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Chiede l’elemosina per far laureare la figlia, ecco i “resistenti” dimenticati dalla politica

C’è la mamma disperata che non ha i soldi per festeggiare i 18 anni del figlio, chi rinuncia a curarsi oppure chi paga le bollette solo grazie alla carità. Le storie di ordinaria povertà vibonese nelle parole di don Fiorillo

Chiede l’elemosina per far laureare la figlia, ecco i “resistenti” dimenticati dalla politica

Rinunciare a tutto. Privarsi del superfluo e ridurre il necessario alla mera sopravvivenza, accettando la carità di chi si passa una mano sulla coscienza e l’altra sul portafoglio, con un unico scopo: consentire a tua figlia di terminare l’università. Nella Calabria delle elezioni che incombono, dove a dominare sono soltanto nomi e candidature, c’è un’umanità che si trascina sui gomiti per andare avanti e che non può permettersi di fallire obiettivi basilari, anche a costo di ridursi a chiedere l’elemosina. Mario, nome di fantasia, ha 60 anni e da dieci ha perso il lavoro e non l’ha più ritrovato. Una situazione comune a tante famiglie, che a dispetto degli indicatori economici che raccontano di una ripresa invisibile da queste parti, devono ancora fare i conti con una crisi che sembra non finire più e che, forse, mai finirà, perché il mondo è profondamente cambiato negli ultimi 10 anni.

In prima linea contro la povertà 

Ma a Mario le considerazioni sociologiche non interessano. Lui ha in mente una sola cosa: mantenere la figlia all’università ed evitare che sia costretta ad abbandonare proprio ora che il traguardo è vicino. La sua storia la racconta con ammirazione don Peppino Fiorillo (foto), sacerdote vibonese che da decenni lotta al fianco dei più deboli, storico punto di riferimento dell’associazione antimafia Libera e catalizzatore delle esistenze disperate di coloro che non hanno altri a cui rivolgersi se non a lui. Cinquantacinque anni di sacerdozio alle spalle e il titolo di monsignore in un cassetto, per chi lo conosce e gli chiede aiuto resta esclusivamente Don Peppino.

L’esercito dei resistenti

Usa la storia di Mario, un “resistente” lo definisce, come emblema di una povertà profonda, ma dignitosa, che teme la vergogna della sua condizione di indigenza quasi più degli stenti che questa comporta. 
«Questo padre – racconta don Fiorillo – sta facendo di tutto per far proseguire gli studi alla figlia, nonostante non abbia più niente e stringa la cinghia sempre di più ogni giorno che passa. Ma va avanti, accettando anonimamente la carità e affrontando ogni sorta di sacrificio». 
Ma molti nella stessa situazione di Mario non ce la fanno e la prima “spesa” che viene tagliata quando la situazione economica precipita è proprio quella degli studi universitari dei figli.

C’è chi rinuncia a curarsi per risparmiare

Altra spesa che incredibilmente viene eliminata è quella medica. «Molti rinunciano a curarsi – conferma il sacerdote – oppure preferiscono non indagare eventuali sintomi sospetti perché non hanno la possibilità di farlo». L’alternativa per chi non ha soldi, infatti, è spesso rappresentata soltanto dalle lunghe liste d’attesa nelle strutture pubbliche, dove a volte bisogna attendere mesi anche per esami diagnostici di primaria importanza.
Sono migliaia le persone, soprattutto nel Vibonese, che negli ultimi anni hanno raggiunto il fondo, toccando livelli di povertà da record che sfuggono però alle statistiche ufficiali. “Naufraghi”, li definisce don Fiorillo, persone che si sono abbandonate ai marosi della vita e si lasciano andare senza neppure cercare di reagire.

