L’omicidio dei fratelli Mirabello: dopo un anno dal massacro solo una «parziale verità»
VIDEO | La sorella dei due calabresi uccisi in Sardegna: «Come si fa a dire che non c’è stata premeditazione ed efferatezza?». L’abbraccio struggente della comunità di San Gregorio d’Ippona ai familiari delle vittime
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Quella di Davide e Massimiliano Mirabello è la storia amara di due fratelli calabresi costretti a migrare in una terra lontana in cerca di fortuna. Una terra nella quale, anziché speranza, trovarono la morte. Un anno fa, il 9 febbraio 2020, a Dolianova, Sud della Sardegna, il loro duplice omicidio. I corpi nascosti tra le impervie campagne sarde – ritrovati quasi due mesi dopo, sceletrificati e straziati dagli animali selvatici – rivelarono che Davide fu ucciso con un colpo di fucile caricato a pallettoni, mentre Massimiliano, tramortito con un colpo brutale al viso sferrato con un corpo contundente fu lasciato agonizzare fino alla morte. Furono l’auto di Massimiliano, devastata da un rogo doloso, e le abbondanti tracce ematiche rinvenute sui luoghi in cui ebbe inizio il loro calvario, a indurre la Procura ed i carabinieri di Cagliari a stringere il cerchio ed arrestare i presunti assassini, Joselito e Michael Marras, 53 e 28 anni, padre e figlio. C’è un terzo indagato, Stefano Mura, accusato di favoreggiamento personale, avendo riferito agli inquirenti circostanze false per consentire ai due sospetti assassini di eludere le indagini.
«Una verità parziale»
Ad un anno dal delitto, però, chiuse le indagini da parte della Procura di Cagliari, sul giallo dei fratelli calabresi uccisi in Sardegna restano alcune zone d’ombra e la convinzione della famiglia delle due vittime che finora sia stata scritta una verità solo parziale: «Se qualcuno viene sotto casa mia, armato e mi uccide, e mi si dice che non c’è premeditazione, è difficile da credere – dice Eleonora Mirabello, sorella di Davide e Massimiliano -. Se qualcuno uccide un ragazzo con un colpo di fucile in viso e l’altro, dopo averlo tramortito, lo lascia morente ma vivo, come dice l’autopsia, alla mercé degli animali selvatici, e mi si dice che non c’è efferatezza, è difficile da credere…».
Ai due Marras, malgrado il padre abbia cercato sin dall’inizio di addossare a sé ogni responsabilità per tentare di scagionare il figlio, la Procura di Cagliari contesta il concorso nell’omicidio e la distruzione e l’occultamento del cadavere, oltre l’incendio della Volkswagen Polo di Massimiliano. Una sola aggravante, per Joselito, che, recidivo, avrebbe compiuto il delitto in un periodo in cui gli era stato concesso l’affidamento ai servizi sociali. Non vengono contestate, quindi, le aggravanti della premeditazione (venuta meno sin dalla convalida del fermo davanti al gip), della crudeltà e dei futili motivi. Il movente, sarebbe da ricercare nei pessimi rapporti di vicinato tra i due Marras ed i due Mirabello, sfociati, violente colluttazioni e reiterati litigi, quasi tutti, in passato, denunciati alle forze dell’ordine e finiti agli atti dell’indagine per il duplice omicidio istruita dall’ufficio requirente del capoluogo sardo. [Continua in basso]
I fratelli, le origini
Ma chi erano Davide e Massimiliano? «Erano due ragazzi della nostra comunità, due giovani che per colpa della disoccupazione si sono ritrovati ad abbandonare la loro terra ed i loro cari per andare in cerca di lavoro, in un’altra terra, che per loro è stata maledetta, nella quale hanno trovato la morte», spiega Pasquale Farfaglia. È il sindaco di San Gregorio d’Ippona, paese a vocazione agricola che conta poco più di duemila anime, in provincia di Vibo Valentia. È un paese complicato, storicamente segnato dalla presenza pervasiva della ‘ndrangheta e, fino agli anni ’90, quando Davide e Massimiliano erano appena degli adolescenti, dai morti ammazzati di una faida mafiosa. Un paese povero, che offre poco o nulla alle nuove generazioni, che soffre per la disoccupazione e lo spopolamento.
Davide e Massimiliano erano quindi due ragazzi cresciuti in un contesto duro, tra tante difficoltà, costretti a volte a fare a pugni con la vita, ma buoni, desiderosi di lavorare onestamente e di costruirsi una famiglia. «Per me non erano dei fratelli – racconta Eleonora – per me erano due figli. Quando mamma non ci fu più, fui io a prendermi cura di loro, a crescerli… Eravamo cinque fratelli, ci siamo fatti forza e siamo sempre andati avanti. Ci dicevamo “Sempre e solo noi”. E io lo dico ancora “Sempre e solo noi”. Anche se Davide e Massimiliano non ci sono più, noi saremo sempre un cinque».
La Sardegna amara
Dopo un lungo peregrinare, in cerca del maledetto lavoro, entrambi si sistemarono a Dolianova, lavorando nelle campagne ed è qui che iniziarono gli scontri con i loro vicini. Denunciarono ai carabinieri due gravi episodi: l’uccisione del loro cane, poi lasciato impiccato davanti casa, del quale si lamentavano i Marras per l’asserito disturbo che avrebbe arrecato al bestiame di cui erano proprietari; l’incendio di un’Ape, che i Mirabello usavano per il loro lavoro da braccianti. La loro denuncia contro ignoti terminò in archivio. Ma ci fu anche il deferimento che i carabinieri produssero a carico di Davide e Massimiliano, più una terza persona, per una zuffa al termine della quale Michael Marras finì in ospedale con una prognosi di quaranta giorni a causa delle ferite riportate. Un episodio che non avrebbe digerito il padre Joselito, il quale, già nel 2012, peraltro, fu indagato per aver ferito, sempre a colpi d’arma da fuoco, un altro vicino per questioni di pascolo. [Continua dopo la pubblicità]
«La vendetta dell’amore»
Oggi la memoria dei fratelli calabresi uccisi in Sardegna attende verità e giustizia, mentre le loro spoglie mortali riposano nel cimitero della loro San Gregorio d’Ippona, a casa. Ad un anno dalla tragedia la comunità del piccolo centro vibonese si stringe attorno ad Eleonora, rientrata da Roma, alle sue sorelle, ai figli e agli altri cari di Davide e Massimiliano. Un abbraccio intenso che si consuma nel corso di una solenne e struggente liturgia celebrata dal parroco del paese, don Giuseppe Gagliano: «Se potessi, se il Signore mi donasse la forza, ve lo strapperei questo dolore». E poi ha invocato l’unica nobile vendetta possibile: «La vendetta dell’amore, la vendetta di Dio, la conversione di chi ha commesso tutto questo». Parole alte e profonde che scaldano i cuori, che non strappano la sofferenza ma contribuiscono ad alleviarla. Si rispettano le prescrizioni anti-Covid, si prega in chiesa. All’uscita è già calata la sera mentre le fiaccole illuminano i volti di Davide e Massimiliano stampati sulle magliette bianche. Una luce calda dirada il buio, mentre Vasco canta i suoi Angeli e lanterne accese di levano alte nel cielo.