martedì,Dicembre 24 2024

Ecco “Scintille dal buio”, opera prima del vibonese Pierluigi Lo Gatto

Settantacinque pagine di racconti e poesie che nascono da reali esperienze vissute e costringono il lettore a scrutare nella profondità dell’animo umano. La recensione

Ecco “Scintille dal buio”, opera prima del vibonese Pierluigi Lo Gatto

Pone domande, solleva dubbi, traccia una via per capire e per capirsi. E lascia al lettore il compito di cercare dentro di sé la risposta. È uno scritto di notevole interesse l’opera prima di Pierluigi Lo Gatto, da qualche giorno dato alle stampe per Laruffa Editore. L’autore vibonese – odontoiatra di professione, già presidente del Rotary club di Vibo Valentia, in questa occasione prestato alla scrittura – ha dato vita ad una serie di racconti e poesie, “Scintille dal buio” (75 pagine), che nascono da reali esperienze vissute: le parole colpiscono come pietre, costringendo il lettore a scrutare nella profondità dell’animo umano, delle sue debolezze, delle sue paure. Cos’è la morte, e a chi fa male davvero? Quando possiamo dirci realmente vivi? Perché abbiamo bisogno di puntare il dito, di aspettarci dagli altri ciò che in realtà possiamo e dobbiamo fare noi? Sono solo alcune delle riflessioni contenute in questo volume che per i temi trattati – dall’immigrazione alla Shoah, dalla sete del potere alle pulsioni degli uomini -, è quanto mai attuale, ed ha la sola ambizione di spronare il lettore a guardarsi dentro e a capire che forse è soltanto nel periodo più brutto, nell’estremo attimo, quando tutto sembra perduto, quando, in una parola, tutto intorno è «buio», che possiamo dirci davvero vivi.

«Spesso – racconta l’autore – quando pensiamo che il mondo ci stia crollando addosso e che nulla abbia più senso, ecco una scintilla: una scintilla di vita, il sussulto che ci tiene aggrappati a questa terra». È lì che “sentiamo” Dio, al di là del nostro credo. Sono i nostri momenti più alti, quelli che ci fanno scoprire la fiamma divina che alberga dentro di noi. Lo Gatto, nel primo racconto, parla di un’esperienza vissuta in prima persona quando lavorava all’ospedale “Le Molinette” di Torino. Siamo nel 1994, alla fermata del tram una radiolina trasmette “Who wants to live forever” dei Queen. Già, chi vuol vivere per sempre? Sul tram l’autore incappa in un giovane, un malato terminale di Aids. Attorno a lui si crea un vuoto. «Che vi succede? – chiede il ragazzo -, avete paura di me? Avete paura della morte?». Ed ecco posta una delle riflessioni, con cui ognuno deve confrontarsi. Si chiede l’autore: «La morte può davvero nuocerci? Epicuro sosteneva di no. Quando siamo vivi la morte non è ancora arrivata e quindi non può averci nuociuto; e quando moriamo non può nuocerci perché non ci siamo più». Ed è guardando quel ragazzo sul tram, i cui capelli «non godranno le carezze di un amore, i cui occhi non conosceranno meraviglie lontane», che arriva la risposta: «La morte è un male per chi muore e lo è a causa di ciò che gli porta via. Ecco, la morte ci fa del male perché ci priva del futuro. E più desideri, obiettivi e progetti abbiamo, più investiamo in essi, più viviamo per il futuro, più la morte ci nuoce». Sono molteplici gli spunti di riflessione contenuti nel libro di Lo Gatto, ricercatore degli insegnamenti della tradizione e scrittore per passione. E tutti hanno un filo comune: esiste, nella vita di ognuno, un attimo, un qualcosa, un momento che dà senso a tutto il resto. Sembra poco, non lo è. A volte basta una scintilla per rischiarare il buio che abbiamo intorno ed illuminare il cammino.

 

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