Accuse a Callipo: Mantella dieci anni dopo Michienzi, ma non tutto coincide (VIDEO)
Secondo i collaboratori avrebbe goduto fino ad un certo punto della protezione dei Mancuso e sarebbe stato vittima delle intimidazioni dei Bonavota che progettarono anche rappresaglie sul figlio. Le versioni però divergono e non trovano riscontri. E l'imprenditore denunciò ai carabinieri le richieste sospette finite sulla sua scrivania
Fanno rumore, perché gettano ombre su una delle figure più importanti dell’imprenditoria del Mezzogiorno. Sono le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Andrea Mantella su Pippo Callipo, il re del tonno ed ex presidente degli industriali calabresi, che dall’inizio del nuovo millennio è stato vittima di numerosi attentati intimidatori. L’ex sanguinario killer e padrino emergente di Vibo Valentia Mantella, i cui verbali sono stati dissecretati dai pm antimafia di Catanzaro, spiega ciò che sostenevano i Bonavota di Sant’Onofrio, suoi alleati, divenuti i padroni mafiosi dell’area industriale di Maierato dopo aver eliminato i fratelli Alfredo e Raffaele Cracolici, vertici dell’omonimo clan.
Dice Mantella: “un tempo, negli anni 90, Callipo non si poteva toccare perché protetto dal boss Luigi Mancuso, uno dei più potenti capimafia calabresi. Poi, con la benedizione del defunto boss di Serra San Bruno, Damiano Vallelunga, le cose cambiarono ed i Bonavota pretesero il controllo assoluto del loro territorio”. Su ciò il narrato del pentito riflette per grandi linee quello di un altro gola profonda, Francesco Michienzi, che il 19 ottobre del 2006, nel contesto delle indagini dei carabinieri di Vibo che portarono all’operazione “Uova del drago”, riferiva di presunti rapporti pregressi tra Callipo e i Mancuso.
Una voce, interna ai Bonavota, ma mai riscontrata dagli inquirenti. Il narrato dei due pentiti, però, non del tutto coincide: Mantella, dieci anni dopo Michienzi, riferisce che i Bonavota avrebbero beneficiato di alcune assunzioni da parte di Callipo, altrimenti non avrebbero smesso con gli attentati. Michienzi, invece, sosteneva che fosse l’ostinazione dell’imprenditore a non piegarsi ai Bonavota all’origine degli attentati. Un’ostinazione tale da indurli ad ipotizzare addirittura il sequestro o una rappresaglia sul figlio di Pippo Callipo.
Tra l’altro, dopo una delle prime intimidazioni subite, fu lo stesso Callipo a recarsi dagli inquirenti e a riferire della domanda di assunzione di uno dei Bonavota finita sulla sua scrivania. Sul presunto rapporto tra l’imprenditore e il clan di Limbadi, poi, le dichiarazioni dei due collaboratori di giustizia non trovano al momento alcun riscontro: «Occorre evidenziare – scrivono i magistrati della Dda catanzarese – come non siano emersi elementi utili a dimostrare quanto affermato dai Bonavota al Mantella circa la originaria “vicinanza” dell’imprenditore Callipo ai Mancuso, verosimilmente da intendersi nel senso di “vittima” che “pagava” a quella cosca, per cui, per questa ragione, non poteva essere “toccato”».
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