre durante tutta la giornata gruppi di ragazzini fanno da seguito ai giganti processionari Mata e Grifone, accompagnati sempre dal suono inarrestabile dei tamburi. “I tri d’a cruci” è una ricorrenza imperdibile per i tropeani, ma anche per chi visita la città. In essa si rivivono secoli di storia in cui si mescolano elementi arabi, bizantini, ispanici; pulsa forte l’orgoglio di una città che non vuole dimenticare il disonore di una conquista mai digerita; si assapora il gusto di una Calabria misteriosa dove la tradizione occupa un posto privilegiato e mai abbandonato. “I tri d’a cruci” rappresenta Tropea, la sua anima multiforme, i suoi mille colori. “I tri d’a cruci” è Tropea. Di seguito lo speciale di Saverio Caracciolo
- Tags
- tropea