Pizzo, “Pathos” di Vito Teti nel “bucu du book”: la meraviglia e il commento dell’autore
Il saggio conclusivo dello scrittore calabrese contiene il racconto delicato della “pena” della madre, in cui il sentimento prende l’intero ventaglio delle sue forme
“Pathos” è il titolo di un volume scritto da Salvatore Piermarini e Vito Teti. Il saggio conclusivo dello scrittore calabrese contiene il racconto delicato della “pena” della madre, in cui il sentimento prende l’intero ventaglio delle sue forme: compassione, pietà, premura, cura, attenzione, devozione. Chissà come, il libro è finito tra quelli depositati nel “bucu du book”, una nicchia nel muro di un antico palazzo di Pizzo che da qualche giorno è diventata luogo di bookcrossing. Il volume è stato notato, non senza meraviglia, dall’autore, che sul suo blog ha commentato la gradevole sorpresa lasciandosi andare ad un amarcord degli anni della sua infanzia trascorsi nella cittadina marinara. [Continua in basso]
«Sono tornato a Pizzo dopo quasi due anni – annota lo scrittore – Il ristorante dove sono andato a pranzare guardava il piccolo tratto di mare vicino alla Marina dove mamma mi portava da bambino. Ricordavo la lunga e faticosa salita che dalla spiaggia ci portava al mercato all’aperto, e lo zibibbo e l’anguria, e gli altri bambini con cui scendevamo dal paese con le madri, mentre i padri lavoravano in Canada o in altre parti del mondo. Anche per fare guarire i figli dalle tante patologie dei mesi invernali nei paesi per cui i medici consigliavano l’aria e l’acqua del mare al mattino. Mio padre continua Teti – negli ultimi anni della sua vita, con orgoglio, mi diceva: ti ricordi quando con la mamma andavi al mare? Ho visto la piazza e i bar dei gelati e delle granite, delle cassate, dei semifreddi al caffè e alla nocciola, i camerieri che con fatica ti facevano arrivare al bar successivo, ho visto i tavolini dei Negroni, dove con Salvatore impaginavamo i libri e dove, come diceva Bunuel, “soli davanti ai nostri Martini Dry ci rendevamo conto dell’inutilità dell’esistenza” e che “il tempo al bar non è mai perso”. Senza i bar di Pizzo, la mia vita sarebbe stata di gran lunga più infelice».
Teti ricorda quindi di avere «rivisto il castello Murat e c’erano Mico Pileggi e Antonino Mazza e gli amici e le donne con cui passeggiavamo ubriachi e “mattinata faceva giornata”. Faceva un caldo, oggi, che non sentivo da anni, forse qualche demone del mezzogiorno si era attardato nei paraggi, sudavo, faticavo mentre camminavo e fotografavo. Sentivo un’oppressione al petto, ansia, angoscia, nostalgia struggente. Cercavo una scala, un passaggio segreto, una discesa all’Ade per incontrare mamma e Salvatore. Stavo impazzendo e ho visto in una vetrina antica, lungo la strada che porta alla marina, dei libri in mostra. E, meraviglia, o coincidenza, o sincronia, era in bella mostra, arrivato chissà come e da dove, il libro di Salvatore e mio, “Pathos” (Rubettino 2019). “Pathos” è l’ultimo libro fatto assieme con Salvatore ancora vivo e le parole per il mondo nuovo sono pathos, pena, misericordia, tenerezza, amore, pietas. Ad un certo punto ho sentito che ero giunto in fondo all’Ade e che Salvatore e mamma volevano che io tornassi indietro e loro mi accompagnavano a raggiungere gli amici che camminavano ignari di questa mia discesa nel cuore del mondo. La Pizzo – chiude Teti – dei mille sogni e dei mille ricordi, degli affetti che non finiscono e degli amori che restano».