 

I giovani sono i più colpiti dalla crisi

«Può sembrare strano, ma chi soffre di più di questa situazione sono i giovani – continua don Fiorillo -, ragazzi e ragazze, ma anche giovani coppie, che non hanno alcun tipo di sostegno al reddito, mentre i più anziani possono contare almeno su un minimo di pensione. Molti di questi ragazzi per autofinanziarsi gli studi accettano piccoli lavoretti, spesso sottopagati, come ad esempio fare i camerieri in pizzeria. Ma si tratta di soluzioni temporanee e quasi mai in grado di offrire loro sicurezza».

Guerre in famiglia quando non ci sono soldi

Il disagio economico agisce anche da detonatore, facendo esplodere nelle famiglie dissidi e contrasti che col tempo si incancreniscono. «Al degrado economico si aggiunge il degrado morale – spiega il sacerdote -. Le famiglie si sgretolano, i coniugi si allontanano, magari rinfacciandosi i reciproci fallimenti e i figli ne soffrono. Recentemente ho aiutato una mamma disperata perché assillata dal fatto di non potersi permettere di festeggiare i 18 anni del figlio. E per questo rimproverava il marito che aveva perso il lavoro». Piccole e grandi miserie che hanno nella crisi il denominatore comune, ma che non sono aliene a responsabilità personali. «Spesso – continua don Fiorillo – le famiglie si impoveriscono a causa dei debiti che hanno contratto per acquisti assolutamente superflui, come il cellulare di ultima generazione, la tv col mega schermo o l’auto che in teoria non si sarebbero potuti permettere. E poi c’è il gioco d’azzardo. Una vera e propria piaga che adesso è diventata più virulenta grazie alla possibilità di giocare ovunque con il proprio telefonino. Molti hanno una vera bisca in tasca e lasciano che prosciughi tutte le loro risorse». 
È un circolo vizioso che si autoalimenta: la povertà porta disperazione e la disperazione consolida la povertà. Pure la mafia sembra arretrare, non avendo più ossa da spolpare.

Alla ‘ndragheta non interessano i poveracci

«I corvi vanno dove ci sono le carogne – dice senza mezzi termini don Fiorillo -, e qui è rimasto poco da mangiare. Gli affari della ‘ndrangheta si spostano altrove, dove c’è ricchezza. Alla mafia non interessano i poveracci, qui si recluta solo manovalanza criminale tra i giovani senza futuro e restano i capi a dare le direttive, ma il giro d’affari si è spostato altrove, soprattutto all’estero. Se oggi questo territorio si è impoverito così drammaticamente, gran parte della colpa è proprio della ‘ndrangheta, che ha impedito lo sviluppo e convinto molti ad andare via».

Aiutare gli altri senza clamori

Arriva una telefonata. Il sacerdote guarda il display, legge il nome e si scusa dell’interruzione: «Questa è una persona in grande difficoltà, devo rispondere». Lo scambio di battute al telefono è breve, ma estremamente rassicurante per chi è dall’altra parte dell’apparecchio: «Non preoccuparti, sono riuscito a mettere insieme una piccola somma, ci vediamo domani…». Centocinquanta euro per pagare le bollette. Soldi raccolti grazie alla generosità di chi di tanto in tanto fa una donazione. Niente di più che il costo una pizza il sabato sera per chi se lo può permettere, un capitale spesso irraggiungibile, invece, per chi teme che gli stacchino la luce. 

La politica che fa? 

«Fortunatamente – conclude Don Fiorillo – ci sono persone che in silenzio e senza clamori aiutano gli altri. Il Natale scorso venne da me un padre di famiglia sui 45 anni e mi consegnò 5 buste chiedendomi di consegnarle ad altrettanti nuclei familiari in difficoltà. Gli chiesi di farlo insieme, ma non volle, preferì restare anonimo».
La luce in fondo al tunnel non si vede, solo sprazzi di generosità che aiutano i “resistenti” ad andare avanti in un presente dove si procede a tentoni, nell’indifferenza della politica dominante che gira la testa dall’altra parte.

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